398 LA RIFORMA SOCIALS — ANNO XVI - VOL. XX i democratici più tepidi e più colpiti nei loro interessi di esercenti, di conduttori di industrie o di fondi, e, se blocco vi fu, fu quello antisocialista. Ma poi, a mano a mano che si spegneva l’eco dello sciopero generale e si rafforzava invece quello delle vittorie dello Stato laico di Francia sulla Chiesa, e la lotta contro l’invadenza clericale, special-mente nella scuola, si accendeva anche al di qua delle Alpi, si vennero formando qua e là nella penisola dei blocchi amministrativi per la conquista di alcuni tra i Comuni maggiori, con programmi negativi di combattimento contro l’influenza clericale, e positivi di rinnovamento della vita municipale volgendone l’attività sopratutto ai problemi che toccano più da vicino il costo della vita e i consumi. Così si formò il blocco di Roma, che va dai costituzionali giolittiani ai socialisti rivoluzionari — così almeno questi ultimi si qualificavano qualche anno fa — e quello di Firenze, più omogeneo e più compatto, che va dai democratici ai socialisti riformisti. Questi esempi erano da molti assunti come lieti pronostici e buone preparazioni per un grande blocco elettorale nelle elezioni politiche, comprendente, almeno, i tre partiti popolari: radicale, repubblicano e socialista, pur entrandovi ciascuno di essi con valore diverso da un tempo e trovandovisi in una posizione reciprocamente assai differente. « Un tempo — ebbe a scrivere YAvanti! — anche la democrazia s’era illusa che il proletariato dovesse votare sempre e docilmente per il candidato scelto, presentato, raccomandato dai partiti democratici. Era un blocco obbligatorio, dove il proletariato aveva una posizione d’inferiorità evidente. Ebbene, dopo un periodo necessario d’intransigenza — dove la classe proletaria ha potuto assumere una sua propria fisonomía politica — ecco oggi le alleanze sane, normali, proficue. Sono oggi due o più partiti che si alleano, che stringono patti sulle cose e sui programmi, che si uniscono per l’identità di certe direttive comuni ». Ciò poteva accadere nelle elezioni amministrative, dove era possibile fare un programma di cose ; ciò avrebbe dovuto ripetersi nelle elezioni politiche, ma così non fu, almeno generalmente, per varie ragioni. E la principale fu questa: che mancava ai partiti una piattaforma di cose, o derivata dall’azione del Governo, o rifluita su dal paese, che potesse cementare le forze democratiche. Dalle critiche che abbiam visto furon fatte all’azione e al programma governativo, si può dire che i partiti popolari avevano piuttosto un programma negativo, di condanna della grigia politica giolittiana, piuttostochè uno positivo di presentazione e di affermazione di postulati da sviluppare, di riforme da conquistare. 7 /