Il processo decisionale si esprime nella scelta di una delle possibili soluzioni alternative; tale scelta per solito risponde al criterio del migliore raggiungimento degli obiettivi e cioè della soluzione del problema. Talvolta si può anche scegliere in base al « minor male », cioè al criterio del minore numero di conseguenze negative. Per un organismo decisionale che voglia essere anche strumento di partecipazione il criterio base dovrebbe essere quello della maggiore rispondenza della scelta fatta alle aspettative della gente, cioè alla domanda sociale.
     In organismi decisionali di tipo politico prevalgono per solito altre logiche e la scelta è quasi sempre frutto di un processo di compromesso fra visioni diverse dello stesso problema, prescindendo spesso dalle reali istanze della base.
     Non mi sembra il caso di addentrarmi nell’analisi di questo problema vasto e complesso; ho voluto tuttavia fare questo accenno per evidenziare il rischio che possono correre i consigli circoscrizionali di diventare centri di potere esclusivamente politico avulsi dalla realtà della zona, non collegati con le aggregazioni spontanee, i gruppi e i movimenti di base portatori di istanze sociali concrete; il rischio insomma di burocratizzare il loro potere e di ridurlo ancora una volta ad un potere di élite, senza promuovere e favorire una sempre più vasta partecipazione della gente. A questo riguardo occorre tener presente allora che il concetto di « partecipazione è più ampio di quello di partecipazione al potere decisionale »; infatti oltre a poteri decisionali i consigli circoscrizionali (e forse, per delega di questi, i comitati di cittadini), hanno in base alla legge 278 anche poteri di gestione di alcuni servizi sociali e sanitari della propria comunità. Proprio perché il potere dei consigli circoscrizionali non è solo limitato alla presa di decisioni, ma si può estendere anche alla messa in atto delle decisioni assunte (gestione) è importante considerare anche il secondo ciclo di operazioni di un processo decisionale e cioè quello riguardante la pianificazione dell’azione, le concrete strategie operative da scegliere e la verifica dell’attività svolta.
     Per attuare una decisione è necessario prima di tutto essere in grado di elaborare un dettagliato programma di azione (o piano di lavoro) che preveda la formulazione di obiettivi a breve e a lunga scadenza, l’analisi delle risorse disponibili o da predisporre (in termini di strutture, personale, finanziamenti), la scelta degli strumenti, la definizione dei tempi. Come si può vedere quindi anche per la programmazione delle attività occorre procedere con lo stesso metodo utilizzato per la presa di decisione, perché è anch’esso un processo decisionale. L’intero processo viene facilitato se vi è uno stretto collegamento fra chi decide e chi attua le decisioni proprio per evitare le inevitabili perdite di tempo che sarebbero necessarie per capire le motivazioni e gli obiettivi della decisione presa. In questa prospettiva ci si rende conto della validità della documentazione come strumento di comunicazione che permette di trasmettere in modo esatto e obiettivo le informazioni necessarie e si capisce anche il ruolo dell’assistente sociale, o meglio dell’ufficio di servizio sociale di zona, come punto di riferimento e strumento tecnico che permette al consiglio di quartiere di passare dal momento decisionale al momento della gestione diretta dei servizi.
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