delle ultime due, il contadino risponde che non c’è abbastanza terra da coltivare: come se ne può sottrarre ancora al grano, per fare altre cose? All’obbiezione che, guadagnando il denaro in altro modo, il grano si può comperare, ci si sente rispondere: «No, signorina, il cassone io lo devo tenere pieno per essere sicuro! ». Eppure, è proprio vero che niente è stato fatto e tutto « resta come prima? ». E’ dal 1951 che l’Ente di Riforma fondiaria in Puglie Lucania e Molise ha incluso S. Cataldo nel comprensorio di bonifica di Avigliano : e da allora tecnici dell’Ente risiedono in permanenza a S. Cataldo. Il bilancio della situazione non è cattivo : la costruzione delle strade per Bella e per il ponte di Ruoti sull’Appia è compiuta ; la strada per Avigliano si è iniziata ; la costruzione del nuovo villaggio di venticinque case doppie a due piani è a buon punto; nel « Casone » funziona regolarmente l’ambulatorio, dove un’ostetrica è a disposizione giorno e notte e un dottore tre volte la settimana ; il canone d’affitto dei terreni è stato considerevolmente ridotto rispetto a quello che veniva corrisposto al principe ; un trattore è a disposizione dei contadini; sono stati fatti dei corsi d’istruzione tecnica agraria e dei corsi di scuole serali. Nel campo delle vere e proprie trasformazioni fondiarie, l’Ente si è trovato di fronte il gravissimo problema della polverizzazione dei fondi. Prima di prendere qualunque altra iniziativa bisognava procedere a un minimo di « accorpamento », cioè di riunificazione delle « lenze ». Ma qui gli ostacoli si sono rivelati praticamente insormontabili : bisognava tener conto del valore di ogni singola « lenza », affinché nessuno subisse perdite nel cambio : bisognava tenere conto della diversa qualità dei terreni di S. Cataldo, affinché tutti avessero la possibilità di coltivare tutto quello che serve loro ; bisognava infine e soprattutto ricordare che « quello che per l’Ente è appena un minimo di ordine culturale, rappresenta invece per loro (i contadini) un terremoto che sconvolge un ordine naturale, consacrato dalle leggi paterne a cui persino il principe si era rassegnato » (6). E’ bene tuttavia dire subito che i contadini di S. Cataldo si rendono conto tutti dei limiti obbiettivi della loro situazione. Sanno perfettamente che la terra è scadente e che ogni anno si impoverisce di più e sanno di essere diventati troppi. Sanno che bisogna fare qualcosa. Di fronte a queste consapevolezze diffuse si resta stupiti, e avviliti anche, del clima di diffidenza e, spesso, ostilità che ha circondato le iniziative dell’Ente. I contadini hanno una loro soluzione, che ripropongono costantemente e della cui inutilità non sembrano rendersi conto : tagliate il bosco e dateci la terra. Anche i più aperti sono di questa idea, escluse pochissime eccezioni. Tutti i tentativi di accorpamento sono stati accolti ostilmente, perché la « fatica » spesa sulla terra ha dato ad ognuno un senso profondo di proprietà e perché nessuno vuole lasciare ciò che conosce per ciò che ignora. L’ostilità all’Ente viene motivata in molti modi (e tengo a precisare che ho raccolto queste informazioni da molti individui che avevano votato per entrambi i partiti e che* si trovavano concordi nell’affermare le medesime cose). (6) G. Russo, Le capanne di S. Cataldo, op. cit., pag. 180. 96