Capitolo 4
GEO-GIACIMENTOLOGICA
luzione nazionale, almeno per le Regioni a c.d. Statuto Ordinario – per gli altri due termini risulta
assai importante sottolineare taluni aspetti specifici, teorico-pratici, di ineludibile valenza territoriale
essendo, per natura, georeferenziati.
Il “bacino”, da parte sua, deve rappresentare – grazie alla riconoscibile presenza, al suo interno,
della “risorsa” mineraria considerata ed indipendentemente dal comparto merceologico di categoria estrattiva – una prima tutela della risorsa giacimentologica medesima, soprattutto nel suo
potenziale passaggio (qualora sussistano condizioni tecniche, presupposti economici e situazioni
ambientali favorevoli), almeno in parte, a “riserva” accertata coltivabile.
La strategia di salvaguardare le riserve di “materie prime minerali” è infatti una forte e chiara raccomandazione Comunitaria a tutti gli Stati membri, che vengono invitati, ciascuno per le proprie disponibilità, a sopperire in modo possibilmente “autarchico” ai propri fabbisogni per uno sviluppo sostenibile. Ciò può avvenire, in pratica, se si evitano anzitutto “sprechi” di materiale e troppo onerosi
trasporti; ma anche, in sede pianificatoria territoriale, effettuando scelte ponderate e senza persino
inconsapevoli compromissioni urbanistiche, “alternative” ma non “obbligate”, sui siti di particolare
interesse minerario: quali, in sostanza, sono i bacini stessi, in tutto od in parte!
In altre parole, si dovrebbe mirare anche alla “tutela mineraria” sul territorio, in un quadro pianificatorio non solo urbanistico (per edificazioni, infrastrutture ecc.) ed ambientale (per naturalità,
paesaggio ecc.) ma anche produttivo (per le materie prime industriali).
Da parte sua, il “polo” – che evidentemente sconta la propria peculiare caratteristica di essere
legato alla specifica tipologia di minerale coltivato, in qualsiasi comparto di estrazione – deve sempre perseguire la conveniente valorizzazione della risorsa, operando perciò sulle riserve minerarie
presenti.
Di regola, un polo può comprendere sia l’unità estrattiva a monte, sia l’impianto di 1° trattamento e di preparazione mineraria p.d.; soprattutto se la “filiera produttiva” risulta più lunga di una
“semplice” operazione a valle, che prevede ad es. la selezione, la comminuzione, il lavaggio e la
vagliatura commerciale (come di regola viene fatto per gli aggregati granulari litoidi). La presenza
quindi di impianti di un certo impegno - economico, tecnico ed anche ambientale - presuppone
tempi di vita “attesa” piuttosto lunghi (anche solo per le questioni di ammortamento industriale) e
quindi possibilità di rinnovi autorizzativi, ampliamenti di cava ed evt. di nuove acquisizioni aziendali
accrescendo così, se non il livello produttivo, comunque la dimensione del sito estrattivo medesimo. Anche se la cosiddetta “buona prassi” vorrebbe, ad un certo punto, un sostanziale “equilibrio
dinamico” fra cantiere di escavazione effettiva e cantiere di recupero: cioè con un possibile bilanciamento di aree fra superfici produttive e superfici di progressiva sistemazione e/o ripristino.
Trattandosi poi, in diversi casi, di più cantieri contemporaneamente aperti - ad es. per effettuare
coltivazioni “selettive” su minerali di diverso “tenore utile”, al fine di ottenere una produzione di qualità costante, attraverso opportune miscelazioni successive - diviene possibile anche differenziare,
nel tempo e nello spazio, le fasi di intervento, sempre però rispettando una raccomandabile “contestualità” del recupero dei siti.
In definitiva, nel “polo” può trovare attuazione una necessaria operatività di cava secondo buona
tecnica: attività primaria (per definizione) che deve rappresentare una opportunità socio-economi-

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