32 Capitolo primo sistenti, o di vetusti equilibri di potere deprecabili, ma difficili da sovvertire, si ricollega in realtà, molto più di quanto non sembri, alla recriminazione di tipo nazionalista grazie alla pronta sostituzione - al posto dei vecchi slanci espansionistici così pascoliani come corradiniani - di una tensione, predicata o raccomandata in sorte alle popolazioni subalterne, verso l'obiettivo della rigenerazione politica e della rivoluzione sociale. Ciò facendo si dimentica, se non altro, che i connotati necroforici del discorso sull'emigrazione non costituivano affatto una novità nella cultura italiana e soprattutto che di rado essi avevano convissuto, anche nel Mezzogiorno e negli anni delle partenze in massa, con le vedute se non gioiose, certo un poco più ottimistiche della maggior parte degli emigranti in carne ed ossa secondo i quali la possibilità di espatriare sarebbe stata, a un certo punto, «una benedizione per l'Italia»50 o addirittura, come pure altre volte s'era ben compreso, un gesto di rivalsa e un fatto rivoluzionario in sé: sinché si vuole rassegnata, silente o dolorosa, l'emigrazione, infatti, aveva costituito anche l'espressione di un gesto autonomo di coraggio e d'intraprendenza e le sue modalità di svolgimento avevano portato allo scoperto una grande varietà di comportamenti e di ruoli (economici, sociali, «funzionali») di cui la nuova rappresentazione, pur volgendosi con la memoria all'indietro, rischiava di confondere i significati, di solito assumendone e privilegiandone uno solo, quello più aduso e meglio rapportato alle intenzioni attualizzanti degli autori. Prevale, in altri termini, nella lettura degli eventi, una lectio facilior che ci consegna pagine persuasive e artisticamente - fuor di ogni dubbio - riuscite, ma troppo spesso a senso unico o in evidente contrasto con la realtà infinitamente più complessa delle cose. Il ritratto dell'arruolatore di emigranti molisani sbozzato da Francesco Jovine ne II pastore sepolto, ad esempio, è suggestivo e credibile come del resto quello di Primiano Maria Vincelli subagente «per tutte le Americhe» evocato da Giose Rimanelli in Peccato originale e tuttavia semplifica oltremisura una casistica che persino nel Mezzogiorno d'Italia dovette essere mutevole e non tutta do- 50 La frase è di Antonio Mangano, un redattore italoamericano di Charities, la celebre rivista evangelica che ai primi del secolo dedicò da New York interventi e spazi assai rilevanti all'emigrazione italiana negli Stati Uniti. Riproduce la risposta corrente dei contadini calabresi interpellati dall'intervistatore nel corso d'una sua inchiesta di cui diede conto P. Villa-ri, «Le conseguenze della emigrazione italiana giudicate da un cittadino americano» in Nuova Antologia, 857, CCXV, 1907, p. 5. Tra i maggiori responsabili della semplificazione del concetto di emigrazione come succedaneo della lotta di classe in patria (che è sì fondato, ma che risulta oltremodo complesso anche in rapporto alle scelte dei contadini del sud) crediamo sia da segnalare Guido Dorso (si vedano i suoi saggi del 1944 sulla classe dirigente dell'Italia meridionale in G. Dorso, Dittatura, classe politica e classe dirigente, Torino, Einaudi, 1955, pagg. 31-32).