28	Capitolo primo
nostra cultura letteraria patisce durante tutti gli anni trenta gli effetti di una situazione particolare e di quella prudente autocensura che solo dopo la caduta del fascismo le consentirà di uscire allo scoperto con testi assai spesso concepiti mentre l'ultimo grande flusso emigratorio si stava esaurendo o già risultava del tutto estinto. È in queste opere, figlie, come si sa, anche d'una temperie ideologica arroventata e marcata dalla «militanza» politica, che finisce per riversarsi la versione contraddittoria e aggiornata dell'antiemigrazionismo e dell'antiamericanismo all'italiana: dei due elementi, cioè, che presiedono, insieme, all'ideazione di buona parte delle trame romanzesche dei racconti sull'America destinati a divenir famosi anche senza aver esattamente l'emigrazione al proprio centro o nel titolo.
Pur con tutti i correttivi indotti dall'incedere del tempo e dal mutare della sensibilità, prevalgono anche qui le visioni, ora dolenti e nostalgiche e ora classiste e ispirate, d'un immobile mondo contadino ch'era stato scosso soltanto dalla chance emigratoria in un contesto segnato, come al solito, da incombenti emblemi di morte. Prorompe e si riafferma, quindi, dopo l'ultima guerra mondiale, e sia pure rovesciata quanto a motivazioni, l'indiscriminata applicazione al fenomeno emigratorio e alle sue mete, con l'America naturalmente in primo piano, di un parametro interpretativo massicciamente meridionalista e tutto venato, se non addirittura ossessivamente pervaso, in Elio Vittorini e in Francesco Jovine, in Carlo Levi e in Rocco Scotellaro, di pessimismi invincibili ed epocali. Non fa meraviglia che esso sia contraddistinto da cifre stilistiche e semantiche (la fame e il cibo, ad esempio, come avviene per i piccoli siciliani di Vittorini oppure il localismo quasi animalesco come accade per i marsicani del Fucino di Silone40) in cui l'esodo si sublima, ma anche si annulla nella sua specificità, dovendo servire da strumento di verifica per un discorso diverso. Un discorso di denuncia magari sacrosanto e legittimo, e tuttavia pur sempre «unilaterale» (mentre l'emigrazione è e rimane, per sua intima natura, profondamente caratterizzata dalla «bilateralità») oppure un discorso già tutto di nuovo ipotecato dall'ottica del «viaggiatore» (sulla scia di una tradizione appena interrotta dalle recriminazioni del decennio che va dal 1930 al 40, ma rinverdita persino da certi approcci «cattolici» e, naturalmente, dall'impetuosa ripresa del «sogno» americano41).
40	Si veda Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Torino, Einaudi, 19661, pagg. 11-17 e Ignazio Silone, Il seme sotto la neve, Milano, Mondadori, 19401,1982, p. 63.
41	Per la ripresa del mito americano tra guerra e dopoguerra si veda Pier Paolo D'Attorre (a cura di), Nemici per lapelle. Sogno americano e mito sovietico nell'Italia contemporanea, Milano, Franco Angeli, 1991 e per il filone delle «visite» di viaggiatori cattolici (dove il trait d'union fra l'americanismo cattolico nostrano di fine Ottocento e queste reviviscenze postbelli-