passo con lo sviluppo tecnologico, ad una continua crescita delle attitudini mentali richieste in professioni tradizionalmente « manuali »: il vecchio spalatore manovra la scavatrice, lo zappaterra guida il trattore. Dunque non è più accettabile neppure l’immagine riduttiva del semplice lavoratore manuale della terra, minimizzando le ricche componenti intellettuali dell’esperienza di tecniche agrarie, di cicli vegetativi, di conservazione e trasformazione di prodotti, di allevamenti, di conduzione di macchine agricole, fino a capacità che rasentano la creatività artistica, come quella della potatura del vigneto. Malgrado le spinte sindacali al livellamento dei salari e quelle dell’automazione alla svalutazione delle competenze, si diffonde l’esigenza di una maggior padronanza del linguaggio, di conoscenze matematiche, meccaniche e di disegno. Alla riqualificazione del « merito sociale » di tanta parte del lavoro manuale intelligente ha posto ostacolo anche la politica sindacale del livellamento delle qualifiche, degli aumenti salariali eguali per tutti: dettata dal crescere vertiginoso del costo della vita, che tutti colpisce in eguale misura, questa linea di condotta finisce per rivelarsi utopica (il mito dell egualitarismo universale!) e controproducente, perché le istanze astratte del livellamento populistico finiscono per premiare soltanto l’inefficienza e il lassismo dei peggiori. Questo non significa — nota ancor Gozzer — che ormai il lavoro in fabbrica sia diventato uno svago creativo e una festa dell’intelletto: sta di fatto però che, fuor dell utopia, la tendenza irreversibile è verso un progressivo aumento dei contenuti tecnologici e conoscitivi del lavoro, cioè verso una manualità decrescente e una sempre più accentuata « cerebralità » delle prestazioni. Via via che l’uomo si identifica con il suo cervello, questo — e non le sue mani — diventa il soggetto primario del rapporto di lavoro. D’altronde, tutti possiamo constatare giorno dopo giorno che la carenza più acuta dei nostri sistemi è il progressivo scarseggiare dell’ingegno naturale, la « fame di intelligenza ». In ogni caso, non esiste lavoro manuale che non esiga un minimo d’intelligenza e di attenzione, così come non esiste lavoro intellettuale che non si accompagni con qualche fisica operazione, fosse pur quella di muovere la penna sul foglio. Anzi, molti lavori « manuali » esigono attenzione continua, prontezza di riflessi, assidui interventi correttivi e tutta una serie di decisioni puntuali, che nell’insieme configurano una presenza intellettuale ben superiore a quella richiesta da tanta parte del lavoro impiegatizio di routine. Mentre l’occupazione industriale, anche a tempi lunghi, non sembra destinata ad aumentare sensibilmente, bilanciandosi l’aumento della pro- 15