Una delle soluzioni che taluno vagheggia è appunto quella dell’austerità, 11 ritorno a una società frugale di artigiani e contadini, educata al vivere spartano e all’alta cultura. È questo un mondo ancora ipotizzabile oggi, alle soglie dell’età tecnotronica? Possiamo proporre la semplicità patriarcale alla civiltà dei satelliti e dei computer, senza ripiombare nei fanatismi e nelle pestilenze del medioevo? Possiamo cancellare le megalopoli per tornare al villaggio rurale, dove i grandi tecnocrati si riducano a far da garzoni al carpentiere o al maniscalco? Personalmente, penso di no: indietro non si toma. Quella che spinge verso questa direzione regressiva e impraticabile è l’eterna aspirazione aH’egualitarismo, l’astrazione radicale che si illude di sopprimere i dislivelli mantenendo il pluralismo delle culture. Ho già scritto a chiare lettere che l’eguaglianza può essere un bene altamente desiderabile, ma che la si paga con una sola moneta: quella della libertà38. Tutti abbiamo sete di giustizia, ma la parola stessa risuonerebbe incomprensibile e vuota in una società totalmente appiattita e condizionata, in una colonia di insetti felici. Questa ipotesi inquietante è una possibilità evolutiva reale, che incombe sul nostro futuro. Fra i sogni evasivi e le minacce sinistre, tra infantilismo e terrorismo, io, per me, sono per una terza via: quella della riflessione collettiva e della mutua persuasione. La via diffìcile della ragione. 38. Alludo a: Società di eguali può essere libera?, « La Stampa », a. 110, n. 274, 12 dicembre 1976, p. 1. 44