una sorta di investimento a lungo termine, né più né meno dell’acquisto in moneta di pubbliche funzioni lucrose da mettere a frutto, correndo le alee connesse alla brevità della vita e al precario favore dei potenti. Allora il medico e il giurista si affacciavano alla professione con la determinazione (e l’avidità) di chi si dispone a sfruttare duramente una posizione di potere acquistata a prezzo di sacrifici anche pecuniari. Dato che la conquista del titolo di studio richiede anni di fatiche e di sacrifici non remunerati, rinunce a ozi e svaghi, nonché ai guadagni a breve scadenza, si ritiene che esso giustifichi poi condizioni di vita compensative, quasi un rimborso spese differito. Tale giustificazione sembra inconsistente oggi che le spese scolari sono sostenute in misura preponderante dalla mano pubblica e per gli studi superiori è stato addirittura introdotto il pre-salario. Inoltre, gli studi si son fatti meno ardui e, mentre i futuri intellettuali se ne stanno sui banchi di scuola, chi è destinato ai lavori manuali già reca il proprio apporto di lavoro in condizioni ben più dure di quelle studentesche. Si è speculato qui sull'avversione per la scuola di certi ragazzi cresciuti in famiglie povere economicamente e culturalmente, magari spinti dalla consapevolezza di dover arrecare al più presto un contributo al bilancio domestico, comunque impreparati dal loro ambiente a intuire i valori della cultura: ne è sorta l’immagine opportunistica di una scuola arcigna e ardua, di un interminabile tirocinio snervante e aborrito, trasformando in eroi del pensiero coloro che bene o male sono riusciti a superarne gli ostacoli. In realtà, non sono infrequenti i ragazzi di ceto operaio che guardano con amarezza e rimpianto a quelle scuole che non possono frequentare, e poco importa se si tratta di vocazione genuina allo studio o di mero desiderio di promozione sociale. Decisiva è perciò la condizione della famiglia, ben più delle propensioni dell’interessato, il che configura per l’appunto un privilegio: si tratta di profonde differenze nelle condizioni di partenza e nelle conseguenti opportunità, che non si limitano alle possibilità iniziali di accesso, perché investono quelle continuative di profitto: molti giovani apparentemente meno dotati sono in realtà soltanto meno predisposti per carenza di strumenti linguistici, di abitudine alla lettura, di assuefazione all’os-servare, al riflettere e all’argomentare. Si palesa così una tipica ideologia del « ceto medio », che tende a trasformare un vantaggio iniziale in privilegio permanente, sbandierando il « pezzo di carta » e guardando con disdegno al lavoro manuale, anche se esso è semplicemente meno gradevole. 8