demagógicamente il lavoro manuale, né di penalizzare quello intellettuale, bensì di restituire alla produttività sociale il suo valore di metro universale (e non importa se a taluno questa può apparire un’idolatria del primato dell’economia: dopo tutto, si sta parlando di retribuzione globale, non di corone d’alloro). Si può concludere che la progressiva diffusione dell’istruzione a tutti i livelli — fenomeno che nessuno vorrà negare essere altamente benefico — impone uno scollamento delle vecchie giunture e, al limite, una dissociazione quasi totale fra titolo di studio e posto di lavoro. Non, ovviamente, per accrescere il numero dei dirigenti incolti, ma semmai per aumentare quello dei pastori-filosofi o dei metallurgici-letterati. Fuor di facezia (ma in Finlandia, ad esempio, non lo sarebbe) la cultura non strettamente professionale dovrà apparire sempre di più come un modo di vita, una gratificazione intellettuale, e sempre meno come un lasciapassare, una tessera che dà diritto di accedere ai « posti distinti ». La crescente complessità della vita sociale e delle sue innumerevoli funzioni esige indubbiamente da ciascun operatore dei livelli di cultura generale sempre più avanzati, ma non certo del tipo retorico-estetico-giuridico predominante in Italia. Fra il contadino medievale, che reggeva il timone del suo aratro a chiodo, e il moderno conduttore di trattori c’è un abisso di conoscenze tecnologiche, anche se identica fosse rimasta la loro cultura « umanistica » (e tale non è, sia perché quel contadino, che nessuno rimpiange, non leggeva sicuramente Esiodo o Virgilio, sia perché i giornali e la televisione, malgrado le loro carenze, propiziano oggi, anche a « chi non ha studiato », innumerevoli aperture e suggestioni). 3. La fuga da qualsiasi lavoro La constatazione inquietante, che sembra emergere dalle linee di tendenza del mondo del lavoro, è che la fuga dal lavoro manuale non sia che un’avvisaglia e quasi il prologo di un’altra e più generale fuga dal lavoro tout court. Tra i fattori deterrenti o repulsivi sappiamo ormai che occorre mettere in primo piano il senso di fatica, che oggi non va intesa nella sua fisicità, cioè in percentuali di acido lattico nei muscoli, bensì come usura psichica misurata in termini di monotonia, costrizione, scompenso, insofferenza, stress: una situazione che è riferibile a qualunque lavoro, anche il più quieto e sedentario. Mi sono sempre domandato come facciano gli uscieri a non impazzire di noia. 17