economico-finanziarie non meramente elemento strumentale ma costitutivo e direttamente influente sul dato istituzionale. L'ottica dell'« in-tendance suivra » è ancora presente, ma essa sta cedendo il passo ad un approccio alle problematiche del governo locale più attento e sensibile alle esigenze di apporti e quadri di riferimento interdisciplinari (2). Discorso analogo si può fare per sociologi, politologi, urbanisti (prescindiamo ora dalle difficoltà di coabitazione che sovente si presentano fra le diverse « corporazioni », non fosse altro che per gli incerti confini fra l'una e l'altra disciplina ed ancor più fra le loro specializzazioni). Eppure, e ciò mi sembra vero particolarmente nel caso italiano, il dialogo fra gli studiosi delle diverse materie, come fra gli operatori politici dei diversi settori, procede assai stentatamente. Ciascuno paga il debito formale di riconoscere non essere autosufficiente la propria disciplina, ma la ricomposizione di una prospettiva sufficientemente unitaria, nella quale la necessaria articolazione disciplinare trovi adeguato quadro di riferimento, appare ancora lontana. Alcune delle conseguenze negative di questa situazione saranno esaminate più oltre. Intanto si deve sottolinare come sia quantomeno curioso che sia economisti sia giuristi lamentino oggi che partiti e Governo affrontano la riforma dell'ordinamento e della finanza locale in termini di marcata dissociazione, senza chiedersi quanto essi abbiano fatto perché ciò non fosse. Vale, anche a questo riguardo, quanto nota Piero Barucci, nell'introduzione ad un suo recente libro sulla politica economica italiana del secondo dopoguerra, a proposito dei rapporti fra politica e cultura: « Di norma, quando il dibattito degli economisti non aveva trovato udienza nelle decisioni concrete della politica economica, la conclusione era una sorta di verdetto senza appello e a senso unico: la cosidetta « classe politica » (o quella dirigente) aveva sempre ed irrimediabilmente torto... Ma anche ammesso che le discussioni parlamentari non riescano a svincolarsi dal richiamo alla contingenza e che il loro contenuto risulti del tutto impermeabile rispetto alle discussioni degli specialisti, bisognerebbe chiedersene la ragione... Se la cultura economica, cioè, non arriva a farsi intendere da coloro che ad essa dovrebbero attingere, ad esempio, per legiferare, è la stessa cultura economica che ha qualche motivo per pronunciare un'autocritica » (3). (2) Significative in questo senso le relazioni presentate alla Tavola Rotonda promossa dalla Fondazione Agnelli su « Riforma della Amministrazione locale », Torino, 2-3 dicembre 1977. (3) P. Barucci, Ricostruzione, pianificazione, Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 8 e 12. 8