abbia costituito il solo soccorso di cui abbiano beneficiato una gran massa di piccoli proprietari, fittavoli ed emigranti, in anni caratterizzati dalla fuga dei contadini dalle campagne, dall'urbanesimo, da malattie gravissime, dovute alla scarsezza dell'alimentazione. Possiamo parlare di processi accumulativi realizzati dalla cooperazione cattolica negli anni che vanno dalla grande crisi agraria alla prima guerra mondiale? In misura limitata questa accumulazione avvenne, ma essa non uscì mai dai limiti di un'economia di sussistenza, priva dei grossi incentivi che ritroviamo invece nelle economie in cui impresa e banca, intese in senso moderno, vanno di pari passo. Sulla base della pur vastissima rete della cooperazione cattolica, e anche di quella socialista e liberale, non saremmo andati molto più in là di una economia precapitalistica, dai ritmi molto lenti, con un risparmio contenuto, capace di sorreggere modeste strutture artigianali e di commercio, con difficoltà di passaggio alle forme più dinamiche e veloci del capitalismo dell'età industriale. In parole povere, con le casse e le banche rurali non si sarebbe mai arrivati all'industrializzazione. Ma non era questo l'obiettivo del cattolicesimo intransigente e papale, che si richiamava ai dotti di Friburgo e alla Rerum novarum: la sua diffidenza verso l'industrialismo moderno e la finanza capitalistica era enorme, rappresentava una barriera divisoria fra l'antico, sempre idoleggiato come la società migliore, sicura nei suoi princìpi e modi di vita (famiglia patriarcale, santità del lavoro, obbedienza alla Chiesa, rigore nei costumi ecc.), e il moderno, visto come un pericolo per la stabilità della famiglia e della fede. Dunque, processi accumulativi senza industrializzazione, e comunque concepiti per la difesa della priorità della campagna rispetto alla città: questa in sintesi la mentalità diffusa fra i cattolici militanti, organizzati in comitati parrocchiali, alla fine del secolo scorso. È vero che il testo della Rerum novarum non offre alcun addentellato perché possa parlarsi di un pregiudizio della Chiesa contro l'industria e la industrializzazione. Il messaggio di Leone XIII riguarda la condizione morale e materiale del proletariato, manomessa dagli "avidi speculatori, che per guadagno abusano senza alcuna discrezione delle persone come delle cose". Il monito del Papa non riguarda la struttura dell'economia moderna, non è ispirato a furore anticapitalistico, ma tocca solo l'aspetto umano del lavoro: « Non è giusto, né umano - afferma il testo dell'enciclica - esigere dall'uomo tanto lavoro da farne per troppa fatica istupidire la mente, e da fiaccarne il corpo ». La raccomandazione di Leone XIII si concilia con la secolare tradizione sinodale che difendeva per il lavoratore le pause stabilite dalle feste religiose 10