tanto per cambiare, da un balcone, e possono concedersi l’avventura africana come sola evasione. La città non cambia di molto se a due passi dal centro-bene rimane intatto il ghetto e se, chiuso il canale del Balòn, restano intatte le locande di via Gené, la miseria di piazza San Giovanni, ed i bateurs di via Viotti esibiti da Gabinio sui marciapiedi dai lastroni uguali, senza dislivello. Gli ultimi futuristi sognatori in disarmo, anziché asfaltare il Canal Grande, aprono la taverna del Santo Palato in via Vanchiglia, il cinema americano prorompe in via Roma vecchia: Greta Garbo, Shirley Tempie e « Seguendo la flotta »; ma anche Charlie Chaplin, per fortuna, e la libreria Gissi al n. 26, all’angolo di via dell’Arcivescovado, centro culturale aperto anche di notte come le farmacie, come l’American Bar, mentre il teatro Guaiino è l’unico polmone che respira aria europea, Diaghileff, Strawinsky, Picasso, ecc. Tuttavia studenti e caterinette non tremano, strenui difensori di una tradizione medioevale romanticamente rivisitata con mezzo secolo di ritardo (si pensi solo al successo del Carosello Storico), e gli studenti dell’Accademia accumulano statue accademiche di neve nei lunghi inverni. Insomma in questa città di labirinti alla Fabrizio Clerici ogni gruppo sociale sembrava ignorare tranquillamente il vicino, secondo i dettami della privacy, unica virtù inglese accettata, e Gabinio li ignorava tutti, interprete inconsapevole di una giu- sta legge del contrappasso, che lo rende persino simpatico. Del resto due altri testimoni si possono chiamare in causa: Antonio Gramsci nella rubrica dell’Avanti! « Sotto la Mole » lascia una serie di ritratti arguti tuttora attuali sulla città, e, nell’impossibilità di riportarli, varrà la pena di offrire al lettore uno stralcio da « Il Progresso nello Stradario » (1° giugno 1917) dove si dice: « La città degli artigiani era tutta impregnata della vita artigiana, in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue manifestazioni, e perciò anche nel nome delle vie. Ogni nome era un brano di vita, era il ricordo di un momento di vita collettiva. Lo stradario era come un patrimonio comune di ricordi, di affetti, che univa più strettamente i singoli coi vincoli della solidarietà del ricordo. La borghesia bottegaia ha distrutto questo patrimonio, senza riuscire a sostituirlo con qualcosa di ugualmente vivo. La cortigianeria aulica o la vanità vacua hanno preso il posto della fantasia ricreatrice. Tutti i principi, i regnanti, i ministri, i generali di casa Savoia hanno avuto la loro nicchia, sono stati imposti all’attenzione dei cittadini, che il loro ricordo vorrebbero riempire di soggetti più degni. L'enciclopedia ha dato il resto. Cosmopoli è la città borghese, cioè una falsa internazionale, una falsa universalità: confusione di valori, regno dell’indistinto, caos disordinato ed antistorico ». Conosceva Gabinio queste parole, in quella con-