Working Paper IRCrES 7/2017 sità di raggiungere sostenibilità in agricoltura, considerando in quest’ultima anche la dimensione sociale, economica oltre che quella ambientale (Wezel et al., 2009; Dalgaard et al., 2003; Wezel e Soldat, 2009). La definizione di agroecologia più condivisa è quella fornita da Altieri e Gliessman, secondo cui l’agroecologia può essere descritta come l’applicazione delle scienze ecologiche e dei loro principi allo studio, progettazione e gestione di agroecosistemi sostenibili, con lo scopo di renderli meno dipendenti da input esterni (materia ed energia) attraverso l’utilizzo delle sinergie biologiche dell’ecosistema in cui si inserisce l’attività agricola (Altieri e Nicholls, 2005; Gliessman, 1990). L’ecologia applicata alle pratiche agricole ha l’intento di minimizzare la dipendenza dell’agroecosistema dall’utilizzo di input chimici e lavoro, migliorandone la produttività e la resistenza, favorendo la rigenerazione dei suoli e della biodiversità (Altieri, 1991). Le pratiche utilizzate sono peculiari ad ogni singolo agroecosistema e vengono adattate al contesto locale sia rispetto all’accessibilità di risorse economiche e finanziarie sia alle condizioni dell’ecosistema locale. Esse possono essere rotazioni delle culture, non lavorazione dei suoli, intercropping, sistemi agroforestali (SAF), integrazione di animali o altre pratiche tradizionali o derivanti dalle scienze agronomiche. Lo scopo sottostante alle pratiche agroecologiche è quello di consentire delle riduzioni negli apporti di materia ed energia dall’esterno dell’agroecosistema attraverso l’aumento della sua diversità e della sua complessità, in modo tale da favorire le interazioni biologiche e le sinergie fra i singoli componenti dello stesso (Altieri e Toledo, 2011). Secondo l’approccio agroecologico l’agricoltore entra ad essere parte stessa dell’agroecosistema, non come semplice ‘controllore’, ma come sua componente interna gestendolo tramite metodi knowledge intensive basati su tecniche sia tradizionali che scientifiche (Altieri e Toledo, 2011). In questo senso è cruciale la creazione di complessità e di biodiversità interna all’agroecosistema che è il principale elemento di differenziazione rispetto alle modalità produttive - industriali basate sulla monocultura intensiva e sul controllo attraverso l’immissione nel sistema di lavoro, pesticidi e fertilizzanti, considerando anche in tale categorizzazione la produzione organica o biologica, la quale si limita esclusivamente ad una sostituzione di alcuni input chimici accettati dagli enti certificatori (Iatp, 2013; Altieri e Toledo, 2011). Il suo carattere altamente multifunzionale può sostenere da un lato lo sviluppo socioeconomico di molte comunità rurali e dall’altro permettere una maggiore conservazione ambientale. Grazie alla sua elevata adattabilità e alla alta accessibilità l’uso delle pratiche agroecologiche si è sviluppato fortemente in America Latina con notevoli risultati positivi (Altieri e Toledo, 2011). Nonostante vari studi abbiano documentato i buoni risultati ottenibili dall’agroecologia, tale pratica è ancora poco appoggiata a livello internazionale e relegata a strumento utilizzato perlopiù in progetti di sviluppo di cooperazione internazionale, restando misconosciuta ai più (Pretty et al., 2006; Pretty, 2008; De Schutter, 2010; Holt-Giménez, 2002). Le potenzialità di questa disciplina sono elevate anche se permangono dubbi e problematiche relative alla sua estensione su ampia scala, nonostante essa possa rappresentare un nuovo indirizzo sostenibile per l’intero sistema agro-alimentare globale (Francis et al., 2003). E’ indubbia la difficoltà di una sua applicazione su larga scala, ma sia ulteriori approfondimenti scientifici sia il maggiore interesse dei decision makers verso il settore potrebbero ridurre tali difficoltà e agevolarne lo sviluppo. Questo studio vuole essere un iniziale approfondimento nell’ambito degli studi economico-sociali relativo alla conoscenza dell’agroecologia come pratica agricola sostenibile, concentrandosi sul confronto economico fra le conduzioni agricole di tipo agroecologico e le pratiche monoculturali convenzionali usate nella Regione Leste dello stato di Minas Gerais (MG) in Brasile. 2 IL CONTESTO LOCALE Il Brasile è il maggiore produttore di caffè al mondo, in media tra il 1990 e il 2016, ha prodotto annualmente 38. 4 mila sacche di caffè verde da 60kg pari a circa il 32% di tutta la produzione mondiale (ICO, 2016). Lo stato di MG è quello a livello nazionale con la maggiore produzione pari al 51% della produzione totale brasiliana di caffè (Ministério da Agricultura, Pecuária e Abastecimento-MAPA, 2015), con un grande contributo da parte della piccola agricoltura 4