PREMESSA 15 Gli eventi accaduti nella prima metà degli anni ’60 sembrarono dare piena ragione alle previsioni « realistiche » del Saraceno. Anche la recessione del 1964, per quanto bloccasse i processi sopra descritti, non ne metteva in crisi l’assunto logico; che anzi, proprio dalla recessione, trassero argomento coloro che sostenevano la necessità di garantire in primo luogo il rilancio dell’espansione industriale al Nord come indispensabile premessa per riprendere poi, ad economia risanata, l’opera di integrazione economica del Mezzogiorno. D’altra parte, il fatto che l’avvio di questa strategia di superamento coincidesse con il temporaneo assorbimento delle tensioni sociali del primo dopoguerra sembrava dar ragione a chi sosteneva che le obiezioni mosse contro di essa altro non fossero che velleitarie argomentazioni di un’opposizione politica preconcetta. Sbiadiva così fino a scomparire, l’immagine cara al meridionalismo classico, dello sviluppo del Sud come un motore che, cominciando a girare per merito di una volontà politica innovatrice, si ingrandiva coinvolgendo aree via via più estese; e sempre più al suo posto si imponeva l’immagine dello sviluppo industriale del paese a guisa di un gigantesco bulldozer che scendendo dal Nord al Sud avrebbe aggredito pezzo per pezzo singole aree di sottosviluppo, le avrebbe bonificate integrandole nella dinamica del Nord e avrebbe riversato sulle zone più lontane, non ancora toccate, la massa di arretratezza rimossa dalle aree bonificate. La crisi del meridionalismo classico era vissuta con sentimenti misti, soprattutto negli ambienti di una certa sinistra moderata. Da un lato permaneva il rimpianto per l’evanescenza della soluzione vagheggiata per decenni, di uno sviluppo autonomo e integrale sorretto da un profondo rinnovamento civile. Dall’altro lato si faceva appello al realismo economico per riconoscere che la novissima crescita del paese, pur sollevando numerose riserve, aveva pur sempre il merito storico di avviare a superamento problemi fino allora insoluti. Pertanto, sempre in omaggio al realismo economico, si gareggiava nell’autoconvincersi che l’emergere dei « due Mezzogiorno » nell’ambito della più generale logica delle « due Italie », era, tutto sommato, un fatto positivo; e che la contrapposizione anche nel Sud tra alcune aree in via di decollo e vaste zone pietosamente chiamate di « risistemazione » — in realtà di abbandono — era il prezzo necessario per il definitivo superamento della questione meridionale nel grande disegno della razionalizzazione neo-capitalista del paese. Sul piano psicologico la sensazione che i perenni problemi del Sud trovassero finalmente soluzione nei parametri di un modello econometrico, forniva un alibi tecnocratico per giustificare la smobili-