D I B AT T I T I
16
Finora le due jointventure attive riguardano
gli
acquisti
(Purchasing) e la produzione di cambi e
motori (Powertrain).
17 La messa sul mercato
del 35% delle azioni
Ferrari va in questa
direzione.

60

ricollocazione dei lavoratori espulsi dai
processi produttivi in crisi.
In effetti il Piemonte deve dirigersi
verso una crescita di qualità e non una massiccia espansione quantitativa e di produzione materiale, anche in funzione della
congestione territoriale che già lo caratterizza e del carico infrastrutturale, i cui limiti
potranno essere superati non prima di
quattro o cinque anni.

Ipotesi alternativa alla vendita è l’allargamento della joint-venture con GM16 a tutte
le attività delle due imprese localizzate in
Europa e America Latina. Si tratta di una
soluzione che lascerebbe maggiori margini
di contrattazione per un ruolo non marginale del paese, anche grazie al possibile
intervento delle banche di forte radicamento piemontese (San Paolo e CRT all’interno
di Unicredito).

Le prospettive

Si può sostenere che l’impatto
della crisi Fiat Auto sul sistema
di fornitura sarà di dimensioni
sicuramente inferiori a quanto
sarebbe accaduto anche solo un
decennio fa, e che interventi di
politica industriale debbano
essere rivolti verso le imprese
che si collocano al secondo
livello della fornitura

La crisi attuale di Fiat Auto ha anche una
dimensione che rappresenta una rottura
rispetto al passato: la possibile, e realistica,
cessione di Fiat Auto a GM. Seppure, a partire dagli anni settanta, si siano periodicamente presentate voci di vendita di Fiat
Auto (ai libici, all’IRI), esse non avevano
però mai assunto una dimensione di reale
praticabilità, cosa che accade invece oggi.
In effetti la pesante posizione economica e finanziaria dell’auto condiziona fortemente i conti della capogruppo per il cui
risanamento la cessione di questa attività
costituirebbe la soluzione; esiste poi un
accordo con GM in base al quale nel 2004,
se gli Agnelli intendono vendere, G M è
tenuta ad acquistare la loro quota; infine, la
famiglia Agnelli, ormai composta da quasi
un centinaio di persone, non è più compatta nel legare le proprie fortune finanziarie
all’auto.
La concretizzazione di questa opzione
strategica potrebbe però avere pesanti conseguenze sulla struttura industriale italiana:
l’impresa in cui per decenni è stata identificata l’Italia dell’auto perderebbe la sua
autonomia e lo spostamento all’estero del
centro decisionale comporterebbe un ruolo
di minore importanza delle attività svolte in
Italia, in particolare quelle di ricerca e sviluppo e progettazione, ossia quelle a più
alto contenuto di conoscenza. Da questo
punto di vista ben comprensibili sono le
preoccupazioni in Piemonte e a Torino,
dove si concentrano appunto le funzioni
direzionali e di progettazione dell’auto in
Italia.

I N F O R M A I R E S ,

A N N O

X I V ,

N .

Ulteriore ipotesi, di cui si trova traccia
sui quotidiani, è lo spezzatino, ovvero la
vendita di singole parti di Fiat (ad esempio
i marchi Alfa Romeo, Ferrari, Maserati, il
polo delle vetture sportive e di lusso)17 a
diversi acquirenti. Nella situazione attuale
l’unico veramente appetibile, e con buone
possibilità di crescita, è il marchio Alfa
Romeo, che possiede anche la caratteristica
di avere un impianto produttivo dedicato
alle sue produzioni (a Pomigliano, dove si
producono la 147 e la 156, per circa
200.000 vetture nel 2001; rimane fuori solo
la 164, realizzata a Torino in meno di
12.000 unità, in quanto la GTV è già prodotta all’esterno, da Pininfarina, in circa
6.000 unità, sempre nel 2001).
È anche da considerare come nell’attuale riorganizzazione di Fiat Auto, Alfa
Romeo sia stata definita come una business
unit a se stante, mentre Fiat e Lancia ne
costituiscono, insieme, un’altra, anche perché la produzione delle vetture dei due
marchi avviene negli stessi stabilimenti (per

2 6 ,

A P R I L E

2 0 0 3