I N F O R M A I R E S , D I B AT T I T I della speranza di vita, che infoltisce le classi di età più anziane, e il calo di natalità in atto da un paio di decenni, che produce una forte contrazione delle leve giovanili, oggi in fase di entrata nella vita lavorativa. Già attualmente per ogni dieci anziani che escono dall’età lavorativa subentrano solo sei giovani. In questo quadro gli adattamenti ipotizzabili appaiono in grado di tamponare, ma non di risolvere, gli squilibri. Si può pensare ad una riduzione del fabbisogno di lavoro derivante da una prosecuzione dello sviluppo intensivo degli ultimi dieci anni. D’altro canto l’aumento dei tassi di attività, oggi nettamente inferiori alla media europea, potrebbe portare ad una più equilibrata valorizzazione delle risorse locali. La scena socioeconomica piemontese è stata storicamente contrassegnata da un difetto di pluralismo, dovuto alla forte polarizzazione presente tanto nel tessuto delle imprese quanto nel quadro istituzionale. Oggi questa polarizzazione si sta attenuando grazie alla comparsa di un numero rilevante di attori intermedi, oggettivamente interessati alla negoziazione su risorse e prospettive controllabili in ambito locale o regionale, e ciò conferisce risorse politiche ai processi di governo territoriale. Nell’ambito del sistema delle imprese è possibile percepire un processo di rafforzamento delle ditte minori, che in molti comparti produttivi diminuiscono di numero ma evolvono verso forme organizzative più complesse, configurandosi in misura crescente come società di capitali anziché come società di persone o ditte individuali e allargando il loro ambito di attività. Ciò prefigura un panorama dove, mentre le grandi imprese si riposizionano nel mercato internazionale o si ristrutturano allentando i legami con il contesto regionale, le medie e le piccole riescono, irrobustendosi progressivamente, ad ispessire e riqualificare il tessuto produttivo. Dall’altro lato stenta ad avviarsi un processo coerente di ricomposizione del quadro amministrativo locale, anche se l’esigenza è chiaramente percepita da tutti gli attori del sistema regionale. A fronte del permanere della forte polverizzazione del governo comunale frazionato in numerosissimi enti privi delle risorse necessarie ad assicurare i servizi non essenziali, riprendono i tentativi di gestione consortile e le alleanze intercomunali, le funzioni di supporto collettivo offerte dalle comunità montane e – in prospettiva – dalle comunità collinari, le attività di programmazione territoriale concertata svolte dalle Province e dalla Regione, i programmi di sviluppo locale impostati nell’ambito di patti territoriali di altre forme di aggregazione istituzionale. Parallelamente, si può percepire un nuovo protagonismo da parte delle città medie, le cui amministrazioni si pongono ambiziosi obiettivi di gestione dello sviluppo economico e urbano. Eppure tale fermento di iniziative può originare traiettorie di sviluppo locale o subregionale potenzialmente conflittuali o poco sinergiche. Per il governo regionale si pone un’esigenza duplice: da un lato rapportarsi con flessibilità a questa progettualità così articolata, dall’altro lato promuoverne la convergenza su schemi di sviluppo territoriale coerenti e condivisi, capaci di orientare in modo razionale i processi allocativi di vasta scala e le grandi scelte di infrastrutturazione. Nell’ambito del sistema delle imprese è possibile percepire un processo di rafforzamento delle ditte minori, che in molti comparti produttivi diminuiscono di numero ma evolvono verso forme organizzative più complesse Il diffuso protagonismo istituzionale, pur favorito e incentivato da politiche regionali, nazionali e comunitarie, trova tra le sue motivazioni profonde importanti modificazioni dei fattori strutturali dello sviluppo. La crisi del modello fordista di industrializzazione omologante lascia spa- A N N O X I V , N . 2 6 , A P R I L E 2 0 0 3 7