collettivi presenti e futuri. Dopo 50 giorni di sciopero, il lavoro riprese il 9 marzo. La gestione statale si prolungò fino al 9 aprile, quando un ultimo decreto prefettizio revocò la requisizione e restituì gli stabili-menti ai legittimi proprietari (9).
    il « caso Mazzonis », come si disse, sollevò molto scalpore e fu variamente commentato. Luigi Einaudi ad esempio, al tempo columnist al <■ Corriere della Sera », fu vittima del proprio intrinseco moralismo e del mito tenacemente da lui coltivato dell'imprenditore veramente e nobilmente liberale, quasi sovrumano nella perfezione delle virtù, distaccato dalle meschine querele di questo basso mondo. Egli ritenne, anche sulla scorta dei precedenti studi del Prato, di trovare nei barone Mazzonis la incarnazione dei suo eroe: « Tentò di resistere, solo tra i maggiori, un industriale piemontese, il barone Mazzonis... capo di una famiglia in tre generazioni venuta su dal lavoro manuale con l'energia, la perseveranza... orgogliosa e gelosa della propria impresa non per ostentazione di potenza pecuniaria, ma per fine coscienza del gran posto che un'impresa ben diretta ha nel Paese », e così via celebrando. Il Mazzonis non era, perbacco, come quegli altri industriali, organizzati in potenti confederazioni, che cinicamente avevano tratto profitto dalla guerra, davano per certo che in Italia nulla si potesse fare senza lo Stato e tutto dipendesse dall'aiuto governativo, dalla legislazione doganale, dalle commesse; e perciò, « se lo Stato era destinato a cadere nelle mani dei rossi » tanto valeva venire a patti, e, se mai, moderare con opportune « beneficenze » gli ardori di qualcuno dei capi proletari.
    Niente di simile. Ma una specie di ideale città del lavoro, in cui la virtù delle giovani operaie era vigilata in convitti di suore, agli operai si dispensavano cure mediche, case, legna nell'inverno e « lavoro continuato a perdita nei tempi di crisi », con salari più alti di quelli stabiliti dai contratti collettivi: onde « la maestranza era da lunga consuetudine legata alla fabbrica ». Come spiegare, allora, lo sciopero così accanito e l’occupazione? Agitatori, estranei venuti dal di fuori... Sorrideva ancora all’Einaudi l’identificare nel Mazzonis l’imprenditore solitario, che nega la sua adesione alle associazioni padronali perchè i patti da esse stipulati potevano essere contrari all'interesse pubblico e, orribile a dirsi, giungere perfino ad intese monopolistiche con gli operai per spingere al massimo profitti e salari a spese dei consumatori e dei contribuenti (10).
    Certo, l’organizzazione imprenditoriale non si « rallegrò » della condotta del Mazzonis, nè questi « riscosse la gratitudine degli altri industriali », ma per altre ragioni, che Olivetti indicò chiaramente. Intanto, egli cominciò con Io sdrammatizzare il « caso », almeno dal punto di vista per cui presso l’Einaudi e il Prato era diventato quasi un simbolo delia resistenza del libero imprenditore: i motivi di inquietudine che indubbiamente ne derivavano erano di diversa natura. Olivetti era certo incline a giudicare con poca simpatia il fatto della non appartenenza dell’Azienda all’organizzazione sindacale dell’industria, ed il suo ostinato rifiuto ad accettare un colloquio con il sindacato dei lavoratori; egli non poteva, insomma, non rilevare che il « caso » stesso non sarebbe nato se l'Azienda avesse fatto parte dell’associazione imprenditoriale. In teoria,
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