zialmente buono) stipulato, prima dell'instaurazione del monopolio sindacale fascista, tra gli industriali e un organismo di classe » consentì alla Fiat l’ordinato sviluppo della produzione, non senza una comprensibile soddisfazione morale e materiale delle maestranze (19).
    Effettivamente per i fascisti l'accordo fu un boccone piuttosto amaro. Dal punto di vista del prestigio non si potè nascondere all'opinione pubblica che l’on. Augusto Turati, venuto apposta a Torino per la riunione del 19 agosto, era giunto troppo tardi; per la questione sostanziale le cose andarono anche peggio: alla lunga perorazione dei fascisti che chiedevano « con insistenza » il riconoscimento delle corporazioni come esclusive rappresentanti dei lavoratori, gli esponenti industriali (Agnelli, Fano ed il segretario generale della Lega) risposero ad una voce che la cosa « non era possibile, perchè sono tutt'ora in vigore altri concordati e patti di lavoro non ancora disdetti ». Per contro, quasi tutte le aziende del settore metalmeccanico accordarono i miglioramenti salariali contenuti nell'accordo Fiat (20).
    Come già era accaduto per le elezioni delle commissioni interne e per il consiglio della mutua, la rapida conclusione dell’accordo sindacale alla Fiat assunse un’importanza non solo locale ma nazionale, configurandosi nettamente come una manifestazione di spirito antifascista dell'industria e delle masse operaie torinesi. Governo e corporazioni realizzarono in pieno la possibilità che esso segnasse il punto d’inizio di una nuova fase non solo sindacale ma politica, poiché l'opposizione non era ancora definitivamente sconfitta e l'atteggiamento degli ambienti industriali denunciava chiaramente come essi operassero tenendo presente la possibile alternativa di un prossimo ritorno alle libertà parlamentari e costituzionali (21). Perciò la reazione fu violentissima: a Torino assunse il carattere di violenze contro operai e dirigenti industriali (22), ma la partita più importante e veramente decisiva si giocò a Roma, tra governo e Con-findustria.
    Quel che stava succedendo a Roma nella prima quindicina del settembre 1925 non era troppo chiaro; alla Lega di Torino si sapeva soltanto che erano in corso delle trattative, ma la Confindustria, benché <■ sollecitata telegraficamente », non aveva fornito informazioni precise. La situazione era tuttavia giudicata grave e « particolarmente complessa », in quanto il fermento dei sindacati fascisti, diretto ad ottenere « l'applicazione rigida delle loro pretese di esclusività, trova appoggio presso il Governo ». Veramente, nella riunione della giunta confederale svoltasi alla fine di luglio si era espresso parere negativo circa l'abolizione delle commissioni interne, o meglio, si era espresso il parere che se alla soppressione si voleva arrivare, questa dovesse avvenire per opera del Governo, « con atto d'imperio ». La prospettiva di avere come unici interlocutori sindacali i fiduciari fascisti non piaceva troppo agli industriali torinesi: associandosi al vice presidente della Lega Ferracini, che aveva espresso il parere di ritardarne finché possibile il riconoscimento, Acutis, dell’azienda automobilistica Itala, aggiunse che i sindacalisti fascisti erano in genere individui « di pessima qualità, senza nemmeno quel minimo di correttezza che è necessario nelle trattative su interessi in contrasto »:
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