vigore, riservandosi di esaminare la questione dell’indennità quando anche da parte degli operai fosse garantita l'osservanza dei patti di lavoro. Agnelli aggiunse che l’esito della controversia non era prevedibile ma che comunque, « secondo la nuova tattica industriale », avrebbe fatto il possibile per evitare di allargarla e non avrebbe richiesto la solidarietà di altre aziende (36). Il 5 aprile la direzione della Fiat diramò un comunicato in cui precisava che, a causa dell’opposizione sistematica esercitata dai sindacati operai e dalle commissioni interne contro i licenziamenti che si erano resi necessari e del permanere nelle officine di lavoratori licenziati, era costretta a chiudere gli stabilimenti delle sezioni automobili, carrozzeria, fonderia cilindri e aviazione (37). Mentre la FIOM tentava invano di provocare l’intervento dell'AMMA, la Fiat dichiarava di essere pronta a riaprire gli stabilimenti a condizione che i lavoratori si impegnassero all’osservanza del regolamento nazionale dei metalmeccanici e che dichiarassero esplicitamente di eseguire qualunque lavoro l’azienda avesse assunto. Verso la metà di aprile, più di settemila operai avevano accettato per iscritto queste clausole; vi fu poi, il 19 aprile, un primo colloquio in prefettura tra Agnelli, Fornaca, Buozzi e Guarnieri, ed il 22 le parti sottoscrissero un verbale di accordo che accoglieva completamente le istanze padronali, mentre l’azienda accettava di mantenere gli accordi salariali in vigore, di rivedere la lista dei licenziamenti per escluderne gli « anziani » e di corrispondere agli altri un'indennità di 200 lire pro capite. Ma il comitato esecutivo della FIOM e gli operai presenti ad un comizio svoltosi al parco Michelotti il 23 aprile respinsero l'accordo; la Fiat replicò che si trattava di una « minoranza » poiché I'80 % degli operai non licenziati (circa 9000) alla data del 25 aprile aveva già accettato le condizioni poste dall'azienda. Nella notte tra il 25 ed il 26 aprile, l’edificio della Camera del Lavoro di Torino fu incendiato dai fascisti. Immediatamente i giornali socialcomunisti, in particolare « L’Ordine Nuovo », accusarono gli industriali di aver « sobillato e pagato » gli incendiari; alla Lega, dove si sapeva bene che queste accuse erano infondate, si discusse l'opportunità di smentirle pubblicamente, ma prevalse infine il parere di non accettare la polemica « che avrebbe dato modo all'organo comunista di spargere nuove e vergognose calunnie contro gli industriali » (38). Da parte degli imprenditori la deplorazione del fatto fu unanime, ma la reazione di Agnelli è stata di tale natura da scagionare definitivamente gli industriali da ogni responsabilità: come al solito, egli badò al lato concreto delle cose, e, senza entrare nel merito delle accuse, ebbe serio timore che le reazioni dei lavoratori (e lo sciopero generale subito proclamato) provocassero ii fallimento delle trattative già favorevolmente avviate per la soluzione della vertenza Fiat. Agnelli voleva bensì « l'allontanamento dalle officine di tutti gli elementi comunisti, dei commissari di reparto e di tutti quegli operai che impediscono il regolare lavoro », ma per poter attuare i suoi propositi non doveva essere disturbato da movimenti generali per di più giustificati come quello di protesta contro l'incendio. Perciò influì sul-l'AMMA affinchè non si reagisse con qualche provvedimento collettivo 348