governativa diversa dall'attuale, la cui debolezza nell'esigere il rispetto dell’autorità e l’obbedienza alla legge appariva direttamente proporzionale agli « effetti deleteri di una ingiustificabile ingerenza e di una mastodontica burocrazia al di sopra della libertà d'azione industriale e commerciale ». L'obbiettivo finale della Società Promotrice consisteva pertanto nello « scegliere gli uomini adatti e mandarli al governo », perchè si riteneva fermamente che « la soluzione della crisi odierna non si possa trovare all'infuori dell’orbita dello Stato, e quindi del suo governo, e delle lotte politiche ». Alcuni degli strumenti programmati per realizzare questa finalità risultano particolarmente interessanti. In primo luogo, la Società Promotrice reclamava « libertà per l’industria, il commercio ed il lavoro », nonché « difesa della proprietà e delle iniziative individuali »; poi, frammista alle richieste di riforma della pubblica amministrazione, dei sistema tributario, ecc., vi era quella di una « rappresentanza professionale, cioè l’organizzazione dei corpi tecnici elettivi con l’esercizio di precise facoltà deliberative ». Si prevedeva infatti che, col sistema della rappresentanza proporzionale adottato nelle elezioni politiche, gli organi parlamentari avrebbero assunto una configurazione prossima alla « rappresentanza organica degli interessi di classe ». E come espressione genuina di tali interessi, la Promotrice avrebbe agito, precorrendo anzi sin da ora tale nuovo indirizzo, anche se « nell’epoca in cui potè sembrare ad ognuno di noi di aver raggiunto l'ideale della libertà individuale e della soggettività personale, ci troviamo invece lanciati e retrocessi dalla forza nuova degli eventi verso... il regime delle corporazioni, di classi, di ordini e di mestieri di cui ci ha lasciato memoria il medioevo ». in vero, un ritorno puro e semplice alla libertà economica non solo non appariva immediatamente possibile, ma nemmeno senza rischi. I timori degli amministratori pubblici, i quali erano a conoscenza delio squilibrio tra prezzi d’imperio e la scarsità, sia pure temporanea, delle scorte esistenti di fronte alle richieste, non erano del tutto infondati, nè provocati solamente dalla prospettiva di perdere la « dittatura » sulla vita economica. In conclusione, dopo una breve parentesi di euforia, gli esperimenti dei prezzi ridotti d’autorità, i tumulti di piazza del 1919, e le solenni proteste degli operatori economici contro l'invadenza e la rigida regolamentazione da parte dello Stato nel campo economico, restava lì da risolvere « un fatto... il fatto cioè che, col cessare della guerra, non son cessate, almeno per molti dei paesi belligeranti, le cause che han reso necessaria una economia di guerra » (9). Non solo, ma quanto era accaduto nel settore alimentare poteva benissimo ripetersi nella vita dell'industria, legata a molti fili assai vulnerabili: disponibilità di materie prime, di tonnellaggio, livello dei cambi. Tutte incognite a cui non si conosceva altro rimedio « all'infuori 203