grandi imprese negli anni settanta appare sostanzialmente legata all’impossibilità di reagire agli aumenti dei costi degli input con adeguate rivalorizzazioni dei profitti. Tale impossibilità sembra dovuta ad una infelice composizione del portafoglio industriale del nostro paese, le cui produzioni dipendono da domande scarsamente dinamiche e incontrano troppo facili concorrenze di prezzo. L'irrazionale composizione del portafoglio industriale italiano viene posta in luce anche dal lavoro di Vittorio Francese e Franco Va-retto dedicato all’analisi empirica della relazione tra redditività e rischio. Il saggio si propone innanzitutto scopi metodologici, alla ricerca degli strumenti più opportuni per misurare i due parametri, ponendo in luce l’eventuale livello del rischio e della sua remunerazione nei diversi settori. Anche qui l’applicazione di tecniche di deflazionamento è indispensabile per disporre di dati significativi. L’elaborazione dei dati Mediobanca ha infatti dimostrato che i bilanci storici sopravvalutano la redditività effettiva mentre sottostimano il grado di rischio. La conclusione piuttosto sorprendente, sulla quale gli autori fanno gravare una serie di cautele e limitazioni scientifiche, è che in Italia i settori a rischio più elevato sono anche i meno redditizi. Poiché in un mercato efficiente il rischio viene assunto solo se è remunerato da un premio, la prima considerazione ovvia che si dovrebbe trarre, se i dati dello studio ossero accolti, è che il mercato industriale italiano non è efficiente. In seconda istanza si potrebbe essere tentati di chiedersi chi e perché in Italia sceglie di entrare o rimanere in settori ad alto rischio ed a bassa redditività. La risposta potrebbe essere cercata nelle procedure che regolano il finanziamento e l’assistenza alle imprese, procedure che hanno talvolta agito più sotto la spinta dei gruppi di potere e delle corpo-razioni che secondo la razionalità e l'efficienza. Infine il lavoro di Giancarlo Marco e Franco Varetto, relativo all’analisi delle modificazioni che si osservano nelle strutture patrimoniali delle imprese, affronta un’esigenza fortemente sentita dagli analisti sperimentando strumenti assai più raffinati rispetto a quelli di impiego comune. L'esigenza è di disporre di indici capaci di misurare sinteticamente l’intensità e possibilmente la direzione dei complessi mutamenti che intercorrono fra due stati patrimoniali successivi. La soluzione va cercata