PRESENTAZIONE Gian Maria Gros-Pietro Il settore agroalimentare è rimasto per lungo tempo ancorato ad una struttura tradizionale: frazionamento dell’industria in tanti settori e comparti, ciascuno dei quali occupato da una grande quantità di imprese di dimensioni relativamente piccole. Concorrevano alla permanenza di questo assetto condizioni tecnologiche, di processo, di mercato dei fattori produttivi, di strutture distributive e di abitudini dei consumatori. La tecnologia della maggior parte dei prodotti alimentari risale a processi antichi, come il caso della lavorazione dei cereali cui è dedicato il presente studio: la validità dei processi ereditati dal passato e l’adeguatezza delle conoscenze accumulate in via empirica lungo i secoli non è stata messa in discussione fino a tempi relativamente recenti, e ciò ha favorito la staticità delle tecnologie di processo. Questa situazione rifletteva d’altra parte una analoga staticità dal lato delle materie prime, che continuavano ad essere quelle agricole tradizionali. Una situazione di così elevato immobilismo tecnologico era favorevole alla sopravvivenza di strutture produttive deboli e fortemente frazionate per segmenti produttivi, per aree locali, per tipologie di clientela. Ad esse faceva riscontro una struttura distributiva altrettanto debole e tradizionale, poco trasparente (il canale lungo che passa attraverso i mercati all’ingrosso ancora assai importante per molti prodotti alimentari), caratterizzata da una fortissima inerzia verso l’introduzione di innovazioni di prodotto e organizzative. Era altresì opinione comune che una simile struttura industriale fosse in un qualche modo connaturale ad un settore la cui domanda era ritenuta a bassa elasticità rispetto al reddito (i ricchi non mangiano di più), e in cui l’atteggiamento del