re i propri problemi, che ci allontana ulteriormente da possibili itinerari di soluzione. Per concludere, diciamo che questo tipo di ricerche fa vedere come è nel meccanismo di regolazione locale che si annida una qualche possibilità di uscita dalla spirale negativa descritta, nel senso che tutti gli attori devono cambiare insieme: il pubblico deve modificare i sistemi di finanziamento della formazione professionale e deve creare un ambiente che generi convenienze e spinte all’investimento in formazione (invece che disincentivi e storture burocratiche); l’impresa - non so come sia possibile - deve avere una diversa percezione dell’esterno, deve avere capacità di attingere a competenze esterne per gestire i problemi della qualificazione e della creazione di competenze; i centri di formazione professionale dovrebbero mettere a disposizione le competenze per realizzare formazione, soprattutto non tradizionale, che consentano di fare formazione utile nelle imprese. Secondo me dietro a questa necessità di trovare dei sistemi di regolazione locale diversi c’è un problema ancora più di fondo che riguarda il riuscire a mettere davvero a fuoco il ruolo tra formazione e lavoro, cioè capire e accettare socialmente dove sta il valore aggiunto della formazione (per l’impresa, per la persona e quindi per la collettività, visto che la formazione è un ‘bene pubblico’). Qual è il rapporto tra le conoscenze astratte, tra il percorso formativo e la prestazione di lavoro? Secondo me questo è un buco nero nelle discussioni sulla formazione e che andrà in qualche modo chiarito, affrontato. Speriamo. 52