• eccessiva ingerenza dei politici; • carenze di indirizzi strategici; • scarsa capacità del “principale” (azionista) di controllare “Pagen-te” (manager) pubblico; • limitato rischio di fallimento; • eccesso di capitale investito; • minore efficienza del lavoro, rispetto al settore privato; • ridotta autonomia delle autorità di regolamentazione nel caso di monopolisti pubblici. Il) Le ragioni delle carenze attribuite al controllo pubblico La letteratura tratta i fenomeni precedentemente citati secondo differenti chiavi di lettura. In questa sede vorrei, con estrema sintesi, portare l’attenzione su tre modelli interpretativi. Nella gestione d’impresa è fondamentale il rapporto di “agenzia gli individui sono soggetti a razionalità limitata e opportunisti (Williamson, 1985)7. Per motivare il manager occorrono accordi, contratti e meccanismi di incentivazione. Tali strumenti paiono più efficaci in un contesto privato. In effetti, i diritti di proprietà consentono alla proprietà privata di porre vincoli più stringenti al manager, grazie alla possibilità di negoziazione del capitale azionario sul mercato finanziario. L impresa privata può fallire; nel caso del settore pubblico tale rischio si attenua sensibilmente. Occorre, d’altro canto, tener conto che gli obiettivi dei politici, spesso e in via prioritaria, sono rivolti alla massimizzazione dei voti e il burocrate pensa al “quieto vivere” (public choice). Fino ad ora ho citato schemi che mettono in discussione la proprietà e la gestione pubblica, ma occorre rilevare che vi sono numerosi modelli teorici che invitano ad una maggiore cautela e a riconsiderare l’ampio ventaglio giuridico-istituzionale che configura l’assetto pubblico. Nel caso italiano, ad esempio, possiamo rileva- 7 Williamson O.E., 1985, The Economic Institutions of Capitalism, The Free Press, New York. 57