Su questo terreno l’Italia sconta un pesante ritardo, con un livello di prelievo a carico delle imprese in campo contributivo e fiscale ancora troppo elevato. La Germania, per esempio, è di recente intervenuta sulla tassazione delle imprese con un piano di riduzione delle aliquote molto significativo. Accanto a queste riflessioni non va però trascurato il carattere che l’economia sta assumendo a livello globale. La new economy sta cambiando gli scenari competitivi e spinge a ricercare non solo un ambiente economico efficiente ma anche fortemente innovativo, integrato e aperto al confronto internazionale. Lo scenario digitale penetra e trasforma tutte le attività, elimina i vecchi intermediari e ne crea altri. Internet sta smantellando le vecchie barriere competitive e rischia di trovarci impreparati. Il nostro ritardo tecnologico, oltre ad incidere sui livelli di competitività dell’intero sistema produttivo, tende ad ampliare ulteriormente il gap nei confronti dei nostri concorrenti in quelli che saranno i settori chiave del futuro (informatica, telecomunicazioni, biotecnologie...). Da tempo si sollecita un cambiamento profondo nel modo di impostare e gestire gli interventi di politica della ricerca: occorre che essa si traduca sempre più in innovazione, cioè in risultati concretamente applicabili, tali da alimentare il circolo virtuoso ricerca/in-novazione/investimenti/reddito, con effetti positivi sulla competitività industriale. Non è però sufficiente limitarsi a promuovere il progresso tecnologico. Occorre addivenire ad una trasformazione della struttura aziendale, dotandola di un’organizzazione flessibile realmente capace di adattarsi e reagire alle nuove opportunità. Una priorità diviene l’accesso alle informazioni. Occorre favorire la diffusione, il trasferimento delle conoscenze, promuovere l’imprenditoria innovativa, la creazione di un ambiente favorevole, “di sistema”, con reti attive tra imprese. Le società saranno competitive soltanto se integreranno le conoscenze. 11