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posito, non sembra inopportuno porre l'accento sul fatto che, in realtà, il VA/occupato dell'agricoltura è da ritenersi ragionevolmente inferiore rispetto a quello ufficiale. Ciò perchè, per certi limiti tipici di tutto il materiale statistico di base, anche il dato relativo all'occupazione agricola si scosta sensibilmente dal vero, poiché non è possibile tenere conto di tutto il reale apporto di lavoro che ha concorso a creare il reddito dell'agricoltura. E' evi dente infatti che una considerevole quota di lavoro è rappresentata da occupati in attività extragricole, che in varia misura (difficilmente quantificabile, ma sicuramente rilevante) operano nell'agricoltura, ma anche da perso -ne che normalmente sono considerate in condizione non professionale (come casalinghe, studenti, pensionati, ecc.).
        Ciononostante, dall'analisi emerge chiaramente che la produttività del settore agricolo in Piemonte -come pure nella maggior parte delle regioni cen tro-settentrionali- è cresciuta ad un tasso nettamente superiore a quello dei settori non agricoli e, pur collocandosi il VA/occupato in agricoltura ad un li^ vello ancora notevolmente inferiore rispetto al VA dell'industria e dei servi -zi, purtuttavia si può osservare un'apprezzabile inversione di tendenza rispetto al processo a forbice che era tipico, in passato, di questa particolare problematica.
        Rimane, peraltro, il problema del netto squilibrio fra redditi agricoli e non agricoli (con l'unica eccezione dell'Umbria, dove nel 1982 il VA/occupato in agricoltura ha raggiunto quello dell'industria, al punto che sarebbe forse il caso di valutare attentamente le cause che hanno reso possibile questo piccolo "miracolo agricolo"). E a tale proposito, se da una parte è vero che si può genericamente parlare di una minore efficienza produttiva media del settore agricolo (che non va assolutamente confusa con una inferiorità imprenditoriale assai difficilmente dimostrabile), dall'altra è però innegabile che