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      Infine, com’è noto, le norme che regolano l’ordinamento dipi, hanno prevalentemente carattere consuetudinario. E, nella consuetudine internazionale, l’a. d. non è cittadino dello Stato ove va ad assolvere le proprie funzioni.
      Ma la sagace difesa del marchese di Sorbello contrappone il n. 2 e il n. 3 dell’art. 5 e nota che mentre nel primo si parla genericamente di ambasciatori « di altri a. d., nel secondo, parlandosi dei consoli e degli agenti consolari, si specifica che l’esenzione spetta a costoro purché non siano regnicoli nè natura-lizzati. La specificazione del n. 3 e la mancanza di ogni distinzione nel n. 2 dimostrano chiaramente, si dice dalla stessa difesa, che quando si tratta di a. d. l’esenzione compete sempre, siano essi stranieri, siano regnicoli, siano naturalizzati.
      Non è così che può essere inteso l’art. 5. Come dianzi si è chiarito, gli a. d. sono inviati dagli Stati esteri e cittadini degli Stati medesimi. Questa è la regola,
scale (*), sebbene ciò non sia addirittura necessario per metterli in grado di svolgere in sicurezza e libertà la loro funzione (2).
      Se dunque, come mi pare evidente, le immunità in fatto d’imposte •che per consuetudine generale spettano agli a. d. non derivano dal dovere fondamentale dello Stato ricevente di non ostacolare, anzi di curare che non venga disturbata la funzione dipi., non si può riferirsi ad esso per sostenere la logica applicazione di queste esenzioni anche a favore di a. d. cittadini di quello Stato. Occorre piuttosto vedere se in questo caso i motivi che hanno fatto sorgere la consuetudine di riconoscere queste immunità fiscali risultino altrettanto potenti che nel caso ordinario di a. d. doppiamente stranieri o non trovino piuttosto un limite per 1’ appunto nella •qualità di cittadino dello Stato ricevente posseduta dal dipi., qualità che fa apparire meno probabile che gli Stati siano disposti a rinunciare in simili casi all’esplicazione della loro potestà tributaria.
      Ora, dato che le immunità dipi, in materia fiscale, anche quelle di diritto internazionale, sono sorte sotto il segno della comitas, non vi è motivo di insistere su criteri di rigorosa logica giuridica nell’ interpretarne la portata, mentre, per quel lato in cui l’influenza della pura logica potrebbe al riguardo esser maggiore, cioè argomentando dalla presunta extraterritorialità, si tratterebbe di considerazioni inattuali, dato appunto il generale discredito in cui quella finzione è caduta agli occhi sia della
      (*) «Historiquement, l'exemption d’impôts s'explique: elle est un reste de cette large hospitalité qui était autrefois pratiquée entre Souverains, et qui allait jusqu’à ce point que celui qui recevait un ministre le défrayait de tous ses frais » (Barthélémy, in Revue Générale de Droit International Public 1906, 135). « Il est plus difficile, aggiunge il Goulê (338 n. 75), de trouver à cette exception une base juridique: quelques auteurs — et la pratique semble le plus souvent en ce sens — l’on fait dériver de la fiction d’exterritorialité».
      (2) Anche il fatto die, posta l’esenzione giurisdizionale, l'imposizione fiscale non avrebbe modo di concretarsi in caso di mancato spontaneo adempimento da parte dell’a. d. (v. Goulé, 338 n. 77), e che la stessa inviolabilità della sede, ¿ella corrispondenza eco. renderebbe impossibile un preciso accertamento fiscale (v. Goulé, 338 n. 78; Fedozzi, 451; Balladore, 361) può aver contribuito a indurre gli Stati a concedere, con soluzione radicale, l’esenzione dalla corre sponsione delle imposte. Nè si dimentichi l'incentivo della reciprocità!