■ dei libri del mese! GENNAIO 1994 - N. 1, PAG. Narratori italiani Un padre e due città di Santina Mobiglia Sandra Reberschak, Se anche tu non fossi, Bompiani, Milano 1993, pp. 205, Lit 28.000. Il titolo del libro — citazione poetica da Camillo Sbarbaro — è rivolto al padre dell'autrice, protagonista di una narrazione tesa a recuperarne la figura nella sua integrità, in sé e per lei, fino ai limiti dell'idealizzazione, quasi a risarcimento di una distrazione durata troppo a lungo e bruscamente interrotta da un'improvvisa infermità che, nel lasciarlo irreparabilmente diminuito, accende l'azione ricostruttiva e riparatrice della memoria. La scena iniziale, nell'incalzare di angoscia e pietà fra le barelle del Pronto Soccorso dove è avvenuto il ricovero, disegna il movente psicologico del libro che — come avverte l'autrice — intende fare del padre "il protagonista non di un romanzo, ma di una storia vera". Scatta così l'itinerario attraverso la memoria di figlia alla ricerca del padre perduto, per ricomporre, in un continuo andirivieni fra passato e presente, una biografia per frammenti, scandita da ricordi, fotografie, episodi e aneddoti tramandati dai racconti di famiglia. Ma, dietro la ricerca del padre, nello scorrere dei capitoli, scopriamo anche la ricerca di sé attraverso il padre, l'autobiografia dell'io narrante come trama profonda della biografia narrata. La storia familiare ha come sfondo più di un cinquantennio di storia italiana e, nella vicenda privata, riflette le sorti comuni alla minoranza ebraica, segnata dalle discriminazioni razziali e dalle più vaste tempeste della guerra. Il racconto procede dalla Venezia dei primi decenni del secolo, gli anni dell'infanzia del padre, poi del matrimonio e di una modesta ma tranquilla sicurezza borghese, rotta infine dalle leggi antiebraiche, alla Torino degli anni prima e durante la guerra, quelli dell'infanzia dell'autrice, ora testimone diretta, con la consapevolezza del dopo, dell'esperienza sfuggente della diversità e dell'isolamento, nei continui cambiamenti di casa, di nome, di scuola, tra la città e la campagna del Monferrato.Le pagine più felici sono proprio nella rievocazione di ambienti, luoghi, momenti del passato: la Venezia ebraica degli anni intorno alla prima guerra mondiale, affollata da tipi umani diversi, città acquorea e iridescente esplorata nei "dedali delle calli e dei ponti" durante i ritorni dell'autrice bambina nella casa dei nonni, tanto diversa da Torino, la MB HETOMB Analisi e ricerca editoriale per tutti i generi letterari Corrispondenza e invio manoscritti: P.O. BOX 137 70023 Gioia del Colle (Bari) Tel. 080.9982430/ 080.833585 Fax 080.9982773 "città a scacchiera" che s'impone al suo sguardo spaesato, dapprima per brevi scorci, "serie di isole" squadrate dai caseggiati intorno alle diverse abitazioni in periferia, poi ricomposta nella sua geometria d'insieme attraverso la visione dall'alto della collina o nei percorsi in bicicletta lungo le arterie di collegamento con il centro. I rapidi e precisi dettagli del ricordo dise- e distanziare i pezzi di sé sedimentati dai modelli familiari: nel ritratto del padre risaltano le qualità della misura, concretezza, equilibrio, serenità, contrapposte alla fatica e paura del vivere incarnate dalla madre, figura lasciata in ombra come a controbilanciare una presenza più ingombrante e avvolgente nell'esperienza vissuta. Talvolta la celebrazione affettiva del padre finisce per prendere la mano alla scrittrice che, configurando una troppo rigida identificazione dei ruoli in termmi di salute-malattia, pare aggirare alcune dolorose asperità. Il testo è Dio di Viola Papetti Giorgio Manganelli, Nuovo Commento, Adelphi, Milano 1993 (la ed. Einaudi, Torino 1969) pp. 153, Lit 24.000. 1/ libro è "altrove" avvertiva una sottile fascetta rosa che Manganelli aveva voluto per la prima edizione, dopo aver scartato Da questo libro non si farà un film, ammiccante e un po' Una Milano surreale di Alberto Papuzzi Gian Luigi Melega, Tempo lungo, Baldini & Castoldi, Milano 1993, I: Addio alle virtù, pp. 341, Lit 26.000; II: Delitti d'amore, pp. 255, Lit 24.000. Volume /, capitolo IX, pagina 183: "E vertiginoso certe volte ripensare alla propria vita". Si può prendere questa lieta e gratificante constatazione — che nasconde un'autoironia vagamente sveviana —-, come il leitmotiv di questo romanzo in sei parti. La sua storia è stata abbondantemente raccontata dai giornali: si tratta di un'autobiografia pronta per la stampa trentanni fa, non pubblicata per l'improvviso fallimento dell'editore. A posteriori si può dire che è stata una fortuna per l'autore. Corse il rischio di entrare nella schiera di quegli scrittori degli anni sessanta più o meno legati al realismo, fatti fuori dalle avanguardie letterarie. Invece è diventato un noto giornalista ("Il Giorno", "Panorama", "L'Espresso", "la Repubblica", la direzione dell"'Europeo"). Così noto da essere eletto due volte deputato nelle file del partito radicale. Ma soprattutto è stata una fortuna per l'autobiografia, a giudicare dai primi due volumi: stampata trent'anni dopo senza modifiche, "libro postumo di uno scrittore vivente", come osserva amabilmente nella prefazione Vittorio Spinazzola, ha acquistato un carattere allegramente nostalgico, si è trasformata in un amarcord spontaneamente surreale. Parla infatti di un mondo che non esiste più: la piccola borghesia milanese prima del boom. Ma poiché Melega scriveva nel 1961, quando aveva ventisei anni — anche se noi lo leggiamo per la prima volta oggi —, quel mondo è rappresentato come se non fosse passato, con una specie di innocenza, e talvolta ingenuità, soprattutto con una grande voglia di raccontarlo, pezzetto per pezzetto, con il gusto di perdersi nel- gnano con intensità, per esterni e interni domestici, il carattere dei vecchi quartieri popolari, da borgo San Paolo alla Madonna di Campagna, della Torino di cinquantanni fa, fino all'immediato dopoguerra, e restituiscono il senso della quotidianità povera e provvisoria del periodo di guerra, scossa dalle sirene e dai rastrellamenti. Quella topografia urbana e sociale sarebbe stata presto cancellata dalla ripresa postbellica. Anche la famiglia della narratrice, infatti, si trasferirà in un quartiere più elegante approdando, con il ritomo alla normalità, a un agiato benessere. La storia narrata non contiene risvolti tragici, è piuttosto una storia di ordinaria sofferenza, che tornerà a riaffiorare fra le pareti domestiche nei pozzi d'angoscia e nella silenziosa depressione che uniscono e allontanano vicendevolmente figlia e madre. È di fronte a questa fatica dell'esistere che prende corpo il ruolo positivo e discreto della figura paterna. Sandra Reberschak sembra tentare il cammino accidentato del contornare le descrizioni, di ricostruire i dialoghi, di far rivivere una folla di personaggi. Di certo Melega non economizza le parole, ma è un giornalista di razza, con il dono di raccontare: l'opera è come una sterminata cronaca, in cui ogni persona e ogni cosa ritrovano il posto che spetta loro. Il primo volume, Addio alle virtù, è soprattutto il ritratto di una Milano postbellica e sbrindellata, che a Melega ricorda Cicero, il quartiere di Chicago cittadella del gangsterismo. Nel secondo libro, Delitti d'amore, le storie di donna, di eros e di sesso fluiscono come i detriti di un fiume che narri la falsa potenza maschile. Più che un romanzo, Tempo lungo è un contenitore, uno zibaldone, un "com'eravamo", dove si trova un po' di tutto: ricordi, dialoghi, elenchi, bozzetti, frammenti poetici, brani epistolari, appunti sparsi, canzoni popolari. L'insieme possiede però un formidabile centro di gravità: l'autore stesso. "Niente di meglio per Melega — scrive ancora Spinazzola — che applicarsi a rappresentare l'oggetto più conosciuto e che più gli stava a cuore, cioè se stesso". E questo "se stesso" di trent'anni fa era sicuramente un tipo interessante, perché non ci si annoia, anzi ci sì diverte. da oggi talli.»; ■ ■I è anche scuola I Iìébb»........ 1111 EDIZIONI SCOLASTICHE SIMONE teppista. La lettera di Calvino, qui pubblicata per la prima volta, lo aveva commosso profondamente. Ma non la mise in un cassetto. Rimase a lungo aperta sul tavolo, all'ingresso della casa di via Senafé, poi la infilò tra le pagine del libro che sistemò nello scaffale vicino alla porta d'ingresso. Aveva una grande fiducia nella futurità della sua opera, che si accompagnava al piacere di divertirsi e divertire, liberando la sua sorprendente energia affabula-toria. Questo non-testo rigurgita festosamente di giochi e figure e strategie che mirano alla sua morte, se un "modulato nulla" può morire. Tanti e contraddittori sono i profili dell'irato, invisibile enigma, che attira e specchia l'incauto commentatore, timorosamente sgusciarne tra le pieghe periferiche, senza osare di mirare al centro. Del resto il centro lo ha toccato una volta per tutte Calvino "... ma certo, il testo è Dio e l'universo, come ho fatto a non capirlo prima!... è l'universo come linguaggio, discorso d'un Dio che non rimanda ad altro significato che alla somma dei significanti, e tutto regge perfettamente". Ma forse Dio è anche l'autore che ha lisciato il testo fino a che "ne è venuta una sorta, come dicono, di 'silenzio intenzionale'...", ironico rovesciamento di quell'intenzione generale secondo Henry James iscritta nell'opera, cifra nel tappeto, cosa reale, tigre acquattata nella giungla testuale. La casa del romanzo, altra famosa metafora jame-siana, nel Nuovo Commento è divenuta una casa vuota, senza pareti, "il commentatore i libri deve portarseli da dietro, tolti dalla sua stessa casa". Non ci stupisce quindi di ritrovare in questo naufragio i fantasmi e i relitti di altri testi manganelliani, segni ossessivi della sua turbatissima, tragica immobilità. "Si estende il mio piccolo trucco, da libro a libro, e ogni altra cosa, comparativamente, gioca sulla sua superficie", aveva suggerito il diabolico autore di The Figure in the Carpet, alter ego di James. Manganelli va oltre: fa confluire, sciogliere i suoi testi l'uno nell'altro, ne abolisce la storia, li tiene nel cassetto per anni senza pubblicarli, e li pubblica senza rispetto della data di composizione. Usa la fabula del Presepio come nicchia per ospitarvi la signora A., musa e parca di Lederico H., forse ricordo del ja-mesiano Roderick Hudson, protagonista del romanzo eponimo, anch'egli modesto scultore, spinto al suicidio dalla donna amata. Dà il nome del cavaliere misterioso, Marco Aurelio, che si consumerà sul suo cavallo di volatile bronzo nel giorno dell'ecpirosi in La palude definitiva. Il promesso agglomerato di testi e sottotesti si srotola davanti ai nostri occhi che non discernono gli infinitesimali incastri di storie già note e quelle non ancora lette. Al centro del commento (ma c'è veramente un centro?) è collocato II caso del commentatore fortunato, che da due racconti di James, The Aspern Papers e The Madonna of the Future, sembra prelevare materiali per delineare un effetto di racconto. Studiosi appassionati, donne che vogliono essere sposate in cambio d'un carteggio prezioso e mai letto, un vile statuario che umanizza gatti e scimmie. II reale e l'ideale sono inutili all'artista, equivoca o addirittura inesistente è l'identità del testo, insinua il narratore H. (Henry). Nello splendido paesaggio-rebus del Nuovo Commento s'innalza una bandiera gialla con la scritta "Prosa", e di un libercolo nero, addentato da un serpentello brizzolato, si legge un'unica lettera "H". Sarà ancora lui, H il maestro, sacrificato e esposto sull'altare del Testo Negativo?