wmm Idei libri del mese I MARZO 1994 - N. 3, PAG. 46 Philippe Joutard, L'invenzione del Monte Bianco, a cura di Pietro Crivellaro, Einaudi, Torino 1993, ed. orig. 1986, pp. 200, 35 ili. f.t., Lit 38.000. Davvero il Monte Bianco è stato inventato come la radio o lo sbucciapatate? Partiamo da un titolo, che non è messo lì per "épater le bourgeois" o per catturare l'attenzione dell'acquirente di strenne, ma rispecchia nella sua ambiguità le intenzioni e le contraddizioni del libro. Come s'impara sui banchi di scuola, la parola invenzione ha due significati principali, derivanti dalla medesima base etimologica ma diventati in un certo senso l'uno opposto all'altro. La prima accezione è quella di ritrovamento, oggi desueta nel linguaggio comune, ma ancora pregnante nel linguaggio allusivo; la seconda è quella di creazione, tanto tecnica che poetica. Philippe Joutard, storico modernista, studioso in particolare della memoria collettiva, soprattutto protestante, si è posto l'ambizioso obiettivo di saldare i due significati della parola invenzione attorno a ciò che il Monte Bianco ha potuto rappresentare, ma anche non rappresentare, dall'età dell'umanesimo alla sua conquista, sia nella cultura scientifica sia nell'immaginario poetico. Come si sa, la prima ascensione del Tetto d'Europa venne compiuta l'8 agosto del 1786: quel giorno, scrive Joutard, "il Monte Bianco è stato scoperto", è entrato nella storia, cioè è stato inventato come meta turistica e terreno alpinistico. Ma da quella giornata Joutard torna indietro a caccia dell'archetipo di montagna che preesisteva all'impresa di Paccard e Balmat. Così il suo saggio vuole essere contemporaneamente un illuminante flash su una data storica — nel secondo centenario della conquista della vetta (quando è uscita l'edizione originale) — e il recupero e ripristino, come scrive il curatore e traduttore Pietro Crivellaro, accademico del Cai e storico dell'alpinismo, "dell'idea di montagna dal medioevo all'illuminismo". Ma quanto è solido questo connubio? Quanto funziona questa ambivalenza? Siamo sicuri che il Monte Bianco sia un'invenzione seppur metaforica? O non sarà piuttosto la tremula proiezione di una lanterna magica? Non un'invenzione ma un'illusione? Innanzitutto bisogna chiarire che il libro è un ricco collage di documenti: su duecento pagine, quelle scritte dall'autore saranno al massimo una cinquantina. Tutto il resto è un'antologia di citazioni, un percorso intelligente e affascinante fra le opere non molto conosciute di una bibliografia che comprende Petrarca e Simler, La Rochefoucauld e Rousseau, Leonardo L'illusione del Monte Bianco di Alberto Papuzzi _ da Vinci e Horace de Saussure, il medico Guglielmo Grataroli, il disegnatore Marc-Théodore Bourrit, lo scienziato Conrad Genser, l'alpinista William Coolidge. Le citazioni sono così preponderanti che l'editore le riporta a giustezza piena, stampando invece in giustezza ridotta, col margine rientrato, il testo dell'autore. Non si tratta soltanto di risparmiare carta, ma di tradurre tipograficamente il ruolo di Joutard, che è quello di un notaio che fa parlare le carte, o se vogliamo di un burattinaio che mette in scena il suo teatrino. Ma quest'operazione restringe la ricerca sulla rappresentazione della montagna e sull'idea di montagna solo a una serie di fonti scritte, con una parentesi sulla nascita del paesaggio alpestre nella pittura quattrocentesca. Non si può non vedere come questa sia una scelta decisamente parziale, che lascia fuori campo tutto ciò che preesisteva, sia nelle culture mitologiche sia nell'immaginario popolare, alle ■ elaborazioni intellettuali di scrittori e scienziati. Ed è quanto meno singolare che Joutard non citi mai un'opera forse più ambiziosa che esemplare, ma ricchissima di spunti, di un suo compatriota, oggi troppo frettolosamente dimenticato: quel Samivel, disegnatore e cineasta, un tempo famoso per le sue vignette, autore del ponderoso saggio Hommes, cimes et dieux, catalogo dell'immagine della montagna presso le culture di ogni epoca e ogni forma d'arte. Sarà lo snobismo dell'ac- Bussole di carta Tommaso Magalotti, Marmolada regina, Gribaudo, Cavallermaggiore (CN) 1993, pp. 500,388 fotografie, Lit 86.000. Guida a Sestriere, a cura di Luca Patria, Società Generale dell'Immagine, Torino 1993, 3 voli, in cofanetto, Lit 36.000. Chi sale da Malga Ciapèla al rifugio Falier, nel centro delle Dolomiti, si trova davanti a uno spettacolo mozzafiato: la famosa parete sud della Marmolada, una bastionata di roccia larga quattro chilometri e mezzo e alta fino a novecento metri. Dall'altro versante, la Regina delle Dolomiti divalla con un vasto ghiacciaio sulle acque di un lago artificiale. La voluminosa monografia di Tommaso Magalotti, cesenate, pittore, ex ufficiale degli alpini, scalatore con un classico curriculum di salite, è dedicata essenzialmente alla parete sud, di cui racconta, per narrazioni e immagini, la storia alpinistica. Ecco nel 1897 un pioniere dell'alpinismo, Cesare Tome, balzana figura di erudito agordino, con la guida Santo De Toni di Alleghe e il portatore Luigi Farenzena di Agordo, trovare un passaggio lungo una selvaggia gola occidentale, facendo uso di rudimentali cavicchi. Molto bella una rara fotografia del baffuto De Toni, con corda di canapa a tracolla, un enorme e ingombrante alpcnstock e una trombetta da ferroviere, che avrebbe dovuto servire per chiedere, se del caso, soccorso! Ed ecco nel 1901 la prima via diretta dalla base alla cima della muraglia, impresa riuscita, udite udite, alla graziosa e agiata, quanto ostinata, signorina inglese Beatrice Thomasson, con le guide Michele Bettega e Bortolo Zagonel fatte venire dalla Valle di Primero. La via che sbuca sulla Punta Penta è tuttora una classica da non prendere sottogamba. Attraverso i racconti di personaggi memorabili dell'alpinismo dolomitico — da Paul Preuss a Guido Rey, quindi gli assi che diedero vita a un'irripetibile competizione fra le due guerre (Micheluzzi, Castiglioni, Soldà e l'incredibile modernissimo Vinatzer), poi Maestri, Aste, Messner, Gogna — si arriva alle vie realizzate dai protagonisti dell'arrampicata sportiva (Mariacher, la Jovane, Giordani, Manolo). Forse nessuna parete è come questa un documento della storia dell'alpinismo. Il libro di Magalotti ne dà conto, senza però averne l'aria, con uno stile cioè quasi colloquiale, come se uno ti sparpagliasse sul tavolo un mucchietto di rare fotografie d'epoca e prendesse a spiegartele. Anche la nuovissima Guida a Sestriere — che rientra nelle iniziative promozionali della stazione sciistica piemontese — offre la suggestione del "come eravamo", perché è confezionata con una formula che risponde a esigenze diverse. I primi due volumi, con pagine telate e rilegatura a spirale, così da poter stare nello zaino senza sciuparsi, sono vere guide per godersi le risorse turistiche del comprensorio, d'inverno (prima parte) o d'estate (seconda parte). Il terzo volume è invece un collage di documenti e immagini in cui lo storico Luca Patria ritorna alle origini, al mondo montano che esisteva prima che il senatore Giovanni Agnelli, all'inizio degli anni trenta, decidesse di trasformare il colle del Sestriere in un soggiorno invernale sul modello di St. Moritz. Si parte dalla leggenda della Strada Eraclea, che avrebbe collegato, attraverso il colle, l'Italia subalpina e le terre iberiche, si passa per lo sviluppo delle comunità locali in età medievale, si arriva alla funzione del colle, come luogo di transito, in epoca moderna. Ma il volumetto racconta anche la storia della successiva trasformazione, con lo sci d'antan e con gli arrivi di Giro e Tour, e comprende due utili ritratti: dell'albergatore Vincenzo Paolo Fossetto, primo operatore turistico sul colle, e dell'ingegner Vittorio Bonadé Bottino, artefice tecnico della stazione sciistica. Alla fine ne risulta una specie di microstoria di come il turismo ha mutato la montagna. Vedi joutard. (a. p.) cademico verso un eclettico dilettan-te?In secondo luogo, bisogna dire che Joutard dà l'impressione, nel giustapporre un testo a un altro, di procedere a zig-zag. Per usare una metafora prettamente alpinistica, la sua non è una linea a goccia d'acqua, ma è un vagabondaggio in parete, con una tendenza a individuare e quindi aggirare i problemi che si frappongono alla sua progressione. Ciò rende la lettura assai piacevole e sorprendente, direi con continui cambi di scena, ma la linea di ragionamento su cui Joutard compie la sua esplorazione accusa dei punti deboli. In particolare resta oscura la tesi su cui è inchiavardata l'idea di un'invenzione del Monte Bianco. Nella sua ascensione si rispecchierebbe infatti un moderno spirito di conquista figlio della cultura illuminista, e non un fenomeno romantico, non la passione per la natura. Ma fino alla metà del Settecento, come racconta Joutard, la "moda alpestre" si diffonde sulla base di un'immagine romantica, che egli ritrova per esempio nel poema Die Alpen di Albrecht Haller e nella Nuova Eloisa di Jean-Jacques Rousseau: la montagna buona perché selvaggia e i montanari virtuosi perché poveri si contrappongono alla corruzione delle pompe, del lusso e del "van profitto". Come si passa da una cultura all'altra? Come la montagna diventa illuministica da romantica che era? L'autore fa entrare in campo, su questo punto, sia i viaggiatori inglesi che occupano un posto di primo piano a partire dal 1741 sia il numero di protestanti che svolgono un ruolo determinante nella promozione dell'alta montagna. Ma per quanto riguarda gli inglesi ignora la questione sportiva, che invece è fondamentale, e per quanto riguarda i protestanti si limita a constatarne la presenza, perché il tema da solo "meriterebbe lunghe trattazioni". Avanzate queste piccole riserve, meno male che il Nostro non si è avventurato in "lunghe trattazioni", meno male che va liberamente un po' a zonzo sulla sua parete. Il libro ne guadagna in spigliatezza e divertimento, come nelle pagine sui primi ramponi e sui primi alpcnstock, che risalgono, udite udite!, alle raccomandazioni di un viaggiatore cinquecentesco. Perché poi questa non è la storia di una montagna, semmai la storia di come noi abbiamo percepito quella montagna. Da questo punto di vista è vero che il Monte Bianco è stato inventato — per il turismo, per l'alpinismo, per la scienza, per la letteratura — quando è stato finalmente salito, ma è anche vero che quella salita, rendendo possibili tutte le successive, ha innescato il processo di una ricorrente illusione: che abbia un senso arrivare in cima alla bianca calotta, che abbia un significato la conquista dell'inutile. NORMAN COHN I demoni dentro - Le origini del sabba e la grande caccia alle streghe Dall'autore de I fanatici dell'Apocalisse appare, per la prima volta in edizione italiana, la nuova stesura di un classico atteso "em - early modem" - 3, pp. 278 - L. 42.000 ANNA ROSSI-DORIA Il primo femminismo (1791-1834) "Questioni di storia contemporanea" - 4 pp. 1 84 - L. 30.000 PIETRO ADAMO, GIULIO GIORELLO Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e violenza "Incroci" - pp. 110-L. 15.000 Novità ALFIO MAGGIOLINI Mal di scuola Ragioni affettive dell'insuccesso scolastico "Minori" - pp. 224 - L. 30.000 Gruppo interuniversitario di ricerca pedagogica La formazione Studi di pedagogia critica a cura di F. Cambi e E. Frauenfelder "Teorie educative e processi formativi" pp. 330-L. 39.000 COPPOLA, COLOMBO, D'AGOSTINO La comunità diurna Un percorso terapeutico per il tossicodipendente e la sua famiglia pp. 105 -L. 20.000 EDIZIONI UNICOPLI MAURO MANCIA Pelosino Storia di un serpente La fuga, la separazione, la paura: da uno dei più noti studiosi del comportamento umano, una favola esemplare, pp. 133-L. 15.000 BENEDETTO CROCE, PASQUALE VILLARI Controversie sulla storia (1891-1893) a cura di R. Viti Cavaliere "Testi e Studi" - 106 - pp. 130 - L. 25.000 LUIGI POJAGA Ricerca operativa per il management e il project management "Ingegneria economica" - pp. 476 - L. 65.000 Via Soperga, 13-20127 Milano - Tel. 66984682-66986093 Distr.: Promeco Srl - Alz. Naviglio Grande. 98 - 20144 Milano - Tel. 8323045