■ dei libri del mesel SETTEMBRE 1994 - N. 8, PAG. 14 B1:WM:II Ludo Jji P&itia IL RISCHIO DELLA TESHMONUNZA: MI SAGGISTICA Rocco Buccico LA FATICA DI SISIFO Un appassionante viaggio attraverso secoli di definizioni e polemiche sulla capacità di ridere e sorridere. Angelo De Feo I MISFATTI DELLA POLITICA ITALIANA L'Italia "venduta". Verità scottanti nella denuncia di un ex agente dei Servizi Segreti. Lucio La Penna IL RISCHIO DELLA TESTIMONIANZA L'animazione culturale come portatrice di uno stile nuovo nel rapporto professionale tra individui e tra gruppi all'interno dell'organizzazione moderna delle comunità del lavoro. Leonardo Rocco Tauro LA RIFORMA AGRARIA NEL MATERANO Prefazione di Giuseppe De Gennaro Volume illustrato Uno studio sulla riforma agraria degli anni Cinquanta in Lucania. NARRATIVA José Basile IL BASILISCO Il chimerico animale muore scoprendo nella sua immagine riflessa la propria solitudine. Gian Filippo Della Croce LA FORESTA DI CATTEDRALI Personaggi inquieti si muovono in un pellegrinaggio dal sapore medioevale attraverso l'Italia delie cattedrali. Darlo fylazzoni SI, PERO SENZA PSICOLOGISMI Una raccolta di esilaranti aneddoti che narrano delle debolezze umane. Olga Rigotti I GIORNI SENZA TEMPO E ALTRI RACCONTI Amore, dolore: spesso un rimpianto nella vita dei tanti, personaggi di queste affascinati storie "senza tempo". Franco Tosi I RICORDI DEGLI ALTRI Prefazione di Giorgio Luti Esistenze apparentemente estranee tra loro si intrecciano tra gli antichi valori risorgimentali e qualli propugnati dal nuovo secolo. Libri di Testo Educazione letteraria 'l'.MiMi'.li'.IBMti'MBiLH.'H: DIFFUSIONE: FIRENZE EDI. LIBRA. TELEFONO E FAX 055 257.926.6 Sulla didattica, a cura di Piero Bertolini, La Nuova Italia, Firenze 1994, pp. 290, Lit 29.000. Chi lavora nella scuola italiana sa fin troppo bene in che cosa consiste il disagio da programmazione, la frustrazione del percorso ben pianificato e mai — nemmeno in parte, nemmeno per approssimazione — realizzato. Patologie della didattica, inciampi cur-ricolari, spiazzamenti delle più ragionevoli previsioni: l'insegnante ha lavorato in modo coscienzioso, ha definito i suoi obiettivi, i contenuti da trattare, ha diligentemente pianificato i metodi; ma le cose poi non hanno funzionato, le classi "non hanno risposto" o "hanno risposto" male, e i progetti da cui si era partiti sono sfumati. Che cosa succede in questi casi? come si possono spiegare certi fallimenti? che rapporto esiste fra il modello con cui descriviamo le attività didattiche (la programmazione, appunto) e la realtà dei nostri (cioè degli insegnanti e degli studenti) comportamenti? Il bel saggio di Guido Armellini, Inventare la letteratura: le "domande di Paolo Giovannetti legittime" e l'imprevisto nell'educazione letteraria (contenuto alle pp. 239-62 del volume citato), ci aiuta a dare una prima e convincente risposta, almeno in relazione all'insegnamento della letteratura. Il fatto è che, ci spiega l'autore, noi consideriamo alla stregua di fenomeni aberranti, di anomalie e disfunzioni, eventi che viceversa andrebbero giudicati del tutto normali; la verità del nostro rapporto con la scuola non è mai esattamente là dove ci saremmo aspettati di trovarla, poiché — in ogni caso — chi insegna non è che una "variabile del processo di cambiamento, soggetta alla retroazione della classe". Il docente, in altri termini, è parte integrante di un sistema che evolve in direzioni per nulla scontate, e anzi da individuare volta per volta. Tra educare ed essere educati non dovrebbe esistere alcuna vera discontinuità; e infatti al classico concetto di feed-back bisognerebbe affiancare quello di teach-back, nel senso che ogni docente deve essere consapevole che, prima o poi, ma infallibilmente, la sua classe gli insegnerà qualcosa, che anche come specialista (vero o presun- to) di una disciplina, egli uscirà, dovrà uscire trasformato dal rapporto con i cosiddetti discenti. Ora, quello che forse più conta nel discorso di Armellini è che tali nozioni non restano confinate nel limbo delle asettiche formulazioni pedagogiche, ma trovano subito una verifica pratica. E il fatto deve essere con forza sottolineato anche perché il saggio in que- stione compare entro un volume dove (fatta eccezione per gli interventi di Mariagrazia Contini e Luisa Fabbri-chesi Ceccareili) non è molto lo spazio riservato a un'idea di didattica operativa, orientata alla definizione di concreti percorsi di apprendimento; e addirittura capita di leggere un saggio come quello introduttivo di Duccio Demetrio che teorizza esattamente l'opposto di quanto Armellini afferma, e dichiara a chiare lettere che compito del formatore è "manipolare" il formando convincendolo che "quanto si va facendo per lui è utile e dilettevole" (p. 13). Qual è dunque il primo dovere dell'insegnante di letteratura che voglia correttamente interagire con i "suoi" studenti, e che pertanto sia disposto anche a imparare qualcosa da loro? Non c'è alcun dubbio che la prima attività per lui obbligatoria sarà una conoscenza delle esperienze letterarie e paraletterarie, latamente estetiche, che fondano l'immaginario degli interlocutori. Le didattiche dominanti, e quasi tutti i libri di testo, infatti, considerano gli studenti tabula rasa, e in senso pressoché letterale, in quanto credono che chi comincia a studiare la letteratura possieda sì competenze linguistiche e semiologiche anche molto raffinate (nella nostra scuola è per esempio normale pretendere che un quindicenne sappia fare una cosa complicatissima come prendere appunti), ma — curiosamente — sia del tutto ignaro di fenomeni letterari ovvero estetici. Il che, fra l'altro, produce distorsioni prospettiche che sembrano fatte apposta per allontanare gli studenti dalla letteratura. Guai, ad esempio, a dire in un libro scolastico che la poesia lirica parla innanzi tutto d'amore, cioè di quella cosa che fa palpitare gli adolescenti di ogni tempo e luogo: un'osservazione così frivola ti impedirebbe infatti di capire che il denominatore comune di Saffo e Petrarca, Catullo e Foscolo, Leopardi e Montale e così via, è la messa in dominante della funzione poetica, con tutte le altre importanti cose che i poetologi ci hanno da un pezzo insegnato. Guai, inoltre, a chiedere un'opinione a un giovane in merito al testo che gli abbiamo proposto, perché in questo modo potrebbe finire per piacergli, mentre tutti sanno che un'opera letteraria la si comprende tanto meglio quanto più passivamente ci atteniamo alle risultanze offerteci dagli scienziati della letteratura, unici legittimi giudici in argomento, e abilissimi produttori di commenti che vantaggiosamente (anche se forse un po' noiosamente) sostituiscono la lettura e la comprensione del testo in quanto tale. Il sarcasmo è davvero troppo facile, ma è pressoché obbligatorio di fronte alle proposte dette "didattiche" avanzate da troppi libri in commercio, e condivise da troppi docenti in carriera (e non solo nella scuola dell'obbligo e nella secondaria superiore, beninteso). Viceversa, ci dice Armellini, le confuse competenze estetiche degli allievi (formatesi su fumetti, pubblicità, cinema, canzoni, ecc.) possono diventare un'ottima risorsa su cui l'insegnante è tenuto a intervenire, riservando a esse un ampio spazio entro il proprio lavoro. Di qui nasce una didattica veramente operativa, poiché la letteratura smette di essere un patrimonio di valori definito una volta per tutte, ma viene concepita come un oggetto problematico che si fa (cioè appunto avviene e diviene) mentre lo si studia. La classe è comunità interpretativa, luogo di discussione intorno ai testi, che hanno certo una loro storia (Armellini non-perviene affatto a una soggettivizzazio-ne anarchica dell'esperienza letteraria), ma che la devono continuamente riattivare a contatto con i soggetti reali, storicissimi, della comunicazione letteraria: gli studenti e il "loro" insegnante, appunto. Ma il testo si fa anche in un modo più radicale, nel senso che la letteratura in classe può pure essere prodotta. Il discorso, in questo settore, è certo assai complesso e delicato perché — almeno a mio avviso — bisogna evitare di cadere nello spontaneismo della "creatività" individuale, come pratica che periodicamente contrassegna le crisi di identità di un ceto intellettuale frustrato. Ma Armellini punta molto sul gioco e sulla tecnica, sull'artificio volutamente ozioso e quasi enigmistico, e quindi ci preserva da ogni idea magica o crociana dell'arte. Anzi, la prospettiva "produttivistica" da lui delineata ha una straordinaria ricaduta teorica e razionalizzante: perché appare funzionale a un progetto di partecipazione alla (e di gioco con l> LA NOSTRA LINGUA Biblioteca storie^ di linguistica italiana La collezione si affianca al Grande dizionario della lingua italiana di cui è ora disponibile il XVII volume (ROBA-SCHI). L'italiano nelle regioni Lingua nazionale e identità regionali a cura di Francesco Bruni. Pagine XXXVIII-1038. Testi e documenti a cura di Francesco Bruni. Pagine XL-938. L'italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura. Testi e documenti, di Francesco Bruni. Pagine XII-484. Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni forme costrutti, di Luca Serianni con la collaborazione di Alberto Castel vecchi. Pagine XVI-712. Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, di Giuliano Gasca Queirazza, Carla Marcato, Giovan Battista Pellegrini, Giulia Petracco Sicardi e Alda Rossebastiano. Pagine XXVIII-722. novità novità