SETTEMBRE 1994 • N. 8, PAG. 39 Terapie letterarie di Angelo Di Carlo Stefano Ferrari, Scrittura come riparazione. Saggio su letteratura e psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 277, Lit 35.000. La riflessione dell'autore muove da una domanda: perché si scrive? Quali sono le radici profonde del bisogno di narrare di sé, degli altri, della vita e del mondo? Di fatto (è questa la risposta) la scrittura sembra avere una sua oscura funzione terapeutica. La scrittura nasce dalla necessità di contenere ed elaborare un affetto, una perdita, un dolore. Il suo lavoro (il "lavoro della scrittura") è, in certa misura, analogo al "lavoro del lutto" di cui ha parlato Freud, intendendo con queste parole quella complessa elaborazione psichica che porta chi ha subito una perdita a distanziare la pena, conservando nel mondo interno l'immagine e il ricordo della persona amata. La scrittura nasce dunque dal bisogno di risignificare e superare il dolore, nasce da un lavoro della mente intessuto di tempo e di memoria. In questo senso la scrittura è riparazione: è riparazione per quel continuo riemergere del ricordo che si fa parola, così che grazie a un particolare "dire" il dolore cambia segno. La riparazione nell'esperienza analitica è un lavoro lento, che ha bisogno del tempo, ha bisogno del transfert, con la sua forza attualizzante, con il suo potere di ripetere e rivisitare antichi luoghi della mente. Nella letteratura (e in analisi) la riparazione nasce dalla presa di distanza e, insieme, da un rapporto di continuità con il passato, ma nella letteratura la riparazione nasce soprattutto dalla forza e dalla possibilità di tradurre in metafora quel complesso intreccio di ricordi e di immaginazione che vive nel profondo della mente. Per Proust (assai presente per evidenti motivi in questo libro) il lavoro della scrittura si risolve nel lavoro della metafora: "l'estasi della memoria involontaria", "la folgorante intensità delle illuminazioni analogiche" che attraversano il testo proustiano, possono essere dette solo nel linguaggio della metafora. La metafora accoglie le risonanze della memoria, l'irruzione del tempo, e si fa riparazione per questo suo pensare e ricreare la vita interiore presente e passata. Così, ciò che sembrava perduto, morto, grazie alla scrittura vive in un racconto nuovo. Questo itinerario verso la riparazione interiore lo ritroviamo in tutta la letteratura del dolore e della memoria e lo ritroviamo in Giacomo Leopardi, a cui l'autore dedica un lungo capitolo. Nell'opera di Leopardi il "lavoro del lutto" è un evento centrale. Dolore e infelicità per ciò che appare distrutto e perduto (l'amore, la giovinezza) sono analizzati dal poeta con un doppio movimento della ragione e del sentimento. Leopardi ripara il suo male di vivere grazie a una concezione generale del dolore umano, che universalizza la sofferenza e la rende tollerabile, ma la riparazione è dovuta anche alla possibilità di ripercorrere intense emozioni soggettive, è legata alla "ricordanza" e alla parola che la evoca. Il dolore esce così dalla frammentazione, dalla condizione scissa e irrisolta in cui viveva, si traduce in pensieri e immagini e si fa tollerabile. Il libro di Ferrari è assai utile per ripensare alcune categorie psicoanalitiche rivedendole fuori dal setting analitico, nell'opera dei poeti e degli scrittori. Leggere i poeti con queste chiavi ci aiuta a capire quanto diceva Freud, che considerava i poeti autentici scopritori, veri anticipatori delle psicologie del profondo. Tuttavia in un'opera così attenta e puntuale come questa di Ferrari poteva essere utile un uso più largo della letteratura psicoanalitica kleiniana e postkleiniana sul lutto, la riparazione e la simbolizzazione. Mi viene in mente in particolare il tema bio-niano della rèverie e del contenimento del dolore mentale, e l'analisi del ruolo che assolve la funzione simbolica nella vita della mente, con l'esperienza della bellezza che vi è connessa. Forse in questo libro si usa un po' troppo il linguaggio "energetico" della psicoanalisi e si dà poco spazio al linguaggio degli oggetti interni, e tuttavia il libro è un notevole contributo per ripensare l'importanza dell'esperienza estetica nella modulazione del dolore mentale e nella riparazione degli oggetti profondi che animano la vita psichica. ne domande che anche altri libri recenti (penso ai Versi di un invalido civile di mente al 100/100 di Francesco Crìsafulli e alla Critica al giudizio psichiatrico di Giorgio Antonucci, entrambi pubblicati dalle edizioni Sensibili alle foglie) e alcuni film hanno contribuito a rendere di attualità. Ovvero quale sia concretamente l'esito di sistemi sanitari e assistenziali che si vorrebbero di protezione e aiuto per i cittadini in società considerate democratiche per eccellenza come quelle anglosassoni, ove la libertà individuale, lungi dal trovare negli altri un sostegno e un limite nel necessario rispetto reciproco, viene invece negata con aprioristica violenza se ritenuta potenzialmente lesiva dell'integrità del sistema stesso che, per salvaguardare la cosiddetta normalità, nega il diritto alla diversità e alla sofferenza, con ciò rivelando la propria natura totalitaria. Alle grida di Kate Millett — artista, lesbica, battagliera militante per la difesa dei diritti dei prigionieri politici negli Usa, in Irlanda o in Iran — fanno eco le grida della prolifica protagonista dell'ultimo film di Ken Loach, Ladybird, Ladybird. Ribadendo l'equazione attaccamento alla propria vita = diritto alla propria diversità si rischia di cadere in balia di quanti sono preposti a vigilare sul nostro bene misurando "la condotta, il contegno, il comportamento sociale", stabilendo limiti e canoni di desideri e fantasie, dichiarando perseguibile, e segre-gabile, chi ad essi non si conforma, facendo di ogni diverso, di ogni sofferente, un borderline. "In un sol colpo, nell'arco di una settimana, perdetti marito e casa, il matrimonio e lo studio, senza mai realmente sapere quale perdita fosse peggiore, ma sospettando che quella dello studio colpisse più profondamente il sé e il suo senso di sicurezza", ricorda Kate Millett, e sottolinea l'improvviso senso di panico, lo smarrimento, con "la gente che continua a rivolgersi a te per posta o per telefono" e tu che vuoi morire. Forse ti sono saltate le rotelle, ma resta comunque il diritto al dolore e alla disperazione, invece "quello che infine mi ridusse al silenzio fu arrivare a comprendere quanto fermamente coloro che mi avevano imprigionata credessero nella correttezza di ciò che mi avevano fatto; niente al mondo li avrebbe fatti dubitare. Non avrebbero mai ammesso l'esistenza di una zona intermedia di leggero squilibrio, o pensato alla follia come a una condizione ibrida, una situazione ambivalente, non un crimine". Anni di sofferenze inutili, una lotta a tratti incompresa anche dalle amiche migliori, perfino dalla sua compagna, eppure da tanta devastazione rispunta infine la voglia di vivere, scrivendo quanto è successo, raccontando tutto, impietosamente, senza risparmiare a chi legge l'allucinata monotonia di certe descrizioni d'interni manicomiali, l'effetto perturbante che il dolore altrui ha sulla propria coscienza, talvolta forse la paura di queste energie liberate dalla propria psiche, ma questo voleva senza dubbio Kate Millett, quando, finalmente affrancata da una dipendenza non scelta, decise di abbandonare ogni altro impegno, e di mettere nero su bianco quel macigno che si portava dentro, di costringere chi legge a condividerne il peso. Esperienze di Mauro Mancia Agostino Racalbuto, Fra il fare e il dire. L'esperienza dell'inconscio e del non verbale in psicoanalisi, Cortina, Milano 1994, pp. 187, Lit 33.000. "Tra il dire e il fare — dice un vecchio proverbio — c'è di mezzo il mare", per indicare che molti ostacoli si frappongono fra le intenzioni (o i desideri) e la loro realizzazione. Racalbuto rovescia il proverbio e sottolinea le difficoltà che la mente umana incontra nel passare dal fare al dire, cioè nel processo trasformativo che va dalle rappresentazioni di cosa alle rappresentazioni di parola. Ogni pagina del libro si muove in un percorso tracciato dal pensiero di Freud dove l'esperienza clinica si intreccia con l'elaborato teorico a comporre un mosaico dei più suggestivi anche se non sempre di facile lettura. Concentrandosi sul processo trasformativo dai sistemi rappresentazionali a quelli della significazione, è ovvio che l'interesse maggiore del libro sta proprio nelle pagine dedicate al pre-verbale e alla non pensabilità delle espe- rienze. Racalbuto non differenzia il tipo di rappresentazione che il bambino crea nel suo mondo interno nel corso dello sviluppo (ad esempio, rappresentazione sensoriale, percettiva, concettuale, semiotica, nell'accezione usata dagli psicologi dell'età evolutiva). La mia impressione è che con il termine di rappresentazione Racalbuto intenda un'area semantica molto ampia che va dalla rappresentazione di cosa a quella di parola, e che quindi includa sia i grandi sistemi rappresentazionali che quelli di significazione. In quest'area hanno un gioco fondamentale gli affetti che regolano i processi di simbolizzazione e di organizzazione del pensiero. Si capisce così perché per Racalbuto il dolore in quanto tale non sia rappresentabile e quindi non possa essere pensato, o perché, citando Green, egli scriva che "l'affetto nella crisi di angoscia prende il posto della rappresentazione" oppure affermi che "la rappresentazione è ciò che forma il contenuto concreto di un atto di pensiero". Mi sono domandato se in realtà l'affetto nelle crisi di angoscia non impedisca la trasformazione delle rappresentazioni in un sistema di significazioni e se il dolore non possa essere pensato perché non trasformabile, anche se comunque legato a una rappresentazione. Ho il sospetto che anche Racalbuto colga la differenza fra rap- presentazioni e loro trasformazioni là dove precisa che esistono esperienze che un individuo può aver vissuto ma che allo stesso tempo non hanno potuto trovare un luogo e "parole" per essere pensate come rappresentazioni verbali. Egli afferma che si tratta di esperienze non storicizzabili ma che rimangono "nello psichismo dell'individuo come inconscio impensabile in parole". D'accordo. Ma restano come rap presentazioni relazionali cariche di affetto che non sono trasformabili in parole. Infatti io credo che senza rappresentazioni non c'è vita mentale e il disturbo affettivo e relazionale possa rendere queste rappresentazioni intrasformabili cioè inesprimibili simbolicamente in parole, ma capaci di prendere ad esempio la via del soma e manifestarsi come disturbi psicosomatici o come "alessitimia" o altre forme di non esperienza. Racalbuto sembra muoversi in un modello pulsionale della mente dove tuttavia non c'è spazio per la pulsione di morte. Thanatos appare come secondaria "conseguenza della comune matrice libidica originaria": si tratta dunque di un'interpretazione adattati-va, che pone Thanatos al servizio della vita. Viene giustamente distinta la distruttività dall'aggressività, essendo quest'ultima complementare alla libido "anch'essa concorrente alla costitu- zione di un flusso libido emotivo "che garantisca la vita". Al contrario, la distruttività viene definita come primitiva, risultato di un "precipitato relazionale fallimentare sul piano intrapsichico... piuttosto che espressione di un istinto di morte innato". Il che è come dire secondaria. Su questa linea anche l'odio sarebbe secondario e verrebbe a indicare "l'Io immaturo di un individuo tradito nell'amore primario". Nel capitolo dedicato alla teoria dell'analista, Racalbuto sottolinea giustamente la necessità che si riduca la distanza tra teoria e clinica e che le convinzioni dell'analista nel suo lavoro nascano dentro di lui "dalla sua esperienza di analizzando, da candidato in supervisione, dall'autoanalisi, dall'esperienza clinica con i pazienti, anche dalla sua vita di tutti i giorni". Racalbuto conclude il suo lavoro citando Modell, il quale pone gli affetti al crocevia tra fisiologia e psicologia, tra biologia e storia. L'oggetto resta corporeo nella sua essenza "conosciuto e non pensato" dunque irrappresentabile — insiste l'autore — come nucleo originario del Sé. Penso che Racalbuto voglia dire che è un oggetto non pensabile perché non significabile, cioè non trasformabile simbolicamente, anche se esiste, e non potrebbe essere altrimenti, come rappresentazione inconscia. HLANFRANCHI Saggistica Salvatore Natoli L'incessante meraviglia Filosofia, espressione, verità Gli scritti qui raccolti si soffermano sulla «verità» e quel che emerge e il modo in cui la verità è messa in gioco nei diversi linguaggi. Pag. 190-Lire 28.000 Carlo Sini Il profondo e l'espressione Filosofia, psichiatria e psicoanalisi La psichiatria del nostro secolo è debitrice nei confronti della filosofia di non poche rivoluzioni concettuali e metodologiche. Pag. 250 - Lire 28.000 Carlo Tullio - Altan Un processo di pensiero Un'idea guida, quella della soggettività umana intesa come «universale concreto». Pag. 352-Lire 32.000 Vincenzo Vitiello La voce riflessa Logica ed etica della contraddizione I problema è di vedere in che modo è possibile parlare dell'Altro senza ridurlo al medesimo. Pag. 235 - Lire 28.000 " Narrativa Peter Hàrtling JANEK ritratto di un ricordo Un libro serrato, scottante, con uno stile che abbandona ogni letterata ricercatezza; per inchiodare immagini e sensazioni con una freschezza e irruenza insolite. Pag. 170-Lire 26.000 Josefina Vincens Solitaria conversazione con il nulla E' ammirevole che con un tema come quello del «nulla» l'Autrice abbia saputo scrivere un libro così vivo e lo è anche il fatto che sia riuscita a creare dalla «vuota» intimità del personaggio, tutto un mondo. Pag. 185-Lire 26.000 Armando Guiducci Il grande Sepik Il tramonto del primitivo In questo libro Armando Guiducci conduce il lettore ad incontrare gli aborigeni dell'Australia e diversi gruppi tribali della Nuova Guinea. E con taglio antropologico leggende e modi di vita. Pag. 152-Lire 26.000 Poesia Yone Noguchi Diecimila foglie vaganti nell'aria Importante non è quello che esprime ma come lo «haiku» esprime se stesso spiritualmente; il suo valore non è nella sua immediatezza concreta, bensì nella sua non immediatezza psicologica. Pag. 120-Lire 27.000 . via Madonnina 10 20121 Milano