I-INDICE ■ dei libri del meseHH SETTEMBRE 1994 N 8, PAG. 35 edizioni QuattroVènti 61029 URBINO - C.P. 196 ^— ^ FAX0722/32G938 ICILIO VECCHIOTTI SCHELLING GIOVANE (1794-1799) Dalla «Possibilità di una forma...» ali '«lo come Principio della Filosofia» - I Philosophische Briefe uber Dogmatismus und Skeptizismus - Dai problemi vari concernenti talune opere incompiute alle cosiddette Abhandlungen - Le motivazioni di base delle Ideen - La costruzione del naturalismo all'interno dell'idealismo - Il passaggio dalla Introduzione alla Aggiunta -1 problemi della Aggiunta del 1803 - Nota bibliografica (pp. 384, L. 40.000) Nordismo ruspante di Gian Enrico Rusconi presentato comunque il momento più alto dell'"integrazione nazionale" al punto che la nazione italiana non si sarebbe più ripresa dal trauma dell'8 settembre. Contro questa tesi l'autore sostiene che "quella che andò in frantumi nella crisi italiana del 1943-45 non fu la nostra identità nazionale e la.nostra idea di patria comune, quanto il tenue tentativo di nazionalizzazione burocratica delle masse durante il ventennio; e i partiti antifascisti furono costretti a prender atto che il progetto del fascismo di sostituirsi allo Stato liberale nel 'fare gli italiani' era fallito". (Resisto qui alla tentazione di riaprire l'amichevole querelle con De Luna, che nega la significatività del progetto patriottico-nazionale implicito in molti resistenti). Torniamo al leghismo, anzi alla "tremenda efficacia della sua proposta" di una nazione integrata sulla base di criteri funzionali di interesse, su indicatori esclusivamente materiali sintetizzati nella coppia "casa-capannone". E una conclusione che lascia di nuovo perplessi per la sottovalutazione della dimensione autonomista, nordista, separatista del leghismo senza la quale non si capisce la capacità di mobilitazione e di efficacia politica del movimento. Ma la perplessità sparisce se si accetta l'idea (suggerita dallo stesso De Luna in un dibattito pubblico) che il leghismo, quale esce da questo libro, è in fondo soltanto l'anticipatore di un altro più forte soggetto politico: Forza Italia. Con questo nuovo soggetto politico la nazione (o meglio quel certo modo di "fare gli italiani" descritto nel libro) è addirittura inglobata nell'immagine del suo marketing politico. Se si entra in questa prospettiva, se si accetta questo singolare qui prò quo tra Lega e Forza Italia, allora i conti tornano. Macchine del progresso di Mario Pianta I figli di un benessere minore: la Lega, 1979-93, a cura di Giovanni De Luna, La Nuova Italia, Firenze 1994, pp.291, Lit 25.000. Soltanto in apparenza il leghismo è negatore della nazione italiana, in realtà esso è l'ultimo progetto di "fare gli italiani". Questa, in sintesi, è l'idea guida del libro curato da Giovanni De Luna. Si tratta di un approccio originale per valutare e collocare nella lunga prospettiva storica il fenomeno leghista, liberandolo da letture miopi e contingenti. E un modo per prendere sul serio la Lega, ma anche per rilanciare polemicamente la questione storica della nazione-Italia. Prima di affrontare l'impianto del libro, esplicitato soprattutto nell'introduzione, vanno riconosciuti i meriti di analisi dei suoi capitoli centrali, anche se talune proiezioni sono superate dalla cronaca politica. Ma questo è il costo che paga lo studio di un fenomeno così magmatico e instabile come il leghismo, per di più in un contesto politico che non sembra mai assestarsi. Questa ricerca sul leghismo in effetti arriva cronologicamente soltanto sino all'elezione dei sindaci: non prende in considerazione l'entrata in campo di Forza Italia e del berlusconismo. Detto questo, le informazioni storiche, sociologiche, economiche fornite dal libro, soprattutto per quanto riguarda le origini del leghismo, rimangono valide. Ma veniamo al saggio introduttivo di De Luna. Il suo ragionamento si può concentrare in tre argomenti e in un corollario sottinteso. Il primo argomento dice che la società italiana ha sempre avuto i suoi movimenti di "integrazione" o di identità collettiva al di fuori della nazione. In altre parole, la nazione italiana è il sottoprodotto malriuscito di operazioni politico-statuali più volte tentate senza successo. Una costante della storia italiana è quindi la contrapposizione tra "artifi-cialismo statuale" e "identità locali". Di conseguenza "ogni volta che si è registrata una insorgenza particolarista quello che è emerso non è tanto il rischio di 'cessare d'essere nazione' quanto un deficit di azione politica". A questa interpretazione strettamente politica del particolarismo, regionalismo, autonomismo italiano se ne aggiunge un'altra che chiamerei "materialistica". "A prescindere dai riferimenti etnici e territoriali, la Lega invita tutti gli italiani del Nord e del Sud a riconoscersi in un'appartenenza comune definitasi attorno alle categorie del mercato, della produzione e dello sviluppo economico. In rotta di collisione con tutti gli strumenti dell'artifi-cialismo politico, rifiutando sia gli apparati istituzionali sia il partito come veicoli di integrazione, la Lega per 'fare gli italiani' sembra voler attingere a una illimitata fiducia nel progresso materiale e nell'accrescimento dei beni e delle merci, ritenendoli in grado di riassorbire o almeno attenuare le differenze e di costituire una 'nazione' in cui ci si senta tutti 'figli dello stesso benessere"'. Da queste affermazioni discende il corollario (tacito) che è tempo sprecato rammaricarsi per la mancata "nazione italiana" incarnata da grandi idealità civiche; anziché preoccuparsi di una nazione italiana del "dover essere" civico, bisogna concentrarsi sui modi storici del "farsi degli italiani" in termini politici ed economici. Che dire di questa impostazione? Sono del tutto d'accordo che nell'analisi della questione nazionale il primato debba essere assegnato alla politica piuttosto che ai criteri etno-culturali, in base all'assunto della "realtà essenzialmente politica ed elettiva dell'identità nazionale". Ma questa impostazione non deve portare a considerare le Camera dei Lord che "la giungla e la malaria stanno guadagnando terreno. Dacca, la Manchester dell'India una volta fiorente, è ora divenuta una città molto piccola e povera". Oggi Dacca è la capitale del più povero stato del mondo, il Bangladesh. Sull'India come su larga parte di Asia, Africa e America latina sono stati questi gli effetti dell'integrazione nell'economia mondiale prima, dello sfruttamento coloniale poi, e oggi del dominio delle economie del nord del mondo. Con l'occasione del cinque-centenario della conquista delle Americhe, l'ultimo libro di Noam Chomsky ci offre un viaggio nel passato e presente dell'economia-mondo. Un importante esercizio della memoria, sostenuto da centinaia di riferimenti a fonti storiche, documenti ufficiali, studi specialistici, scritto con grande vivacità e argomentato con vigore. I meccanismi e le trasformazioni dell'imperialismo europeo prima e statunitense poi, le regole dell'"ordine mondiale" vecchio e nuovo sono ricostruite da Chomsky non sul piano delle teorie, ma attraverso una fittissima catena di fatti: scelte politiche, decisioni di grandi imprese, strategie diplomatiche, azioni militari. Fino ai fatti più scomodi, appannati dalle "amnesie occidentali": dal commercio di schiavi allo sterminio di Àpaches e Cherokee, e, più vicino a noi, le repressioni e gli interventi militari in Indonesia, Vietnam, Cile, Timor est, Iraq, Haiti. Pur con una scarsa sistematicità dell'argomentazione, il libro di Chomsky è una preziosa guida al presente del capitalismo, un atlante storico e geografico del dominio occidentale, che rileva puntualmente il contrasto tra valori proclamati e politiche praticate, senza timore di usare i toni della denuncia morale. Come nei suoi testi politici precedenti, Chomsky rivolge un'attenzione particolare alle forme di costruzione del consenso di massa in Usa ed Europa, al ruolo degli intellettuali nel legittimare l'ordine esistente, all'evoluzione del più recente dibattito politico e culturale, dal "fondamentalismo monetarista" alle polemiche sulle interpretazioni "politicamente corrette". L'importanza del lavoro di Chomsky — linguista del Massachusetts Institute of Technology e analista della politica — è ormai tale da potersi "misurare" empiricamente: la prefazione di Lucio Manisco ci ricorda che Chomsky è l'autore vivente più citato dall'Ari and Humanities Citation Index ed è l'ottavo di tutti i tempi, dopo Platone e Freud. identità nazionali e/o regionali, locali ecc. come semplici variabili dipendenti dalle politiche di volta in volta messe in pratica. Credo che De Luna sia in linea di principio d'accordo con questa mia precisazione, ma da alcuni passaggi della sua analisi si ha spesso l'impressione opposta. Così, nel caso della Lega Nord, mi pare che l'autore sottovaluti oltre il dovuto la forza autonoma dell'autoidentificazione etno-cul-turale leghista. Infatti è sulla base di questa autoidentificazione (che possia- mo sommariamente chiamare "lombardismo" e/o "nordismo") che il movimento organizza i suoi interessi materiali e propone la loro riformulazione istituzionale nelle macroregioni. Sembra dunque falsificata una delle tesi del libro che le "originarie identità locali non si pongono in alternativa allo Stato unitario". Il leghismo lo ha fatto o è sembrato farlo, nei suoi momenti più aggressivi, traendo vigore dalle sue motivazioni identitarie. Naturalmente, le ultime vicende del leghismo "governativo" sembrano riportare alla conferma dell'incapacità del localismo nostrano di farsi alternativa allo stato. Ma mi chiedo se non si tratti più di un problema di risorse strategiche che non di intenti politici. Per il resto, la turbolenza politica quotidiana ci invita alla prudenza di giudizio. Veniamo alla grande prospettiva storica della "nazionalizzazione degli italiani" o meglio del suo fallimento. De Luna presta grande attenzione all'esperienza fascista per contestare la tesi diffusa (soprattutto nella scuola defeliciana) che il fascismo abbia rap- Noam Chomsky, Anno 501, la conquista continua. L'epopea dell' imperialismo dal genocidio coloniale ai nostri giorni, prefaz. di Lucio Manisco, Gamberetti, Roma 1993, ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Stefania Fumo e Serena Filpa, pp. 350, Lit 32.000. Nel 1757 il centro tessile di Dacca era "grande, popoloso e ricco quanto la città di Londra". Nel 1840 un altro osservatore inglese dichiarava alla