OTTOBRE 1994 - N. 9, PAG. 12 Narratori italiani Le realtà romanzesche Dacia Maraini, Isolino, Rizzoli, Milano 1992, la ed. Mondadori, Milano 1985, pp. 182, Lit 28.000. Dacia Maraini ha l'arte degli inizi emozionanti, che fanno presa sul lettore e lo attirano dentro una storia. A Palermo, in un giorno qualunque della vita settecentesca, ecco mostrarsi l'apparato fastoso del supplizio e la miseria della carne che muore; ecco il carcere e la forca, il boia e l'impiccato, riflessi in un occhio estraneo, di bambina, nel subbuglio di indicibili sensazioni: così incomincia La lunga vita di Marianna Ucria. A Verona, il 16 gennaio 1900, ecco affiorare dall'Adige un involto voluminoso di pezzi umani, kg 13,400 di donna: e incomincia così, dall'occhiata di una lavandaia, il racconto della scomparsa e del ritrovamento di Isolina. Prima di scendere verso la Sicilia, prima di ottenere con la storia di Marianna e con Bagherìa il successo dei best-seller, Dacia Maraini ha scritto Isolina, la donna tagliata a pezzi, un romanzo del Nord. Romanzo di genere speciale; ritratto d'epoca, indagine su un delitto e un ambiente, nel solco della narrativa di "non finzione" che, in Italia e altrove, ci ha dato spesso bei libri. Quando la Maraini nel 1983 girava per Verona sulle tracce di Isolina, Sciascia aveva già scelto di specializzarsi nella riscrittura di fatti avvenuti in tempi più o meno lontani ed evocava morti oscure, processi e sentenze memorabili ideando per Sellerio "La memoria", fortunata collana. Intanto Gian Franco Vené costruiva il suo miglior poliziesco e raccontava la strage di Villarbasse, delitto e castigo esemplari del dopoguerra, dieci inermi uccisi e tre condanne a morte per gli uccisori, le ultime eseguite in Italia; poi, insistendo nella formula dell'intreccio di minuta cronaca quotidiana con eventi d'eccezione, avrebbe anch'egli infine puntato su Verona per farne emergere il processo del 1944, quello che l'ha resa famosa e l'ha consegnata alla nostra storia politica (Coprifuoco, Mondadori, 1989, sulla fucilazione di Ciano e degli altri). Nel resoconto di un processo, che occupa due capitoli dei quattro in cui il libro è articolato, culmina la tensione narrativa di Isolina; ma il filo conduttore della pietà qui vuol dar risalto non tanto alle dimensioni politiche della vicenda processuale, quanto alla vita sommersa che essa lascia intravedere. Esiste uno stile di scrittura femminile? No, sostiene Dacia Maraini; c'è invece o dovrebbe esserci, per ragioni culturali e storiche, un punto di vista delle donne che scrivono. Perciò attraverso Isolina e Marianna Ucrìa e il racconto autobiografico del ritorno in Sicilia continua a scavare nei percorsi tortuosi dell'attrazione che sottomette le bambine agli adulti, le figlie ai padri e stringe fra di loro imbrogliandoli uomini e donne. Con differenze di libro in libro. La nobile Marianna Ucrìa, sordomuta e a suo modo letterata, prende forma romanzesca nascendo dal lavoro di un pensiero che liberamente può attribuirle caratteri spiccati, intense metafore della servitù e dell'emancipazione femminile; Isolina Canuti è soltanto una ragazza in carne e ossa, e nel raffigurarla bisogna misurarsi con l'insignificanza della sua realtà confusa, ordinaria. A Verona, città guarnigione, Isolina muore durante un aborto a cui l'avrebbe persuasa Carlo Trivulzio, tenente del 6° reggimento degli Alpini; viene smembrata con mano esperta (da un ufficiale medico?), sparisce nel fiume e torna a galla in pezzi e fagotti, cadavere incompleto; passa nei casi insoluti. Il processo si farà, l'anno dopo, contro Mario Todeschini, deputato socialista che sul "Verona del Popolo" non ha mai smesso di provocare Trivulzio per strappargli una querela e portarlo davanti al tribunale dell'opinione pubblica. Va male però a Todeschini, condannato per diffamazione dalla sentenza del 31 dicembre 1901. Isolina è figlia di un impiegato, un poveruomo di Lidia De Federicis che s'arrangia dando in affitto qualche camera agli ufficiali di passaggio; Trivulzio viene da una famiglia nobile e ricca di Udine, ha il sostegno del ceto e della posizione. In tale oggettiva distanza fra i due protagonisti, e nella sconfitta della parte di Isolina, c'è quanto basta per autorizzare la tesi del tutto plausibile, o forse ovvia, che guida il libro ed è ripresa nel saggio intro- duttivo di Rossana Rossanda: lo Stato si è schierato a difesa della propria immagine e alla fine contro l'onore di una ragazzina ha trionfato l'onore dell'esercito. Oltre la tesi, le cose e le persone sembrano muoversi con aspetti più sfaccettati. Nel mondo di Isolina capita che le ragazze siano ma-laticce e malmesse, bruttine; hanno situazioni mediocri e voglia di uscirne, voglia d'innamorarsi. Capita spesso, ai primi del Novecento, che siano piccole, ignoranti. A scuola vanno poco, e di Isolina, diciannove anni, non è rimasta una memoria scritta affidata a quaderni, lettere, diari. Carlo Trivulzio di anni ne ha venticinque ed è un bel giovane normale; legge D'Annunzio ma, praticando il costume so- cialmente ammesso, abbraccia volentieri la bruttina che ha in casa. Nel mondo di Trivulzio la solidarietà maschile e di gruppo crea comportamenti obbligati. Trivulzio ne ha i vantaggi e i danni. Fino al processo regge bene il ruolo di ufficiale e gentiluomo (libertino, non assassino) e copre gli amici che sono stati complici o responsabili maggiori della brutta fine di Isolina. Poi diventa un uomo solitario; nel mestiere delle armi percorre una carriera silenziosa, appartata (muore nel 1949). Perduti gli atti della prima istruttoria e le carte d'archivio, dov'è la verità in questo romanzo-verità? Come si atteggia l'autore, la Dacia Maraini intellettuale, che vuole capire ed esprimersi ma nel rispetto filologico per la scarsità dei dati e per il fondo remoto (inespresso) di mentalità diverse, di ragazzine, serve, levatrici? Come monta in racconto un pulviscolo di parole smozzicate di gente che non sa raccontarsi? Nei libri siciliani, esplorando i luoghi dell'infanzia e le ascendenze di famiglia, si è concessa la scrittura senza schematismi della pura affabulazio-ne e i vagabondaggi tipici di un viag- gio sentimentale. In Isolina, al contrario, ha riservato al racconto di sé e al senso soggettivo della ricerca un solo capitolo; e per il resto ha preso una voce impersonale, tenendosi in limiti stretti e componendo le pagine con un intarsio di citazioni. Ne è uscito un libro che attua la ricostruzione storica anzitutto come recupero di linguaggi altrui, parlati e scritti, popolareschi e curiali, tutti assorbiti e mediati dall'intervento giornalistico. I giornali sono infatti le uniche fonti disponibili. I giornali di allora, e non solo veronesi, ma "Il Resto del Carlino", "La Stampa", "Il Corriere della Sera", che svolsero la funzione suggestiva a cui, oggi, siamo abituati, con le inchieste parallele, lo sfoggio di interviste e commenti, le retoriche di innocentisti e colpevolisti, e infine con la presenza in tribunale per render conto del processo e accentuarne la teatralità. Alla prima lettura il libro ci dà la cronaca di quest'intrigo giornalistico e giudiziario, in anni politicamente difficili e in una città di frontiera, un'antica fortezza cresciuta nella tradizionale società contadina del Veneto. Non è poco. S'aggiunge il significato che viene dallo strato profondo dell'immaginazione letteraria e dalla sua tessitura allusiva e simbolica. Dacia Maraini, da buona lettrice dei maestri del realismo, lega personaggi e ambienti in una trama di corrispondenze. Disegna una struttura urbana che ha spazi contrapposti: da un lato la geometria delle architetture, la corona dei fortilizi eleganti e solenni, in cui l'autorità è pietrificata e resa ben visibile; dall'altro l'acqua, l'anarchia del fiume che scorre tumultuoso e color fango. Fa emergere man mano dal montaggio del racconto un quadro notturno e la scena truculenta del tentato aborto, alla trattoria del Chiodo, ritrovo di ufficiali, dove l'oste guarda e tace (secondo un collaudato stereotipo). Cattura la nostra attenzione su certi oggetti che accennano a ironici contrasti: per Carlo le tante fotografie, che lo ritraggono in varie uniformi, ne accompagnano la carriera e ne svelano da vecchio la faccia spaventata; per Isolina, per il suo corpo minuto e gobbo — il corpo squartato — un bianco corpetto a ricami e nastri fatto cucire di nascosto e destinato agli incontri d'amore. La concretezza materiale dei dettagli realistici innesca una fantasia visionaria. L'acqua del fiume travolge pezzi di donna e avanzi qualsiasi, destini alla rinfusa. Ma Isolina è un libro schierato. Ammettiamo che la vita è un caos e che "una vita ne vale un'altra" (il motto preferito dall'ultimo Moravia). Ma Dacia Maraini ha scelto di procedere con la razionalità investigativa e terapeutica di chi ritiene che vai sempre la pena distinguere i colpevoli dalle vittime e sottrarre al nulla una storia di giustizia negata. Cercando Isolina, il micidiale passato le è apparso con "qualcosa di seducente e di mortuario", con la bellezza "grandiosa e spenta" di una ex città militare, la bellezza che "si sposa con l'arroganza". Ha visto anche, nel 1983, ma l'ha interessata di meno, una Verona presente e viva, esplosa nei traffici, "deformata, trasformata". Cosa succede al Nord quando la società tradizionale ha un brusco contatto con il moderno e deve fronteggiarne i problemi? Quali nuove idee di grandezza, e persistenti mentalità arcaiche sotto il brulichio del cambiamento, quali nuove idee omicide dobbiamo adattarci a capire? Quali film dell'orrore? (Si pensa subito ai libri già usciti di Gianfranco Bettin e di Vittorino Andreoli sul giovane normale che ammazza il padre e la madre, Pietro Maso sbucato fuori con i suoi amici dalla danarosa provincia degli ex contadini). Isolina racconta un crimine d'altri tempi, crudo e semplice, facile da spiegare rispetto all'oggi. Storia di Dacia Dacia Maraini viene da una famiglia interessante, privilegiata, e ha avuto una formazione fuori regola. Il padre è il fiorentino Fosco Maraini, etnologo e orientalista, scopritore del Tibet a fianco di Giuseppe Tucci negli anni trenta (ma la nonna era ima polacca naturalizzata irlandese ed erano soprattutto in lingua inglese i libri di casa, i romanzi di Stevenson, Melville, Dickens, Conrad, Faulkner, e le poesie dell'amatissima Emily Dickinson). La madre è Topazia Alliata, di una famiglia nobile di Palermo, ricca fino al secolo scorso, poi decaduta e indebitata. In tali incontri e scontri di culture, e in rapporto alle loro componenti, Dacia Maraini ha elaborato se stessa, scegliendo (culturalmente) la parte del padre e quindi il modello di una mentalità borghese, tesa all'impegno nel fare e nel pensare, e staccandosi dalle radici della parte materna, dalla società aristocratica della bellezza e del consumo improduttivo, sontuosa e stracciona, e dal tipo femminile che di lì le era trasmesso. E vero tuttavia che, quando è tornata in Sicilia ed è andata oltre il rigore del giovanile pregiudizio ideologico, ha scritto i libri forse più belli, il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990), su un'antenata della prima metà del Settecento, e Bagherìa (1993), un libro di ricordi e di cronaca, un raffronto tra passato e presente svolto dall'osservatorio della piccola città dichiarata mafiosa. Nata a Firenze, Dacia Maraini è cresciuta in Giappone, dove il padre aveva ottenuto una borsa di studio all'Università di Hokkaido. Lì sono nate le sorelle, Yuki che è diventata musicista e Toni che è anche lei scrittrice; e dopo l'8 settembre 1943, essendosi i genitori rifiutati di aderire al nuovo governo di Salò, con loro ha patito due anni di internamento, di fame e di paura continua della morte, angoscia infantile mai dimenticata. È cresciuta parlando giapponese e inglese. Solo dopo il rimpatrio, nel 1947, ha incontrato la scuola e la grammatica italiana; intanto però stava di casa a Bagherìa, era immersa nel dialetto siciliano e nei libri, universi entrambi estranei alla dimensione scolastica e normativa. Dice di aver incominciato fin da ragazzina a comporre romanzi e drammi, e di avere avuto subito confidenza con la scrittura per tradizione di famiglia. Ha esordito ufficialmente nel 1962, pubblicando da Lerici il romanzo La vacanza, presentato da Alberto Moravia. L'anno dopo con il secondo romanzo, L'età del malessere, ha vinto, in mezzo a sgradevoli polemiche, il premio internazionale Formentor. Aveva già sposato il pittore Lucio Pozzi. Finito il matrimonio, per quasi vent'anni è vissuta con Alberto Moravia (ancora un "padre-figlio", sono parole sue) nell'ambiente culturale di Roma e nella cerchia degli amici mo-raviani, Pier Paolo Pasolini, Laura Betti, Enzo Siciliano. Assieme a Moravia ha viaggiato, ha conosciuto l'Africa, è stata di nuovo in Giappone. Finché, negli anni settanta, è passata a un'area diversa di esperienze, legandosi al movimento delle donne, ai gruppi di autocoscienza e ai temi della loro riflessione. Una donna attiva, cosmopolita, vorace nelle letture e nei viaggi, ma dentro un'armatura di disciplina: è l'immagine che ne hanno dato gli amici e nella quale lei stessa vuole riconoscersi. Ogni mattina siede puntualmente al tavolo e ha "mani laboriose" che vanno avanti e indietro per ore sulla tasteria. Ha fatto teatro sperimentale e lavoro giornalistico. Su "Il Mondo" di Pannunzio, su "Paragone" e "Nuovi Argomenti", su "Paese Sera" ha pubblicato racconti e articoli; ora collabora con "l'Unità" e "Il Corriere della Sera" e dal 1993 dirige con Furio Colombo, Raffaele La Capria ed Enzo Siciliano la terza serie di "Nuovi Argomenti". Ha pubblicato romanzi (nove), raccolte di poesia (quattro), testi teatrali, saggi. Una trentina di libri. Predilige da tempo le forme miste che scompigliano i generi codificati: il romanzo documentato come una storia vera e il romanzo-inchiesta, il saggio che sembra un romanzo (vedi il recente Cercando Emma, 1994), l'intervista e l'autointervista (vedi Storia di Piera, 1980, in conversazione con Piera degli Esposti). Altri titoli di rilievo sono Mio marito, una raccolta di racconti uscita nel 1968, e fra i romanzi Memorie di una ladra, 1972; fra i volumi di teatro Lezioni d'amore e altre commedie, 1982; fra i saggi La bionda, la bruna e l'asino, 1987; fra i libri di poesia, che sono i meno noti, Dimenticato di dimenticare, 1982, un libro da rileggere. Ha avuto sempre editori importanti: Einaudi, Feltrinelli, Bompiani, Mondadori. Ora pubblica da Rizzoli senza però escludere qualche editore minore e amico come il siciliano Flaccovio presso il quale ha stampato un bel libretto di erudizione locale, Il sommacco. Piccolo inventario dei teatri palermitani trovati e persi, 1993. La memoria di D>