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DICEMBRE 1994 . N. l l , PAG. 7 

Narratori italiani 


Vumano e l'inumano nascono dallo stesso ceppo 


di Massimo Onofri 

VINCENZO CONSOLO, L'olivo e l'olivafede, 
ne dichiarano la morte, e col terdizione 
letteraria o verso il basso del selvatico e il coltivato", l'umano e quello attraverso cui lo scrittore, non 
stro, Mondadori, Milano 1994, pp, rore che la morte delle ideologie possa 'dialetto, ma mai allivello di un linl'inumano, 
nascano da uno stesso cepdi 
rado attingendo alla livida visiona154, 
Lit 27.000. implicare, nella logica dei media, anguaggio 
colloquiale coincidente con po, è un libro che, nel contempo, ricarietà 
di un Coleridge, ripercorre le 
che quella delle idee. Ma c'è, sopratquello 
televisivo. Cosa che avvicina pitola e complica il cammino sin qui città e i paesi di una Sicilia che, in temIl 
bel libro-intervista di Consolo tutto, la convinzione che nel "romanConsolo 
assai più a poeti come percorso dallo scrittore. Cerchiamo di pi remoti, poteva essere la patria"delFuga 
dall'Etna, apparso nel 1993 per zo storico-metaforico" la critica alle Zanzotto, che non a tanti romanzieri spiegare il perché. Siamo a Gibellina, la civiltà più vera, della cultura", ma 
Donzelli, si chiude con queste parole: ideologie del Potere si giuochi sul piacoevi 
dalla lingua snella e dal pensiero subito dopo il terremoto, quando il che ora si rivela come la madre di tutte 
"Mi sono sempre sforzato di essere laino 
della lingua, una lingua plus-comugrosso. 
L'olivo e l'olivastro, che toglie protagonista, un ventitreenne che sole 
nefandezze, l'isola che può avere 
co, di sfuggire, nella vita, nell' opera, ai nicativa se non anti-comunicativa, il titolo da una citazione dell'Odissea miglia a Consolo, parte per la per capitale una Gela petrolchimica, 
miti. La letteratura per me, ripeto anorientata 
verso l'alto della grande tra-posta in epigrafe, a significare come "il Lombardia. È suo l'occhio del ritorno, abusiva e torva, "triste buco", "pozzo 
cora, è il romanzo storico-metaforico. oscuro" sul quale gravita ogni cerchio 
E poiché la storia è ideologia, come indell'infernale 
Italia". A scandire una 
segna Edward Carr, credo nel romanvicenda 
che non ha redenzione, e co


zo ideologico ..., cioè nel romanzo critensione 
dell' affermare il nesso tra sogno e realtà, me a simbolico controcanto, alcune 

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tico". Questa del romanzo storico-metra 
parole e cose. Come nel bellissimo monologo tappe del viaggio di quell'Ulisse che, 
taforico, del romanzo critico, testimomura 
domestiche, la delusione degli affettifamifinale 
di Antenora in cui accadimenti e persone pur tra tanti dolori, riesce invece a reniata 
a partire da Il sorriso dell'ignoto liari, il legame con il fluire delle generazioni che si sembrano radunarsi dal passato nel presente, in dimersi, tornando a Itaca. Il tutto, 
marinaio (1976) fino alle pagine corrupassano, 
l'una con l'altra, il fardello di saperl; feuna 
magica sospensione del tempo che fonde le punteggiato dall'apparizione delle fi


sche di Nottetempo, casa per casa gure di una contro-Sicilia del passato, 

dI; aspirazioni, ma anche assurdi preconcetti, irreparole 
vecchie con quelle nuove, illuminando con 

(1992), a cui aggiungiamo gli amari diil 
toccante Verga alle soglie della mor


vocabili chiusure. E ogni volta la contesa esistencolori 
vividi vicende, immaginz; oggetti che si cre


vertimenti di Nero metallico (1994) ci te, o del presente, la Maria di

ziale si riconduce al ristretto ring della famiglia, devano persi per sempre nella nebbia della memo


pare la variante arrecata da Consolo al Caltagirone, il Nino di Marsala, poeti 

quale universo primario in cui viene rappresenta-. rIa.

corpo di un singolare platonismo inpietosi 
e purissimi. Questo, dunque, il 

tellettuale, tutto siciliano, secondo cui ta, nei suoi termini essenziali, la storia di ogni Dice la giovane nipote, nelle ultime, toccanti carattere riassuntivo del libro: in esso 
la letteratura può intendersi come copersonaggio. 
battute del libro, rivolgendosi ad Antenora, ormai confluiscono il saggismo de Le pietre 
stellazione di archetipi, alla luce della L'analisi, sempre condotta sul filo della memoallo 
stremo: ((... sai che non credo nel tempo e lo di Pantalica (1985) e -le oltranze 
quale i fatti umani sembrano rivelarsi ria, si concentra in realtà su due donne, sui desiconsidero 
un'invenzione, una menzogna per scanespressive 
di Nottetempo. Pure l'inci


nella loro verità, 

deri e sulle speranze, sulle delusioni di due embledire 
il transito sulla terra. Si sta dove non c'è inipit 
disarmato ("Ora non può narra


Si tratta di un' attitudine intellettuare") 
si ricollega inequivocabilmente al


matiche figure -Antenora appunto, e sua madre zio, dove non c'è fine. In quel mezzo c'è la vita. E 

le, all'incrocio di memoria e profezia, la chiusa di Nottetempo ("Pensò che

Raimonda -simbolo degli infiniti modi ((femmitutto 
gira, gira, gira... Le cose? Le cose tornano.

che induceva Borgese, nel suo purritrovata 
calma, trovate le parole, il to


nili" di inserirsi nell'ingranaggio della vita; menTornano 
i visi". E in queste parole troviamo il 

troppo dimenticato Poetica dell'unità no, la cadenza, avrebbe raccontato,

tre ai personaggi maschili viene per lo più assemotore 
dell'universo narrativo di Margaret 

(1934), a definire la poesia come "sisciolto 
il grumo dentro"). Il fatto è, 
stema di tangenti sulla curva dell' essegnato 
il ruolo ((funzionale" di accendere la violenMazzantinz; 
basato sul principio dell'analogia, sul però, che, proprio mentre tutto pare 
re", a ritenere il genere romanzo più za delle passioni, di scandagliare l'anima femmipassaggio 
veloce da una parola all'altra, da un trachiarirsi, 
tutto si complica. Come in 
storico della storia stessa. Quell' attitunile 
nei conflitti quotidiani, nella specularità del slato a un altro traslato -identificando la scrittuun 
crogiuolo, il racconto diventa magdine 
che consentiva allo Sciascia di gioco amoroso. ra con la comunicazione assoluta -in direzione ma incandescente. Una terza persona 
Cruciverba (1983) di ipotizzare una ciLa 
scrittura procede per rapide intuizioni, perdi 
una lingua sempre più limpida che arrivi al cuoieratica 
si sovrappone a quella che arti


clica e siderale vicenda letteraria, dencola 
il punto di vista del protagonista, 

cezioni ovatta te, sogni vividi oppure sfocati in un re delle cose passando attraverso la nebbiolina dei 

tro la quale le opere del passato splennel 
conflitto di sublime e quotidiano. 

accumulo lento di immaginz; pensierI; emozioni, neologismi, il buio fitto del silenzio, celebrando la

dano, si eclissino, tornino a splendere, Dalle profondità della memoria ai vivi

echi che non escludono il mondo e che anzi più trasparenza universale della parola.

in una diversa luce di verità. La stessa subentrano i trapassati. Lacerti di do


profondamente lo comprendono, nella continua 

attitudine che ha prodotto nell'isola cumenti, stralci di cronache si mescoquella 
contro storia d'Italia letteraria e lano all'invettiva, agli scatti memoriali, 
civile, scritta quasi in concorrenza con alle pause liriche. Col risultato che il 
la grande storiografia italiana, e capace romanzo esplode, annulla i confini dei 
di assumere la Sicilia a pietra dello generi, sfiora l'indicibile; fino all'azscandalo 
della mancata democratizzazardo 
di una scrittura arditamente mezione 
del paese, una controstoria che, taforica, ma tesa a uscir di metafora, 
per stare al solo Novecento, ha avuto per dire di un male che potrebbe esser 
come suoi capitoli I vecchi e i giovani detto solo avvicinandosi al grado zero 
(1913) di Pirandello, Rubè (1921) di della scrittura. Di fronte alla nuova 
Borgese, Gli anni perduti (1941) di barbarie, che possibilità ci sono ancoBrancati, 
Gli zii di Sicilia (1961) di ra per la letteratura? Questa sembra 
Sciasc~a. Entro questo orizzonte, essere la domanda di Consolo, quasi 
Consolo si è guadagnato una posizione l'ultimo messaggio affidato alla bottioriginale, 
la quale sta già nella scelta, glia. Sulla scorta di una scrittura che 
quasi drammatica, di una scrittura inha 
saputo andare oltre Lucio Piccolo, 
sieme credula e disincantata, quella ma guardando sempre a Vittorini e 
che si nutre di miti, ma sempre assuSciascia, 
quasi modulando ciò che remendoli 
al vaglio di una laicità non arstava 
contratto, e come illuminando 
resa alle menzogne del Potere, C'è in quel che s'annottava in aenigmate, 
Consolo, insomma, il coraggio di parConsolo 
ha finito per comporre un li


lare ancora di ideologie, quando molti bro in cui tutto, nonostante il dolore, 
intellettuali italiani, spesso in cattiva sembra risolversi in pura voce narrante. 

GRAZIA LIVI, Vincoli segreti, La 

Farsi amare dalla vita

Tartaruga, Milano 1994, pp. 240, Lit 

28.000. 

diAnna Nadotti 

Vincoli segreti, segretissimi, quasi 
indicibili quelli che Grazia Livi disegna 
parola dopo parola, fino a renderli 
visibili, nei racconti del suo ultimo libro. 
Vincoli tra una donna e un uomo 
di volta in volta figlio, marito, amante, 
ombra di un padre, sempre in qualche 
misura remoto, già perduto al di là 
delle apparenze ed eventuali apparizioni. 
Vivo piuttosto nella dimensione 
del sogno. Non bastano famiglia, occupazioni, 
luoghi e figli, né bastano i 
ripari rassicuranti che la modernità offre 
ad alcune "donne di tenuta", 
emancipate e in carriera: la cavità protettiva 
di aerei su cui si sale con quotidiana 
disinvoltura, il tepore consolatorio 
di uffici arredati con sobria eleganza, 
di abiti scelti sapientemente e abitudini 
immateriali acquisite nel tempo 
per difendersi. Spesso sollecitato da 
interferenze banali, si allunga anche su 
isole esistenziali ritagliate con cura 

"un sogno più oscuro e tentante: essere 
in due ... Formare, con parole elusive, 
con umori variabili, una fusione 
dolce, totale". Un sogno di resa dentro 
una casa non tutta per sé, che incrina il 
successo e momentaneamente annebbia 
il senso di una vita costruita seguendo 
un progetto. 

Per denudare quel sogno, ormai 
"persuasa che l'oggettività fosse a portata 
di mano", Grazia Livi ha scelto di 
raccontarlo. Di insinuarsi in esso con 
la sua scrittura nitida e ricercata (che 
già conoscevamo dai libri precedenti, 
Da una stanza all'altra, Garzanti, 
1984, e Le lettere del mio nome, La 
Tartaruga, 1991), e renderne riconoscibili 
le molteplici maschere. Ultimo 
schermo, non a se stessa, ma a tutte le 
produttrici del sogno, la narrazione in 
terza persona. Così si susseguono, come 
in un catal.ogo d'autore, diciotto ri


tratti d'uomo, "qualcuno di molto 
prezioso, instabile, elusivo, qualcuno 
che si reputava libero, che creava distanze, 
che non voleva concedersi", 

Un figlio spiato, Un giovane dio, Un 
lontano, Un padre di carta, Un assente, 
Un perduto, Un fuggitivo, Un uomo di 
scienza ... E su ognuno di loro si concentra 
lo sguardo di una donna che, 
nàrrando il sogno che lei stessa ha alimentato, 
si rivela e svela il corpo altrui 
in cui è inscritto il proprio desiderio: 
una moglie che "vaga tra le porte non 
sapendo dove mettersi a recitare la sua 
parte"; donne indipendenti e sole che 
hanno tradotto in dover essere e autorevolezza 
un bisogno insoddisfatto di 
riconoscimento amoroso; madri che 
aspettano scrutando quanto e cosa, di 
sé, resti nel figlio, e a lei di lui. Gli uomini 
spariscono e si riaffacciano improvvisamente 
alla memoria, o rispun


tano in carne e ossa su una scena impreparata 
ad accoglierli, così da rendere 
necessario, anche a distanza d'anni, 
un bicchiere d'acqua, talvolta perfino 
un sonnifero, "per mandar giù quel 
groppo che non c'entrava più nulla 
con la sua vita. Apparteneva a un'altra 
persona -un'altra m01to lontana e 
fragile -che tuttavia non era morta 

ancora". 

Tra tanti sbadati equilibristi, solo 
Un complice, nel bellissimo racconto 
presumibilmente autobiografico in cui 
Grazia Livi ricostruisce l'incontro con 
Arthur Rubinstein di una giovane 
giornalista. Con bonaria seduttività il 
vecchio artista conclude il colloquio 
sussurrandole, "si faccia amare dalla 
vita, querida! Non si sottragga! ... La 
vita è buona con chi l'ama, lo sa?" A 
distanza di anni, nel giorno della morte 
del pianista quasi centenario, la 


donna si chiede se e quanto abbia fatto 
tesoro di quell'antica raccomandazione. 
Non sa, o piuttosto no, non ha azzardato 
la sintesi che essa richiedeva. 
MentreJorse quelle parole meriterebbero 
un tardivo riconoscimento, un 
"Ben detto, vecchio mio, ben detto! ", 
coerente con !'intento che Grazia Livi 
dichiara fin dall' epigrafe messa in calce 
a questi racconti belli, tesi, necessariamente 
impietosi, "Che lontananza, 
nei secoli, misurabile in parole morte! 
Oggi non l'accettava più. Mise da par· 
te il lutto e si dispose a parlare",