Un falso dilettante di Renata Buzzo Margari Madre padrona di Anna Chiarloni Anna Mitgutsch, Tua madre era co- me te?, Feltrinelli, Milano 1994, ed. orig. 1985, trad. dal tedesco di Bar- bara Griffini, pp. 195, Lit 27.000. E quasi commovente l'operazione di cosmesi cui gli editori talora ricor- rono per rendere più appetibile al pubblico italiano — sempre più di- stratto dai telefinanzieri locali — il prodotto "libro". In questo caso l'au- trice è stata redenta dal primo nome — Waltraud — evidentemente troppo funebre per le nostre consuetudini, tanto più se accoppiato col plumbeo titolo originale — Die Ziichtigung, os- sia "La punizione" — opportunamen- te trasformato nel ben più gaio Tua madre era come te?, Ora, se da una parte il titolo italiano attualizza il testo ricollocandolo nell'ambito della recen- te discussione teorica femminista, dall'altra si deve pur ammettere che la scelta coglie un nesso centrale del ro- manzo, quello, appunto, del rapporto tra madre e figlia. Secondo la Mitgutsch, infatti, quando cerchiamo di dare una definizione di noi stessi, fi- niamo per scavare nell'infanzia, ritor- nando inevitabilmente nel grembo ma- terno. Certo, ci sono adulti che riesco- no a ridere quando raccontano vicen- de infantili e con un gesto lieve sanno poi "ributtare la mamma nella cesta dei giocattoli". Per Vera invece — la voce narrante che vaglia le memorie familiari lungo l'arco di tre generazio- ni — la figura della madre resta un vi- luppo vivo, caldo e divorante, capace di protezione ma anche di una violen- za rapace: "nessuno poteva sostituire mia madre, nessuno sapeva picchiare come lei, nessuno sapeva legarmi a sé come lei". Ed è infatti la figura della madre, Marie, che campeggia determi- nando la struttura stessa del romanzo, ben sostenuta dall'attenta traduzione di Barbara Griffini: una ricapitolazio- ne post mortem che procede a spirale, con affondi continui calati nel pozzo del tempo, in un rapporto di dipen- denza assoluta. La letteratura austriaca conosce queste situazioni a laccio doppio, si pensi alla Pianista di Elfriede Jelinek, uscita qualche anno prima. Anche l'educazione di Vera va avanti a suon di botte, sempre castigando il corpo, e "con contegno" per giunta. Ma la Mitgutsch, che ha una scrittura meno metaforica, più tesa alla ricostruzione d'ambiente, ritma il suo esordio lette- rario sulla descrizione di angherie do- mestiche che hanno origine nella dura esistenza contadina, in un mondo in cui contavano le braccia, non gli affet- ti. Una violenza che nasce dal gelo dell'abbandono e che si perpetua nelle generazioni successive, fino alla figlia di Vera, che col suo diario infantile si affaccia nel tessuto del romanzo, testi- mone silenziosa di altre solitudini. Sullo sfondo c'è l'Austria tra la guerra e il primo, stentato benessere degli anni sessanta. Nel quadrato fami- liare costretto nell'economia del maso chiuso non c'è posto per le femmine. La madre, Marie, cresce tra calci e ceffoni, nel breve orizzonte tra la por- cilaia e la stalla, dove all'alba — "il sonno ancora nelle ossa e lo stomaco vuoto" — è tenuta a mungere le muc- che. Poi, appena ragazza, il matrimo- nio che la "sradica come una pianta", in dote quattro mobili e un piumino. Sposa a un colono, Marie conosce la miseria ai margini di una vita cittadina da cui resta esclusa, proiettando sulla figlia il sogno ostinato di un'ascesa so- ciale. È qui che s'innesta in modo più problematico l'ambivalenza dei senti- menti. In una cornice piccolo-borghe- se, cattolica e perbenista, Marie sfoga riNDICF ■ dei libri del meseB MAGGIO 1994 - N. 5, PAG. 15 le sue frustrazioni consumando "con segreta voluttà" il rituale della puni- zione corporale, brutalmente esercita- to per addestrare la bambina alla "du- rezza della vita". Vera subisce, docile e accondiscendente, accasciandosi muta sotto le botte, vittima e nello stesso tempo complice nel silenzio imposto dal decoro familiare. Ma l'angoscia è destinata a fermentare, minando il de- siderio fino alla degradazione nella vi- ta sentimentale della donna adulta. Il romanzo, tradotto in varie lingue, ebbe un grande successo. In Austria divampò la discussione sugli abusi perpetrati in nome di una malintesa pedagogia. Nel 1986, in un'intervista a caldo, Waltraud Anna Mitgutsch ten- ne a ribadire l'intenzione ideologica, prima che autobiografica, del testo: nato da una riflessione sull'Austria hi- tleriana, il percorso di Vera vuol dimo- strare come la violenza domestica altro non sia che una forma di fascismo la- tente, rimosso dalla coscienza colletti- va. Riletto oggi, in epoca di dilagante regressione "verde", il romanzo — so- prattutto nella prima parte — induce piuttosto a riflettere sulla durezza del- la vita agreste. Gli ultimi capitoli ac- cendono invece altre domande. Perché Vera, nel tentativo di evitare gli errori materni, risparmia alla figlia ogni forma di violenza. Siamo ormai negli anni settanta. Ora non è più ne- cessario spuntare le scarpe col coltello da cucina o azzuffarsi per una pagnot- ta, come faceva da piccola la nonna Marie. E Vera ce la mette tutta per proteggere la figlia: "Volevo tenere lontani da lei la costrizione, la paura del castigo, l'umiliazione di essere la più debole e l'incapacità di ribellarsi a tutto questo". Ma la bambina — ano- ressica — con le occhiaie e la bocca sfigurata dal pianto, si rifiuta di vivere. Soffocata da "troppo amore" — come sentenzia lo psicologo — la figlia di Vera si'defila muta, esile traccia di quella felicità "chiara e leggera" che a nessuna di queste figure è dato sfiorare. Robert Walser, Poesie, a cura di Antonio Barbi, Il Sestante, Ripatranso- ne (AP) 1993, ed. orig. 1909, testo te- desco a fronte, pp. 87+ 49, Lit 16.000. Il volume presenta una quarantina di brevi poesie di Robert Walser con traduzione italiana a fronte. Si tratta di una raccolta abbastanza omogenea di versi scritti nell'ambito culturale dello Jugendstil, raccolta che fu pubblicata (in edizione per bibliofili limitata a 300 esemplari e con illustrazioni di Karl Walser) nello stesso anno di Jakob von Gunten-, l'anno prima era * uscito L'assistente e due anni prima 1 fratelli Tanner. Walser continuò poi fi- no agli anni trenta a scrivere versi, pubblicandoli però solo in modo di- scontinuo, o non pubblicandoli affat- to. Sulla produzione walseriana in ver- si la critica si è sempre espressa con un certo imbarazzo, oscillando tra due poli opposti: dal riconoscimento glo- bale dei motivi ispiratori a un senso di disagio e di irritazione causato dal can- dore impavido, spinto fino alla bana- lità, che caratterizza il loro linguaggio. In effetti, può accadere di scoprire in certi versi di Walser quel genere di co- micità involontaria che i critici tede- schi definiscono "effetto Kempner" (dal nome di un'ottocentesca poetessa dilettante divenuta celebre proprio per questa ragione). Questa sensazio- ne di un dilettantismo ostentato fino alla sfrontatezza è però, secondo i giu- dizi critici più aggiornati, uno dei tanti mezzi di cui l'autore si serve per in- frangere il "galateo letterario", il codi- ce di buon comportamento che regola i rapporti fra autore e lettore: si tratta sempre del personalissimo sperimen- talismo letterario di Walser, che nel caso della produzione in versi prende di mira le caratteristiche convenzionali proprie del genere (rime, ritmi, strut- ture strofiche, topoi, figure retoriche), dichiarandosi di fronte a esse un ine- sperto dilettante, mosso peraltro dalla convinzione che "per fabbricare poe- sie occorra rinunciare a una considere- vole porzione del proprio intelletto". Il fascino di queste composizioni con- siste appunto nella presenza simulta- nea di autentica ispirazione lirica e di abbandono al puro gioco linguistico (considerazioni di questo genere sono attualmente fra i temi di un convegno su Walser e i suoi traduttori, Losanna, febbraio 1994). L'iniziativa di pubblicare in tradu- zione italiana questa scelta giovanile di poesie era quindi una buona occasione per segnalare le caratteristiche specifi- che che si manifestano già in questi versi giovanili e che si evolveranno poi nelle poesie degli anni successivi, pa- rallelamente alla produzione in prosa. Invece l'ampia postfazione di Antonio Barbi si richiama a motivi e considera- zioni legati soprattutto agli scritti in prosa, senza illustrare le poesie in quanto tali; la traduzione dei singoli componimenti non tenta nemmeno di riproporne quella componente essen- ziale che sono le strutture formali, e il testo originale risulta in qualche caso poco comprensibile non tanto a causa dei frequenti errori di stampa ma per vere e proprie sviste interpretative, co- me dafùr bin ich bescheiden gemacht, "per questo [anziché 'in compenso'] sono diventato modesto" (p. 8); wenn du es auch nicht bist, der liebt, "anche se non sei l'amato" ["quello che ama"] (p. 30); die Armen, die dir so web / ge- tan haben sollen, "i poveri, che così male hanno dovuto farti" ["che si dice ti abbiano fatto tanto male"] (p. 56). ADELPHI Djuna Barnes Anna Maria Ortese FUMO IL MARE NON BAGNA NAPOLI Thomas Bernhard UN BAMBINO Simone Pétrement LA VITA DI SIMONE WEIL Guido Ceronetti TRA PENSIERI Emanuele Severino HEIDEGGER E LA METAFISICA Benedetto Croce LA POESIA Robert Darnton William Butler Yeats AUTOBIOGRAFIE IL BACIO DI LAMOURETTE Julien Green SUITE INGLESE «gli Adelphi» Ludvig Holberg IL VIAGGIO SOTTERRANEO DI NIELS KLIM Roberto Calasso LA ROVINA DI KASCH Giovanni Macchia MANZONI E LA VIA DEL ROMANZO Elias Canetti IL FRUTTO DEL FUOCO Piero Meldini Georges Simenon L'AVVOCATA DELLE VERTIGINI LA BALLERINA DEL GAI-MOULIN