oCje-tt&'vc^tus'pCk, Il disgusto per la parola dì Gian Luigi Beccaria marzo 1995 4 Il fatto è che questo Fenoglio aurorale gioca, e vince, la sua partita in altra zona, che è quella delle strutture della sintassi. Accenniamo appena alle iterazioni, che accompagnano o introducono ap-propriamente quanto vi è nel racconto, fenoglianamente, di ripetitivo, circolare, fatale nei temi. E guardiamo a qualcos'altro. Fenoglio non ha scritto dunque il racconto in presa diretta, ma a rispettabile distanza dai fatti; eppure il racconto stesso, fino a un punto avanzato, è sempre al presente storico, poi si passa ai tempi del passato ma per ricadere continuamente nel presente. La distanza temporale è dunque annullata in favore di una totale presenza del narratore nel narrato (o forse potremmo dire, dato il suo carattere, presen-za-assenza): quasi che fuori di quell'epoca e di quegli episodi, non rievocati ma vissuti dal di dentro e in contemporanea, non ci fosse vita né verità. E vanno assieme a questo fenomeno, tra altre cose, il continuo passaggio dal discorso indiretto al diretto, nuovo indice dell'astanza. Un'altra impronta nettissima del giovane autore nella sintassi — e quindi nel suo modo di narrare — è la violenta concisione del discorso, specie nella prima metà degli Appunti. Sono frasi brevi e brevissime giustapposte, o accavallate, segnate da una rapidità, ellitticità, sprezzatura (insomma, felice sommarietà) non meno che eccezionali. Mai più Fenoglio ha narrato, veramente, così. E come se le parti dell'insieme fossero percepite sempre al modo di schegge o spezzoni; così il giovane Fenoglio esprime in modo adeguatissimo l'oltranza di quell'iniziazione ed esperienza, il suo averle sentite come una sorta di esplosione continua. Questo franto e quasi "buttato via" nel periodare chiama a sé e rende più necessarie le sprezzature lessicali accennate più sopra. La distribuzione e il montaggio di temi e toni non sono meno notevoli. Al tragico e al fatale si mescolano, con giusto dosaggio, un'ironia ora sottile ora gagliarda, il gusto picaresco e l'eroicomico. Basti accennare a questa contrapposizione: fra l'episodio freddo e livido dell'uccisione del maestro-spia di Rocchetta e il delizioso duetto domenicale di Beppe e Annamaria sulla piazza di S. Benedetto Belbo, pausa e idillio che accenna alle propensioni teatrali di Fenoglio, e io direi addirittura a tonalità di melodramma "leggero" fra Bellini e Donizetti. Non so se i problemi filologici posti dagli Appunti possano considerarsi sistemati; affermo che — se non mi fa velo la passione fenoglia-na — quest'opera, giuntaci disgraziatamente frammentaria, non incomincia soltanto a tessere i fili che poi lo scrittore ordirà con arte superiore; è già in sé una riuscita eccellente, degnissima di abitare stabilmente nella nostra biblioteca fenogliana, e nella nostra memoria. Giorgio Bertone, Italo Calvino. Il castello della scrittura, Einaudi, Torino 1994, pp. 331, Lit 32.000. Il libro di Giorgio Bertone si apre con un capitolo straordinariamente ricco, Le radici del "Midollo", dove si indagano i primi scritti di Calvino a cavallo degli anni cinquanta, quelli che precedono la stagione anteriore al Midollo (1955) e che costituiscono le radici della sua formazione intellettuale e della sua attività di scrittore. Nell'oceano degli scritti calviniani sparsi in quotidiani e riviste Bertone rintraccia gli incunaboli di alcune idee portanti: anzitutto, l'idea dello scrittore come colui che progetta e inventa letteratura per costruire una nuova società ("sono uno che lavora [oltre che ai propri libri] a far sì che la cultura del suo tempo abbia un volto piuttosto che un altro"); e poi, l'elaborazione di una serie di giudizi e tassonomie che con varia sfaccettatura e articolazione vanno a colpire il decadentismo identificato con l'irrazionalismo e lo psicologismo ("Il primitivismo, il barbarismo, il culto del selvaggio e dell'inconscio sono nella cultura d'occidente un 'male del secolo' tra i più vi- stosi e difficili da scansare", 1951, a proposito di Pavese); infine il distacco dal mito crociano dell'individualità astorica creatrice e l'idea che l'artista deve innanzitutto impossessarsi di mezzi tecnici, in specie delle tecniche del momento in cui lavora. Nei primi scritti notevoli anche le riflessioni sparse sulla necessità di costruirsi una lingua personale, tutta di parole "dure e trattenute", "dura e nuda, fatta di vocaboli chiusi e di ruvidi nessi sintattici". Altra angolatura nuova, originale, del libro di Bertone: provare a ridisegnare Calvino dentro una galleria di figure con le quali in tempi diversi si era confrontato. Qua e là compare Pasolini, ma capitoli appositi sono riservati a Pavese, Primo Levi, Natalia Ginzburg. Bertone non vuole ricostruire due biografie parallele, né due rilevanti lavori intellettuali, ma intende ripensare un'opera, quella di Calvino, facendola reagire con il personaggio di riferimento. Gli avvicinamenti non servono soltanto per misurare influssi: per esempio, nel capitolo su Calvino e Pavese, Bertone non indaga il debito con un maestro, bensì la capacità di Calvino di ritagliare un suo spazio di fronte a Pave- se, magari di rintracciare il se stesso in Pavese (L'umanità razionale" di Pavese, la sua "classica chiarezza che tocca il fuoco e non brucia"; il modo di raccontare senza creare personaggi; il paesaggio così poco ammantato di colori localistici, tutto astratto ed essenziale, l'aver saputo innalzare a luogo di simboli universali una terra letterariamente desertica, culturalmente marginale, geograficamente periferica, mai provincia, ma paese e mondo insieme; l'etica lavorativa di Pavese, "l'elemento fondamentale della sua vita, la sua vera ancora di salvezza: il lavoro, il suo straordinario testardo divorante amore per il lavoro"; Pavese poeta non "per natura né per grazia" ma per consunzione in laboriose e ostinate conquiste). Altrettanto felice il capitolo su Calvino e Primo Levi, dove si segnalano luoghi e tempi e temi d'incontro tra i due tutt'altro che episodici e fortuiti per due "naturalisti" come loro nel guardare al mondo umano dalla stessa specola con cui si osserva e indaga la natura. E ci sono i contatti per l'intrigo ludico-serio di difficoltà scientifiche, linguistiche e metriche sollevate da una traduzione calviniana di Queneau; e il n. 3, pag. 9 loro incontrarsi sull'idea centrale di una lingua per la prosa chiara e comunicativa ma non abbassata alla grigia e sbiadita medietà; e poi, la simulazione di "parlato" in Queneau che incanta Levi, ed è problema così caro a Calvino. Terzo quadro del trittico, Calvino e Natalia Ginzburg: l'affinità elettiva di Calvino per una scrittrice attestata con laconica semplicità sulla sponda dell'oralità e che con uno strettissimo numero di mezzi espressivi cerca di esprimere il complesso, sa "far passare il mare in un imbuto"; l'interesse per quel modo caro alla Ginzburg di esprimere col mondo un rapporto diretto, mai psi-cologizzato, o liricizzato, il costruire le psicologie attraverso il comportamento, e il lirismo nel taglio e nella cadenza delle sue storie. Totale ancora l'adesione di Calvino a una Ginzburg capace di abbassare il tono senza scadere nel mimetismo realistico, capace di tenersi lontana dalla più grave delle pestilenze della narrativa contemporanea italiana, la registrazione "da magnetofono" dei discorsi banali della gente, un fare il verso al parlato, ai modi di dire della conversazione usuale. Pochi come Natalia hanno saputo narrare l'oralità; a lei, scrive Calvino, "del parlare della gente interessa solo [la] musica grigia, monotona, dolorosa". Un capitolo di grande finezza critica è il terzo, in cui Bertone rilegge II castello dei destini incrociati a partire ancora dalla figura della "reversibilità", già rilevata da Mengaldo, soffermandosi sull'ipervisualismo calviniano, il mondo ricondotto a rappresentabilità visiva, e ciò porta Calvino a penetrare in modo originalissimo il versante del rapporto oralità-scrittura: nel "Castello della scrittura" assistiamo alla repressione dell'oralità, determinata preliminarmente dalla chiusura delle bocche dei cavalieri, e questo "mutismo" in qualche modo si lega al Calvino che ha sempre esaltato la laconicità, che si è soffermato sull'"enorme difficoltà a esprimersi]" (cito da una memorabile intervista a Camon), sul "disgusto fondamentale per la parola, per questa roba che esce dalla bocca, informe, molle molle", e l'ha portato a esperimentare strategie scrittorie sempre calcolate e nuove ("Scrivere ha senso solo partendo da questa diffidenza per la parola, da questo disgusto"). Nel Castello dei destini incrociati, scrive Bertone, "alla gesticolazione e ginnastica facciale dei singoli cavalieri corrisponde una narratività fortemente mimetica della fisicità orale nelle congetture scritte (anche lui è muto) del cavaliere-interprete-narratore". Insomma, un libro che contiene tutta una serie di chiavi di lettura, di suggerimenti, di indicazioni, di luci, di stimoli, insieme a una grande ricchezza di informazione, di erudizione davvero formidabile annegata in minutissime note, mentre il testo scorre leggero, frizzante, per felice scrittura. BBS Nuovi autori cercasi Siamo convinti che le opere degne di nota non siano solo quelle normalmente distribuite ed è per questo motivo che è nata l'idea di una forma di pubbi-cazione minore e alternativa, per dare sfogo a tutte quelle realtà letterarie sotterranee che normalmente non trovano sbocco attraverso i tradizionali canali editoriali. Una casa editrice tollerante e aperta a chiunque ne voglia fare uso, sia per divulgare i propri scritti, sia per leggere opere inedite di autori ignoti ma non necessariamente non degni di nota. Una casa editrice senza scopi di lucro che non privilegia la vendibilità a dispetto della qualità e che non si pone in antitesi rispetto ai tradizionali canali editoriali cartacei, bensì in alternativa. L'iniziativa promossa dal Gruppo En-tasis, dall' Indice e dal Premio Calvino in collaborazione con la Città di Torino Assessorato alla Qualità della Vita, la Regione Piemonte Assessorato alla Cultura e la Banca CRT, prevede infatti la pubblicazione su supporto magnetico di opere inedite. L'iniziativa è rivolta a tutti gli scrittori esordienti che operano nel settore della produzione letteraria — lirica e narrativa — e si propone come punto di riferimento per la divulgazione delle opere inedite. La casa editrice altro non è quindi che una banca dati o, più semplicemente, un normale computer dotato di una memoria magnetica e di un mezzo di comunicazione tramite cavo telefonico che gli permetta di dialogare con al- tri computer (modem). Gli scrittori, collegandosi via modem, trasmetteranno i loro scritti ponendoli a disposizione dei lettori, i quali potranno, con lo stesso meccanismo, collegarsi alla biblioteca per registrare sul proprio computer il testo prescelto, che leggeranno comodamente a linea telefonica disattivata. L'Indice attiverà in concomitanza all'apertura detta BBS una rubrica di recensione a essa dedicata nella quale, oltre all'andamento delle attività, verranno proposti i lavori di maggiore interesse e, parallellamente, verranno attivati altri canali divulgativi. Il Collegamento a Internet di prossima attuazione grazie alla collaborazione con il CSP (Centro Supercalcolo Piemonte), darà vita a nuove iniziative a livello internazionale. Tutti gli scrittori interessati sono invitati a inviare il loro materiale, opportunamente trascritto su floppy disk 3,5" in formato ASCII e corredato di breve descrizione, al Gruppo Entasis, oppure a collegarsi via modem alla BBS e inserire così direttamente i toro scritti nella banca dati centrale. Si consiglia di spedire il materiale a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno a garanzia dell'avvenuto ricevimento e a tutela della titolarità dei testi. I Floppy Disk dovranno pervenire a: ENTASIS - BBS LETTERARIA M. Leonardini - A. De Francesco Via Giolitti, 2- 10123 TORINO Tel. 011/5623565