MARZO 1995 Caro Moretti, Bloom non è Faust, semmai Madame Bovary n. 3, pag. 10 Franco Moretti, Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal "Faust" a "Cent'anni di solitudine", Einaudi, Torino 1994, pp. XII-243, hit 36.000. Opere mondo è un libro singolare: ancor prima che per ragioni di merito e di metodo, direi, per ambizione. Avanza infatti un'ipotesi dalla cui verifica verrebbe rivoluzionata la sistemazione critica degli ultimi due secoli di storia letteraria. E si richiama a un metodo, quello darwiniano, cui, nell'ambito delle teorie estetiche, che io sappia, non ci si richiamava con tale esplicitezza dai tempi di Brunetiè-re e di Warburg. È dunque un libro singolare e raro come rari per fortuna sono i terremoti. La tesi centrale è enunciata già nel sottotitolo: Saggio sulla forma epica dal "Faust" a "Cent'anni di solitudine". Esisterebbe dunque una forma epica in epoca moderna? Come si sa, la risposta a questa domanda si è creduti di darla, a inizio Ottocento, una volta per sempre: dopo Hegel (e fino a Ba-chtin passando per Lukàcs), tutti quelli che si sono posti la questione ne hanno risolutamente negato la possibilità. L'epica antica non ha più ragione di esistere nell'epoca del romanzo. Ciò non vuol dire naturalmente che emuli di Omero o di Tasso non ce ne siano stati nell'Otto e anche nel Novecento; vuol dire però che i loro scritti potevano soltanto essere dimenticati nella polvere di una biblioteca, ove erano stati precocemente scacciati dai romanzi di Scott, Balzac, Manzoni e compagnia. Contro questa posizione chirurgica — là dove c'era l'epica, ora c'è il romanzo — Moretti sostiene invece che l'epica ha continuato a vivere a fianco del romanzo e anzi tutt'altro che stentatamente. Infatti l'epica moderna sarebbe rappresentata da alcuni dei testi sacri della letteratura occidentale: Faust, Moby Dick, l'Anello delNibelungo, l'Ulisse, La terra desolata, Cent'anni di solitudine. Una definizione coerente di questo genere letterario, Moretti non l'avanza. E possibile però ricavare dalle sue singole analisi le ca- ratteristiche che gli attribuisce. Fino al momento in cui appare l'Ulisse di Joyce, opera considerata punto d'arrivo e di svolta del genere: a) un'aspirazione, seppur passiva, alla totalità; b) un'ambizione enciclopedica; c) una tendenza digressiva all'episodio; d) finali deboli; e) momenti polifonici; f) una propensione allegorica; g) sono testi sacri della cultura occidentale; di Francesco Fiorentino h) dispiegano una retorica dell'innocenza; i) rappresentano la non contemporaneità del contemporaneo; l) non hanno come riferimento lo stato-nazione. Queste caratteristiche non sono però presenti in dosi analoghe in tutte le opere. Bouvard et Pécuchet non è certo allegorico né, come ammette Moretti stesso, Moby Dick particolarmente polifonico. Se queste caratteristiche non sono sempre presenti nelle opere-mondo, d'altra parte non sono neppure esclusivo appannaggio del genere epico moderno. Le ritroviamo in particolare in quello che sarebbe il genere rivale per eccellenza: nel romanzo. Tutte, tranne la polifonia, intesa come pluralità non armonizzata di voci, che però si troverebbe pienamente soltanto nel secondo Faust, mentre anche nelle altre opere-mondo precedenti ali 'Ulisse ce ne sarebbe solo una traccia piuttosto pallida. Insomma, fin qui, più che la morfologia di un genere, le caratteristiche riconosciute da Moretti nelle opere-mondo sembrano parte essenziale del più generale patrimonio della letteratura moderna. Poi arriva Joyce, che, come l'autore stesso riconosce, costituisce il motore primo di tutta la sua ricerca. E l'ipotesi si precisa. L'uso del flusso di coscienza nel personaggio di Bloom viene infatti riconosciuto come la geniale risposta a una questione essenziale per la letteratura: con quale procedimento rappresentare la vita nella metropoli moderna. La città pullula di stimoli, che la pubblicità a suo modo consente di controllare (originalissimo a questo proposito è il discorso di Moretti sulla pubblicità). Questi stimoli devono per forza essere attenuati. Il flusso di coscienza — come è adoperato da Joyce per Bloom — consente di accogliere nel "preconscio" del personaggio questi stimoli disparati, indeboliti e di condensarli attorno a nuclei deboli, costituiti sostanzialmente da luoghi comuni. Parallelamente all'avvento del "flusso di coscienza", torna prepotentemente nel romanzo la polifonia, intesa da Moretti non nella versione ben educata, democratico-parlamenta-re di Bachtin, bensì come molteplicità non domata di voci. Questa ricostruzione dello stream of consciousness tutta esclusivamente in chiave disgregativa, può suscitare qualche legittima perplessità in chi — come ad esempio Orlando nella recensione per la "Rivista dei libri" — crede che esistano in esso anche momenti aggregativi, che provengono non da fuori ma da dentro : quelle ossessioni del personaggio che consentono di raggrumarlo come entità, di renderlo affascinante e memorabile. Sorprende invece l'obiezione di un critico come Giulio Ferroni, il quale sull'"Unità" ha trattato Moretti da apologeta della pubblicità e del capitalismo. Certo Joyce non è un autore edificante, ma per- ► La nota giusta di Maupassant di Sandra Teroni Guy de Maupassant, Tutte le novelle, a cura di Mario Picchi, Mondadori, Milano 1993, pp. LXXX-1520, Lit 65.000. Maria Giulia Longhi, Introduzione a Maupassant, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 184, Lit 18.000. Durante l'estate del 1941 Paul Morand scrisse, nello stesso stile serrato e tagliente delle sue novelle, una Vie de Guy de Maupassant, edita da Flammarion l'anno successivo. È un vero peccato che questa singolare biografia, felicemente intessuta di quadri narrativi, affreschi di ambienti letterari e mondani, intermezzi dialogici, sia oggi pressoché introvabile. E incontro tra i due scrittori e i due personaggi è infatti di grande interesse, non foss'altro per la paradossale ammirazione con cui l'amico intimo di Proust, diventato celebre nei primi anni venti con due raccolte di novelle (Ouvert la nuit, 1922, e Ferme la nuit, 1923), viaggiatore insaziabile, diplomatico, mondanissimo e snob, discretamente antisemita, collaboratore proprio in quei mesi del governo di Vichy, guarda il "taurino" normanno, la sua passione della vita all'aria aperta e della performance sportiva, il suo anticonformismo pur nella sfacciata e borghese ambizione di scalata sociale e di ricchezze, il suo atteggiamento irridente del revanchismo post-Sédan, il suo lungo, doloroso faccia a faccia con la morte e con la follia. Molti anni dopo, ormai ottuagenario, tracciando una sorta di bilancio (nel Tableau de la littérature frammise, 1974) di ciò che "il Courbet del racconto e della novella" aveva rappresentato per lui e per la sua genera- zione, Morand avrebbe dichiarato che Maupassant era stato il loro Hemingway, "con quella stessa fine di animale triste". Ma già la biografia del 1941 riconosceva a Maupassant un ritmo vicino ai tempi nostri, "un ritmo che nel 1880 era nuovo": l'autore di L'Hom-me pressé univa l'omaggio a "un uomo vero" all'ammirazione per il maestro della novella, a cui del resto attinse direttamente, con veri e propri rifacimenti. Il 1880 fu un anno importante per Maupassant, almeno quanto lo era stato il 1870, quando era partito per combattere i prussiani e si era trovato irreversibilmente segnato dall'orrore della guerra, dallo sdegno per l'imbarbarimento che essa aveva rivelato e prodotto. Fu rievocando quegli eventi e quel clima che riuscì a superare "la grande difficoltà" di trovare "la nota giusta, quello che in musica si chiama il tono", e a realizzare, con Boule de suif, Usuo primo capolavoro. Da allora — aveva trent'anni — visse della penna, pubblicando in dieci anni trecento novelle, oltre a circa duecento "chroniques", sei romanzi e tre resoconti di viaggi. Da allora il suo successo editoriale non ha conosciuto battute d'arresto, nonostante i periodi in cui la critica non fu né favorevole né serena: a cento anni dalla morte, le statistiche lo danno ancora come lo scrittore francese più letto e amato nel mondo. E il centenario ha offerto l'occasione per nuove riprese e iniziative editoriali, dalla corrispondenza con Flaubert (Flammarion) alla riedizione in tre volumi delle finora introvabili Chroniques (10/18), Dino P. Arrigo FRATELLI d'ITALIA CRONACHE, STORIE RITI E PERSONAGGI (PER CAPIRE LA MASSONERIA) pp. 254 L. 20.000 Rubbettino