Le maschere di Yeats. Vita assoluta e vita vissuta di Silvano Sabbadini W. B. Yeats, Autobiografìe, Adel-phi, Milano 1994, trad. dall'inglese di Alessandro Passi, pp. 576, Lit 65.000. Se l'altro grande maestro del Novecento angloamericano, T.S. Eliot, ha sempre mirato a tenere ben distinte "la mente che soffre da quella che crea", Yeats, come qualsiasi lettore delle sue poesie può testimoniare, non ha invece mai fatto mistero del bisogno di mescolare poesia e vita, ritenendo, anzi, da buon erede dei romantici, che fosse necessario mettere a nudo l'intero "foul rag-and-bone shop of the heart" (sporco negozio da rigattiere del cuore). II problema, con lui, è semmai, come per tutti i grandi mitografi, di segno contrario, e cioè distinguere l'avvenimento reale dalla sua sistemazione mitica e simbolica, data la forte consapevolezza che un poeta "non è mai quel miscuglio di casualità e incoerenza che siede a colazione". Per un poeta cresciuto con il motto di Villiers de l'Isle-Adam negli orecchi, "Per ciò che riguarda il vivere, lo facciano pure i servi per noi", scrivere un'autobiografia ha infatti sempre voluto dire prendere le distanze dalla propria vita per leggerla sub specie simbolica: sin dalla prefazione al suo ora appena tradotto Autobiografie, infatti, la preoccupazione principale sarà quella di allontanare dalia loro lettura "qualche superstite amico... della giovinezza", dichiaratamente per non offenderlo con ricordi inesatti, in realtà per non entrare in quella dialettica "vero-falso" che non è mai stata appannaggio di Yeats, che ha sempre puntato, piuttosto, su quella di derivazione goethiana, di "poesia e verità". Non per niente, i Rèveries over Childhood and Youth, che costituiscono il primo e più corposo capitolo di queste Autobiografie, pubblicato autonomamente nel 1915, si concluderà sulla nota caratteristicamente yeatsiana dell'incompiutezza, dell'impossibilità di situarsi nell'uno, e lo farà distinguendo due vite, quella "assoluta" e quella, per così dire, "vissuta", in un bellissimo finale del tutto incongruo a un'"autobiogra-fia" vera: "Non è che io abbia realizzato una parte troppo piccola dei miei progetti, dal momento che non sono ambizioso: ma quando penso a tutti i libri che ho letto, e alle sagge parole che ho udito pronunciare, e all'ansia che ho dato a genitori e nonni, e alle speranze che ho coltivato, ecco che allora tutta la vita, pesata sulla bilancia della mia vita, mi sembra una preparazione per qualche cosa che non accade mai" (corsivo nostro). Le varie parti che compongono il volume Autobiografie furono scritte in epoche diverse, e tutte pubblicate autonomamente: ogni parte ha quindi uno stile e una finalità propria, anche se il loro essere disposte in ordine cronologico finge l'unità del libro. E va subito detto, anche, al lettore, che, come si diceva prima, l'attendibilità di Yeats sulla propria vita non è molta: chi voglia sapere i "fatti" è rimandato alla bellissima biografia di Ellmann; qui troverà eventi selezionati e organizzati a certi fini mi- topoietici, così che sarà possibile, ad esempio, in altre opere dal carattere autobiografico, nei Me-moirs, o in The Speckled Bird o in On the Boiler, trovare medesimi episodi narrati diversamente. Il primo blocco di memorie che, come dice il titolo, Rèveries su Infanzia e Giovinezza, copre il periodo che va dalla nascita ai vent'anni, fu iniziato nel 1914, in un periodo sangue" (Introductory Rhymes, w. l;19-22, in Responsabilities, 1914). E, d'altra parte, gli amici più cari cominciavano già a scrivere libri di ricordi in cui lui, che si sentiva autore di tutti loro, era ridotto a semplice personaggio: nel 1913 Lady Gregory aveva pubblicato, in Our lrish Theatre, le sue memorie della grande avventura della nascita del teatro irlandese, un'epopea Quasi loro l'avessero cucito" (w. 1-7), aggiungendo più tardi, in una composizione senza titolo, posta di seguito a Coat, versi così duri che piacquero molto a Pound: "fino a che ogni cosa che più mi è preziosa / si riduce a un pilone lordato da cani vagabondi". La rabbia e lo scontento però, come accade sempre in Yeats, si trasformarono in stimolo creativo, Lo scrittore e il fotografo di Guido Carboni James Agee, Sia lode ora a uomini di fama, Il Saggiatore, Milano 1994, ed. orig. 1941, trad. dall'americano di Luca Fontana, pp. 510, Lit 38.000. Ci sono libri forti che sembrano avere difficoltà a imporsi al pubblico, ma che rimangono vivi attraverso gli anni nutrendo, una generazione dopo l'altra, gruppi di appassionati lettori. È una difficoltà che non sembra dipendere tanto dalle condizioni storiche e sociologiche in cui vengono scritti e fatti circolare ma piuttosto dalla forza stessa di una complessità di cui si fanno portatori. Sia lode ora a uomini di fama è uno di questi libri. Nell'estate del 1936 la rivista "Fortune" invia in Alabama un giovane scrittore, James Agee, e un fotografo di talento, Walker Evans, per preparare un articolo sulla "vita quotidiana e l'ambiente di una famiglia media bianca di contadini fittavoli"'. La depressione che segue al crollo della borsa del '29 ha anche promosso una vigorosa ripresa del "realismo" e dell'"impegno sociale" dopo lo "sperimentalismo" e il "formalismo" delle avanguardie e del modernismo e dopo il "narcisismo artistico" che sembravano nutrire. Il 1934 era stato l'anno più buio, nel '36 qualche segno di ripresa cominciava ad accennarsi, ma la morsa della povertà che stringe i mezzadri neri e bianchi che coltivano il cotone nell'Alabama e in altri stati del Sud è più antica e strutturale. Non ha l'immediato impatto emotivo delle code per un piatto di minestra che si snodano lungo i marciapiedi delle città, non "urla", ma è come se fosse la stessa da sempre, arcaica e impermeabile a ogni tentativo di riforma, indifferente al new deal che si avvia a condurre il paese fuori dalla crisi. Negli anni trenta l'immagine è ormai a pieno titolo il protagonista sul palcoscenico della comunicazione. La fotografia ha raggiunto piena maturità come tecnologia, le sue procedure sono diffuse e standardizzate. Una generazione di fotografi e fotografie lascerà di questo periodo una vasta documentazione di straordinario valore storico, sociologico ed estetico. Le newsreels portano "l'azione" delle notizie nel buio delle sale cinematografiche a grandi masse di spettatori. Il settimanale, in cui la fotografia non gioca più un semplice ruolo di illustrazione e commento ma "fa giornalismo" in proprio, secondo la formula consacrata da "Life", e che dopo la guerra informerà lo sviluppo dei rotocalchi in tutto il mondo, ha già messo a punto la propria retorica, la propria estetica e le regole di produzione e distribuzione che ne fanno un canale essenziale dell'informazione di massa. In un certo senso un articolo come quello commissionato ad Agee e a Evans è quasi un fatto di ordinaria amministrazione. Ma Agee ed Evans non sono personaggi di ordinaria amministrazione, e l'ordinaria umanità che incontrano in Alabama ha su di loro un impatto esaltante e devastante, che li porta a rimettere in discussione tutte le regole della rappresentazione. In modo esplicito e autocosciente per Agee e in modo meno immediatamente percepibile, ma non meno radicale per Evans. Il materiale che essi riportano non è considerato pubblicabile, è insieme troppo immediatamente vero e troppo radicalmente complesso. La lucidissima, razionale, luminosità estetica di Evans sovverte ogni possibilità di facile coinvolgimento emotivo. Lo sguardo che i ritratti di questi uomini, di queste donne e di questi bambini restituiscono al lettore e la sublime nudità degli oggetti e delle case tra cui si articola la loro vita domandano una risposta che va troppo oltre la "pietà" del lettore medio e il comodo solidarismo dell'intellettuale liberal progressista, sollevano questioni che mettono in scacco le certezze degli intellettuali "impegnati". La tensione di piena crisi esistenziale: Yeats aveva ormai raggiunto la mezz'età, e il ruolo d'artista bohémien non gli andava più bene; voleva una famiglia, ma le relazioni sentimentali di quegli anni erano inesorabilmente fallimentari. Lo spettro della sterilità lo minacciava sotto tutti gli aspetti, come testimoniano molte poesie di Responsabilities, la raccolta coeva alla stesura delle sue memorie: "Perdono, antichi padri, ... / ... / Perdono, se per una sterile passione, / vicino ormai ai quaran-tanove, non ho figli, / e niente possiedo se non un libro, / questo soltanto, a prova del mio e del vostro di cui Yeats era stato il protagonista; Katherine Tynan, nel suo Twenty-five years: Reminiscences, aveva addirittura incluso dozzine di lettere di Yeats; ma, soprattutto, George Moore, col suo Hail and Larewell, aveva offerto un ritratto del nuovo movimento letterario irlandese che Yeats non poteva accettare. In Coat, la poesia conclusiva di Responsabilities, Yeats avrebbe commentato: "Al mio canto avevo fatto un mantello / Intessuto dei ricami / D'antiche mitologie, / Dalle calcagna al collo; / Ma l'hanno preso gli stupidi, / E indossato davanti agli occhi del mondo, / e Yeats decise di mettere ordine alla propria vita iniziando a "riscriverla": cominciò a scrivere le sue memorie nel gennaio '14, e terminò il volumetto per il Natale dello stesso anno, quando scrisse anche la prefazione. Inizialmente voleva intitolarlo "Memory Har-bour", con riferimento a un acquerello dipinto dal fratello che veniva riprodotto a colori nelle prime edizioni, poi, dopo varie oscillazioni tra "A Rèverie" e "Rèveries", fu preferito il titolo attuale, col suo plurale, secondo un movimento che verrà replicato anche per il titolo comprensivo di tutta la raccol- ta, che uscirà come Autobio-graphies nell'edizione inglese nel 1926, e poi nel '27, col titolo The Autobiography of W.B. Yeats negli Usa, quasi un anno fosse bastato a ritrovare quell'unità, sentita come mancante nella prima edizione; ma poi le edizioni successive torneranno a preferire il plurale. La "felicità" del plurale sta tutta nell'assoluta coincidenza con la forma narrativa prescelta. Non si tratta di una continuità progressiva, ma di una serie di trentatré "epifanie", e cioè di trentatré ritagli da una vita in cui si ricongiungono i due termini d'esperienza, allusi nel titolo, sotto la voce comune "rèverie": quello di una passività senza scopo, casuale, quasi un sogno a occhi aperti, una fantasticheria; e, invece, all'opposto, quello di una visione come concentrazione attiva, come sforzo d'attenzione in vista d'una contemplazione. Lo sforzo di tutta la scrittura yeatsiana è di riuscire a presentare questi due stati come le facce di un'unica medaglia, quasi la vita, e la poesia, fossero il miracolo d'una attenzione distratta, la coesistenza tra sforzo e grazia: non per niente, secondo quanto recita l'epigrafe della già citata raccolta coeva di poesie, Responsabilities, "In dreams begin responsability" (Nei sogni comincia la responsabilità). Incentrato sui ricordi dei semileggendari parenti di parte materna, sui racconti mitici della madre, questa prima parte dei ricordi yeat-siani è però dominata intellettualmente dalla figura del padre, secondo uno schema antropologico ricorrente negli scrittori di questi anni, da Matthew Arnold a Gosse e a Butler, o, per rimanere in Irlanda, dalle Confessions of a Young Man di George Moore al Playboy of Western World di John M. Syn-ge: l'odio-amore per il padre, d'altra parte, scandisce tutta l'opera yeatsiana, dal giovanile The Death of Cuchutain (1892), attraverso ben due traduzioni dell'Expo re (1912 e 1927) sino al play intitolato Purgatory, scritto poco prima della morte. Qui, mentre la relazione con la madre è posta fuori dal tempo, e si offre come rapporto continuo con il mitico, la relazione con il padre dà il tempo di queste memorie, secondo un pattern che va dal massimo del potere del padre sino al suo graduale svanire nell'identità diffusa dello stesso io narrante: emblematicamente, è al padre che viene ascritta la parola chiave che darà il titolo al volumetto — "Tutto per lui doveva essere idealizzazione della parola, e in un momento di azione appassionata e di sonnambolica rèverie". Ma, al di là delle relazioni col padre — e queste stesse memorie verranno "addomesticate" per non offenderlo, ancora vivo e operoso alla loro uscita —, è interessante vedere come Yeats riesca ad affrontare la narrazione della propria vita secondo i termini d'una nascita del mondo: il continuo of-frircisi di impressioni sensibili, la casualità degli sguardi con cui ciò che circonda 0 bambino ci viene mostrato, producono un senso