Scheletri indiani di Giorgio Mariani sherman Alexie, Lone Ranger fa a pugni in Paradiso, Frassinella Milano 1995, ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Maria Teresa Marenco, pp. 225, Lit 20.000. Dopo Scott Momaday e James Welch, Gerald Vizenor e Leslie Silko, Simon Ortiz e Joy Harjo, Louise Erdrich e Michael Dorris non dovrebbe essere più lecito stupirsi di fronte alla vitalità e alla qualità della letteratura indiana degli Stati Uniti. Eppure, per questa raccolta di racconti di Sherman Alexie bisogna spendere l'aggettivo "straordinario". Capita raramente d'imbattersi in uno scrittore che, così giovane e alla sua prima importante prova narrativa, dimostri d'essere già padrone di un suo linguaggio, di una sua tecnica, di un suo preciso angolo visuale. Come altri scrittori indiani, anche Alexie arriva alla fiction dopo un lungo apprendistato come poeta che gli ha dato modo di mettere a punto uno stile asciutto, terso, essenziale, e in grado di prodursi in scatti lirici di grande efficacia. Nei ventidue racconti del volume il mondo della riserva degli indiani Spokane, nello stato dello Washington — tribù della quale Alexie è membro — viene evocato dalle conversazioni dei personaggi. I dati oggettivi sono così ridotti al minimo, ed è in genere quasi impossibile distinguere la "trama" delle storie dai dialoghi di cui esse sono in larga parte composte. L'universo di Alexie è fatto di tensioni e scontri che sono però più verbali che fisici, e l'abilità dell'autore sta anche nel suo sapere infondere nei dialoghi la giusta dose di humour e surrealismo. In queste storie ritroviamo molti dei temi classici della narrativa indiana contemporanea: il dramma dell'alcolismo e della disoccupazione; il dilemma di come tener vive le tradizioni senza sentirsi imbalsamati e imprigionati dal passato; l'importanza delle storie e della memoria nel definire l'identità tribale; la capacità di sopravvivere anche grazie all'immaginazione e al riso, perché non di sole tragedie, povertà e sofferenza è fatta la vita della riserva. Lo sguardo dissa- crante di Alexie, pur avendo qualcosa in comune con quello del James Welch di Winter in the Blood (Harper & Row, New York 1974), è assolutamente originale nelle soluzioni escogitate per farci sorridere di ciò di cui vorremmo piangere. Ma la comicità non cancella mai la sofferenza; aiuta solo a sopportarla. Lo stesso può dirsi del ricorso alla "tradizione": "Il vostro passato", scrive Alexie in un brano che è anche un'efficace dimostrazione del suo stile, "è uno scheletro che cammina dietro di voi, e il futuro è uno scheletro che cammina un passo avanti. Voi magari non portate l'orologio, ma i vostri scheletri sì, e sanno sempre che ora è. Ora, questi scheletri sono fatti di ricordi, di sogni, di voci. E possono intrappolarvi nel mezzo, tra l'essere e il divenire. Ma non sono necessariamente malvagi... qualunque cosa facciano, continuate a camminare, a muovervi. E non portate l'orologio... Passato, futuro, tutto è contenuto qui, adesso. Ecco come stanno le cose. Siamo intrappolati nell'adesso". La capacità indiana di non soccombere è sintetizzata nella formula "Sopravvivenza = Rabbia X Immaginazione". È anche grazie al pruno termine del binomio che le propensioni visionarie di Alexie non sono mai fine a se stesse. Anzi, a volte nelle sue storie si può forse scorgere una propensione lievemente didattica che, se fa pienamente parte della tradizione orale dello storytelling, a un pubblico non indiano potrà magari apparire come il segno di una scrittura non N. 7, PAG. 10/VI11 sufficientemente artistica. Ma se è vero che Alexie cuce spesso nei suoi racconti affermazioni che hanno qualcosa dell'aforisma, non mi sembra che lo si possa accusare d'indulgere in tipizzazioni simboliche o moralizzanti. Più fondata è un'altra critica che qualcuno gli ha mosso: le voci dei suoi personaggi hanno una certa tendenza ad assomigliarsi un po' troppo, e solo l'imminente uscita del pruno romanzo di Alexie potrà chiarire sino a che punto quella di Lone Ranger sia stata una scelta strategica, in qualche modo consona alla brevità dei racconti, o se il suo è viceversa un limite di natura più generale. Se bisogna essere grati a Frassinelli sia di aver scovato un'altra voce importante della letteratura americana contemporanea, sia di aver riprodotto la bella copertina del testo originale, un paio di appunti all'edizione italiana vanno comunque fatti. La traduzione di Maria Teresa Marenco è sintatticamente efficace e scorrevole, anche se alcune rese italiane di espressioni gergali non convincono del tutto. Lascia invece perplessi — ma qui non c'entra la traduttrice, e il problema non riguarda certamente solo questo libro — la scelta di tradurre i nomi propri indiani, così che se Thomas e Victor, giustamente, non diventano Tommaso e Vittorio, "Builds-the-Fire" si trasforma in Accendi-il-fuoco. Bisognerebbe sempre tener presente, che la traduzione è un atto di mediazione culturale. Anche per questo, se proprio non si vuole "appesantire" il testo con un'introduzione, qualche nota a piè di pagina aiuterebbe a risolvere molti problemi. A tale proposito viene da chiedersi quanti lettori italiani, ammesso che lo sappiano, sono in grado di ricordarsi immediatamente che "The Lone Ranger" è un vecchio fumetto americano che ha come protagonisti un cowboy -giustiziere bianco e il suo aiutante indiano Tonto. Oppure che l'espressione italiana "Danza degli Spettri" si riferisce al movimento messianico della Ghost Dance del secolo scorso. Nel rendere disponibile al pubblico italiano uno scrittore come Sherman Alexie, non dovrebbe sembrare indelicato fornire qualche delucidazione a chi legge: la forza di un libro come questo sta certamente anche nel ricordare al lettore i limiti del proprio universo culturale, invitandolo al tempo stesso a trascenderli. Autostop da Spokane a Woodstock Leggere la società americana oggi non è cosa facile, soprattutto se non si vuole rimanere nella grande metropoli newyorkese o sulle assolate coste della California. Per capire questa società bisogna spostarsi al suo interno dove tante culture si agitano separatamente ma hanno riferimenti e modelli comuni. Allora chi volesse comprendere la società indiana d'America dei giorni nostri e gli Stati Uniti che le fanno da .cornice non può fare a meno di leggersi Lone Ranger fa a pugni in Paradiso. Alexie è un tipico prodotto del mondo multietnico americano. I suoi personaggi e i suoi luoghi non sono solo indiani, ma sono anche profondamente americani. Che cosa c'è di più americano di un 7-11 (sevenileven in americano!) i piccoli supermercati con pompa di benzina che si trovano perfino in posti dove nessun europeo ragionevole andrebbe a cacciarsi, ma rappresentano punti di riferimento essenziali nei piccoli centri della provincia. E Seattle, nuova capitale culturale degli Stati Uniti e al tempo stesso punto di riferimento e di fuga per un indiano Spokane. Solo un americano, e per giunta indiano, avrebbe fatto l'autostop da Spokane nello stato dello Washington fino a Woodstock, cioè dal Pacifico all'Atlantico, per sentire Jimy Hendrix suonare l'inno nazionale. E ancora, quello stesso personaggio finisce i suoi giorni a Phoenix in Arizona con una ricchezza consistente in un camioncino da trasporto e un libretto di risparmio postale. Ci sono i giovani che giocano a basket e nel giocare bene trovano il loro personale riscatto all'essere indiani emarginati, per poi essere costretti ad abbandonare lo sport a causa dell'appesantimento dovuto all'alcol, come Victor, il protagonista dei racconti di Alexie. I personaggi che danno vita a questo mondo indiano stanno a metà strada tra la perenne imminente tragedia e un umorismo leggero che riesce sempre a rimandare la resa dei conti finale. Se il cassiere del turno di notte (il graveyard night shift nell'originale) del sevenileven squadra ben bene l'avventore per "poterlo descrivere alla polizia in seguito", nel libro di Alexie ci sono anche i giovani indiani in continua disputa con la tradizione, che viene accettata e messa in discussione. Il protagonista del racconto Una droga chiamata tradizione dice, ad esempio, che il suo piccolo amuleto "cercapersone" è l'unica religione che gli è rimasta e nel suo scetticismo confessa che "sta nel palmo della mano, ma penso che se lo suonassi un pochino potrebbe riempire il mondo intero". Questo è il mondo degli indiani d'America oggi e quello di tanti altri cittadini degli Stati Uniti, ancora identificati come "etnici" e quindi appartenenti a culture di confine, ma parte integrante della realtà americana. E unica vera e fondamentale differenza è che quell'unico semaforo all'incrocio nel mezzo del nulla, tipico di tanta provincia americana, nella riserva non funziona più. (d.f.) Nel laboratorio degli Irochesi di Daniele Fiorentino Daniel K. Richter, TheOrdeal of the Longhouse. The Peoples of the Iroquois League in the Era of European Colonization, University of North Carolina Press, Cbapel Hill 1992, pp. 436. Brian J. Given, A Most Perni-cious Thing. Gun Trading and Native Warfare in the Early Contact Period, Carleton University Press, Ottawa 1994, pp. 138. Perché scrivere a proposito di Iroqu'oia (come viene chiamata la zona geografica tra la parte settentrionale dell'attuale stato di New York e il sud del Canada) prendendo spunto da due interessanti volumi pubblicati recentemente in America? Per maggiore chiarezza, la risposta può essere divisa in tre punti: 1) la produzione storico-an-tropologica più significativa sugli indiani d'America, nel caso specifico sugli Irochesi, e sull'incontro di culture nel Nord America è stata ignorata, con qualche rara eccezione (si veda "L'Indice", 1993, n. 9), e mai tradotta in questo paese; 2) alcuni dei testi pubblicati sull'argomento negli ultimi quindici anni sono tra i più importanti e innovativi nell'applicazione della metodologia etnostorica e hanno influenzato in modo significativo la storia e l'antropologia negli Stati Uniti; 3) troppo spesso l'importanza di queste regioni e di questi popoli nel contesto storico mondiale viene sottovalutata e confinata all'analisi della storia più recente, rimanendo più funzionale alla descrizione dell'espansione degli Stati Uniti in prospettiva decisamente eurocentrica. I lavori di Richter e Given rappresentano due dei recenti interventi della grande scuola etnostorica americana volti a comprendere le dinamiche politico-culturali innescate dall'arrivo degli europei nel Nord America e in particolare in Iroquoia, dove risiedevano appunto i popoli che componevano la Haudenosanee, la "casa completa", che per gli Irochesi rappresentava metaforicamente la loro confederazione. Non solo, questi lavori, forse più di quelli dei loro ormai famosi predecessori (è qui inevitabile il riferimento al libro di Francis Jennings, L'invasione dell'America, Einaudi, Torino 1991, ed. orig. 1973, e alle grandi opere di Bruce Trigger, The Children of Aataentsic, McGill-Queen's University Press, Montreal 1987, e Natives and Newco-mers, McGill-Queen's University Press, Montreal 1985) aiutano a capire la rilevanza storica per il sistema-mondo dell'impatto culturale che si verificò in questa zona del globo all'epoca della sua colonizzazione da parte degli europei. Grazie all'arrivo degli europei, la Lega degli Irochesi, formata inizialmente da cinque popolazioni originarie della zona dei Grandi Laghi alle quali si aggiunsero successivamente i Tuscarora dal sud, si garantì un importante accesso a mercati alternativi e a nuovi centri di potere che consentì, per circa un secolo, a queste popolazioni sia di incrementare la propria forza politica e militare nell'area geografica da essi controllata, sia di riuscire a mantenere un certo grado d'indipendenza nei confronti dei contendenti europei. Già intorno al 1750, tuttavia, lo scontro imperiale nell'America del Nord aveva ridotto ai minimi termini l'autonomia irochese. Abili nei rapporti diplomatici, gli Irochesi riuscirono a rimanere a lungo indipendenti e a tenersi in gioco con gli europei, muovendosi contemporaneamente in spazi politico-sociali differenti sia con altre popolazioni indiane che con i nuovi arrivati. Seguendo in questo senso l'interpretazione di Denys Dèla-ge (Le pays renversé, Boréal Express, Montreal 1985) e della sua "économie monde", Richter e Given vedono l'interazione tra indiani, francesi, olandesi e inglesi svilupparsi tra Seicento e Settecento nel contesto di un sistema internazionale di scambi che si espande ►