Ut o-ù'ib'tscr cte^L Uno shock per rifare lo stato di Luigi Bobbio GENNAIO 1996 Bruno Dente, In un diver- so Stato. Come rifare la pubbli- ca amministrazione italiana, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 121, Là 18.000. Le riforme istituzionali si occu- pano essenzialmente del problema del governo: come far sì che sia espresso dagli elettori, che non sia troppo litigioso al suo interno, che sia stabile. Ma ben altra cosa è la capacità di governare, ossia di ri- solvere problemi collettivi, rispon- dere alle domande o ai bisogni dei cittadini. I due aspetti non vanno necessariamente di pari passo. Un governo forte (stabile, maggiorita- rio, di legislatura) può non essere in grado di governare, per esempio perché adotta assunzioni troppo semplici sugli interessi in gioco, formula politiche sbagliate o non riesce ottenere che siano messe in pratica, mentre all'inverso non è escluso che problemi importanti possano essere affrontati e risolti anche in assenza di un governo ve- ro e proprio. Ciò che fa la differen- za è il funzionamento degli appa- rati che formano la pubblica am- ministrazione o meglio il rapporto (oggi spesso trascurato) tra la poli- tica e l'amministrazione. E qui che si gioca la capacità di formulare, mettere in opera e correggere le politiche pubbliche. Detto in altri termini, l'amministrazione non è l'appendice della politica ma ne è il cuore. Ed è, nel caso italiano, un cuore assai malandato che va rein- ventato dalle fondamenta rompen- do una continuità che ci accompa- gna da più di un secolo. Partendo da queste premesse, Bruno Dente avanza una proposta per rifare lo stato italiano. Può sem- brare un'impresa presuntuosa (co- me lo stesso autore riconosce) dal momento che è condotta in sole 121 pagine. Ma il lettore capisce su- bito che esse sono il distillato di una lunga esperienza di ricerca e di una conoscenza approfondita dell'am- ministrazione e dei suoi meccani- smi (l'autore ha direttamente colla- borato negli ultimi anni all'impresa riformatrice del Dipartimento della funzione pubblica). Il "diverso stato" di Bruno Den- te è una proposta insieme rivolu- zionaria e gradualista. Prefigura una rottura frastica. Ma considera diffusamente anche i processi per portarla avanti. Bruno Dente non si è arruolato nel partito dei deci- sionisti. Sa che le democrazie fun- zionano sul consenso e la negozia- zione. E accetta la sfida della tra- sformazione proprio all'interno di un quadro pluralistico, popolato da interessi contrastanti. L'aspetto rivoluzionario non ri- guarda solo gli apparati (che pure si vogliono trasformare radical- mente). Riguarda soprattutto la cultura della riforma amministrati- va. Parafrasando il titolo di un li- bro oggi dimenticato ma che ebbe molta fortuna nella nostra genera- zione, si potrebbe dire che Dente propone una "rivoluzione nella riforma". Che cosa c'è che non va nella cultura dominante della riforma amministrativa? E che essa è ancorata a un paradigma raziona- listico, sinottico e statico che appa- re teoricamente insostenibile e praticamente velleitario. Le rifor- me amministrative degli anni no- vanta, realizzate con le tre famose leggi ("la 142", "la 241" e "il 29", nel gergo degli addetti ai lavori) universalmente lodate per la loro portata innovatrice, si sono rivela- te invece — per Dente — incapaci di funzionare. Nel lodevole inten- to di arginare l'ingerenza della po- litica nell'amministrazione, esse hanno finito per riproporre un modello antico e irrealistico che fonda la separazione tra la politica e l'amministrazione sulla distinzio- ne tra fini e mezzi, secondo il quale i politici fissano gli obiettivi, i fun- zionari predispongono gli stru- menti per realizzarli. Ma questa se- parazione, che dovrebbe proteg- gere l'amministrazione, tende in- vece a bloccarla per il semplice motivo che i politici non sono qua- si mai in grado di fissare i fini (per ragioni non solo pratiche ma an- che teoriche) e che gli obiettivi non possono essere posti indipenden- temente dai mezzi, ma vanno de- dotti — a posteriori — dagli stru- menti a disposizione. La separazione tra la politica e l'amministrazione va invece fonda- ta — secondo l'autore — su un al- tro e ben più solido terreno; ossia sulla distinzione tra continuità e in- novazione. L'amministrazione ha il compito di gestire, in piena auto- nomia e responsabilità (compresa l'individuazione'degli obiettivi), le politiche correnti. Ai politici spetta l'iniziativa per il cambiamento. Ciò implica una netta separazione or- ganizzativa delle due sfere (che og- gi sono invece unite nella struttura ministeriale dove il ministro-politi- co sta al vertice del ministero). Gli attuali ministeri vanno scomposti in unità autonome e omogenee (i dipartimenti) dirette da dirigenti responsabili, dotate di personalità giuridica, di un proprio patrimonio e di un proprio budget, che agisco- no con strumenti di diritto privato sulla base di una missione (piutto- sto che sulla base di regole). Ai mi- nistri deve invece far capo una struttura agile che si occupi dello studio e della sperimentazione del- le innovazioni. Lo stesso schema dovrebbe riprodursi anche nelle regioni e nei comuni, che oltretutto si immaginano dotati di maggiori poteri in omaggio al principio di sussidiarietà. Ciò che tiene insieme questo sistema molto più fram- mentato e disarticolato dell'attuale è l'esistenza di un insieme di con- trolli ridondante e plurimo: ogni unità amministrativa deve essere in grado di controllare le proprie pre- stazioni ed è a sua volta controllata da agenzie esterne. L'importante è che i controlli non siano più forma- li, preventivi e punitivi, ma sostan- ziali (sui risultati), successivi e cor- rettivi. Il modello a cui tendere non è un'amministrazione che funzioni come un orologio, ma un'ammini- strazione che sia messa in condizio- ne di apprendere e di correggersi. Sull'altro punto dolente dell'am- ministrazione attuale, ossia le pro- cedure, Dente suggerisce che il principale errore della cultura am- ministrativa è stato quello di trat- tarle tutte allo stesso modo, esten- dendo a tutti i provvedimenti le re- gole garantiste che erano state in- trodotte per gli atti autoritativi che potevano minacciare la libertà dei cittadini. Bisogna invece ormai di- stinguere tra i provvedimenti che possono comprimere i diritti, per cui ha senso una rigida predetermi- nazione delle procedure e la possi- bilità di tutela giurisdizionale, e quelli (e sono la stragrande mag- gioranza) che non incidono sui di- ritti e per cui devono valere condi- zioni di discrezionalità e controlli successivi sui risultati. N. 1, PAG. 6 Non posso spingermi oltre sulle proposte contenute nel libro di Dente che sono assai precise e cir- costanziate (è un vero programma di riforma, non una semplice di- chiarazione di intenzioni). Mi pare invece utile soffermarmi sui modi con cui egli pensa che una riforma così radicale possa essere realizza- ta. Egli immagina un processo a due tappe. Un momento di rottura (un big bang) attraverso cui venga- no messi sul tappeto, tutti in una volta, gli elementi essenziali della riforma. E, dopo lo choc iniziale, un processo di messa in opera che potrebbe essere guidato da un or- ganismo ad hoc, estremamente au- torevole, separato dal governo ed estraneo alla logica partigiana. Questo è il tempo in cui è necessa- rio trovare le alleanze (tra le forze sociali e anche dentro l'ammini- strazione) e formare coalizioni, ben sapendo che gli obiettivi an- dranno corretti durante il percorso e che i risultati saranno comunque diversi da quelli ipotizzati inizial- mente. Insomma: prima scuotere (perché senza una scossa potente nulla si metterà in moto), poi nego- ziare, procedere incrementalmen- te, presidiare. Ciò che rende possibile una rein- venzione radicale dello stato, è che lo stato, così come è prefigurato dalle attuali regole formali, proce- durali e organizzative, non esiste più. Dilatandosi è esploso in mille pezzi, si è frantumato in una miria- de di settori di intervento e di livelli di governo (dal centro alla perife- ria). Inseguire un modello di stato coeso (alla francese, per intenderci) non è più possibile nella situazione italiana e non è neppure augurabile. Tanto vale prendere atto di ciò che è accaduto e non continuare a fin- gere che le cose stiano come preten- derebbe il modello istituzionale che abbiamo ereditato dal secolo scorso e che è stato indebitamente esteso ai nuovi servizi che lo stato si è via via assunto. Questi temi sono del resto all'or- dine del giorno in tutti i paesi (compresa la Francia). Il passaggio verso forme politiche meno cen- tralizzate, più articolate e volonta- rie è perciò inevitabile. Nel nostro futuro non c'è lo "stato minimo" o lo "stato che regola ma non gesti- sce", secondo formule tanto fortu- nate quanto mitiche, ma uno stato ampio, diffuso e frammentato. E governare questa frammentazione è possibile se non ci si illude di po- terlo fare attraverso apparati uni- tari e logiche onnicomprensive. Ovviamente le proposte di Den- te non sono tutte convincenti, ma mi pare che esse rappresentino co- munque un netto salto di qualità nel dibattito sulla riforma dello stato in Italia. Se una piccola fra- zione delle energie che oggi sono impegnate nel discutere sui sistemi elettorali o sulla forma di governo fossero indirizzate a ragionare sui temi proposti dal libro di Dente (anche ovviamente per confutarne le tesi), il dibattito pubblico in Ita- lia ne otterrebbe uno straordinario giovamento. Ma non so se questo accadrà. Bisognerebbe che la poli- tica facesse un passo indietro — nell'attenzione pubblica — e che lo stato e le politiche facessero un passo avanti. O che non si ragio- nasse più sul governo senza porsi il problema del governare. La "se- conda repubblica" sarebbe poca cosa senza un "diverso stato" (mentre non è necessariamente ve- ro l'inverso). L'amministrazione in 10 tesi David Osborne, Ted Gaebler, Dirigere e governare. Una proposta per reinventare la pubblica amministrazione, presentaz. di Sabino Cassese, postfaz. di Carlo De Filip- pis, Garzanti, Milano 1995, ed. orig. 1992,. trad. dall'inglese di Alessandra Dipaola e Brunella Martera, pp. 511, Lit 55.000. La tesi fondamentale dei due autori è che la serie ormai cospicua di innovazioni intro- dotte in modo decentrato nell'amministra- zione americana negli ultimi decenni, spesso per iniziativa di singoli funzionari, ha ormai generato un vero e proprio mutamento di pa- radigma, un passaggio epocale. Il paradigma dell'"amministrazione burocratica" (fondata alla fine del secolo scorso e consolidata nel New Deal) sta cedendo il passo a quello dell'"amministrazione imprenditoriale", che si basa su principi diametralmente opposti. La differenza non sta nell'ampiezza dell'in- tervento pubblico. I due autori non sono par- tigiani dello stato minimo o delle privatizza- zioni ad ogni costo. Ritengono che il proble- ma non sia "quanto" stato, ma "quale" stato. L'amministrazione non va ridimensionata o ampliata. Va reinventata. Il paradigma dell'"amministrazione im- prenditoriale" consiste in dieci principi che vengono illustrati in altrettanti capitoli: 1) indirizzare invece di fare; 2) responsabilizza- re la comunità invece di servirla; 3) immette- re la concorrenza nella fornitura diservizi; 4) far guidare le amministrazioni dalla missio- ne e non dalle regole; 5) finanziare i risultati e non gli input; 6) andare incontro alle esi- genze del cliente; 7) guadagnare invece di spendere; 8) prevenire è meglio di curare; 9) decentrare; 10) intervenire utilizzando il mercato. Come si vede, si tratta di temi pre- senti anche nell'attuale dibattito in Italia. E quindi un libro che dà risposte alle nostre stesse domande. Ed è anche piacevole, dal tono divulgativo. Le tesi dei due autori non sono presentate in modo astratto, ma sono ricavate da uno straordinario repertorio di esempi di innova- zione amministrativa, specialmente a livello locale. Anche se i resoconti di tali esperienze possono parere un po' troppo ottimistici (o troppo poco critici), essi forniscono comun- que una vera e propria miniera di idee e sug- gerimenti nei settori più disparati (dalle case popolari alle scuole, dalla polizia alle politi- che contro la povertà) e rispetto ai compiti più'vari (gestire, controllare, finanziare, pro- grammare). Vorremmo consigliarne la lettu- ra a tutti quegli operatori pubblici italiani (siano essi funzionari, assessori, operatori so- ciali, colonnelli, sindaci, presidi, prefetti, mi- nistri o questori) che vorrebbero liberarsi dall'attuale paradigma burocratico. Ci trove- ranno sicuramente qualcosa che fa al caso lo- ro (e a cui finora non avevano pensato). (l.b.)