Storia della morte scritta Armando Petrucci, Le scritture ultime. Ideologia della morte e strategie dello scrivere nella tradizione occidentale, Einaudi, Torino 1995, pp. 186, 66 ili f.L, Ut 60.000. "Scrivere i morti": suggestiva espressione che individua con efficacia l'oggetto principale del bel libro di Armando Petrucci, che in agili, scintillanti capitoli ripercorre in sequenza cronologica i principali momenti dell'evoluzione dell'uso della scrittura nei monumenti funerari. Ancora una volta (ricorderò solo, per la stretta affinità delle fonti indagate, il saggio La scrittura fra ideologia e rappresentazione, pubblicata nel IX volume della Storia dell'arte italiana, Torino, Einaudi, 1980, e ripubblicata in volume autonomo nel 1986) Petrucci mette a disposizione del pubblico alcuni dei risultati delle sue ricerche specialistiche, trascinandolo in un'avventura intellettuale in cui le novità di interpretazione risultano tanto più emozionanti quanto più coinvolgono il lettore comune nella percezione vivacemente colorita di luoghi e idee ormai ingrigiti dalla quotidianità della loro frequentazione. Il filo rosso del saggio è rappresentato infatti dall'uso della scrittura nelle ritualità della sepoltura, entro il quadro di complesse comunicazioni destinate in ogni civiltà a elaborare la rappresentazione della morte. Un tema, quest'ultimo, che, come sottolinea l'autore nell'introduzione, ha ispirato ormai classiche ricerche di ampio respiro, ma che qui è affrontato per la prima volta dal punto di vista particolare dello storico delle scritture: lo "scrivere i morti", appunto, e non scrivere dei o sui morti. Un affascinante viaggio di lunga durata attraverso un aspetto come pochi altri ricco di costanti nel tempo, e insieme efficace cartina di tornasole del mutare a volte profondo delle condizioni storiche particolari o addirittura locali che ne dettarono i comportamenti. Fin dal suo primo comparire in area occidentale, nella Grecia nel tardo VIII secolo a.C., il testo scritto sul monumento funebre esprime un modello che resterà caratteristico per l'arco dei secoli fino ai giorni nostri: il messaggio, pur variando col mutare dei tempi, apre sempre un dialogo fra i vivi e in funzione dei vivi. Perciò esso ci introduce con grande concretezza ed efficacia nelle "strategie" e nei programmi ideologici delle società in cui i viventi, attraverso i riti di memoria, rispetto e onore per i morti, hanno elaborato non tanto il dolore individuale quanto piuttosto i valori che alla dimensione del ricordo furono assegnati nel quadro più ampio delle regole di convivenza e di controllo sociale. Di qui il carattere fondamentalmente "laico" della ricerca di Petrucci, tutta vivacemente incentrata sul continuo rinvio dalle ritualità e dai formalismi della comunicazione funeraria ai modelli complessi delle civiltà d'Occidente. In tale ottica, la stragegia della memoria dei defunti si dimostra un efficace elemento di interpretazione della storia delle idee e della cultura di un'epoca; non solo, ma anche, per il dipendere del fenomeno direttamente dalle élites dominanti, per la comprensione dell'organizzazione sociale e delle forme dell'egemonia e del potere. Così, dalla "enfatizzazione dello scritto" attraverso forme grafiche ricercate e ancor più raffinate "impaginazioni" del testo nelle stele della Grecia dei secoli V-IV a.C. alla complessa strategia commemorativa dei testi ampi e analitici delle sepolture dei patrizi romani di età repubblicana e imperiale — in cui il cursus honorum puntigliosamente elencato vale a fissare non solo il valore del commemorato quanto e soprattutto la gloria che ne deriva per la famiglia —, emerge l'immagine di una aristocrazia della morte che, nell'arco di alcuni secoli, detta regole sempre più precise e cogenti ed elabora modelli grafici e testuali destinati a condizionare in modo duraturo la cultura scritta funeraria occidentale. La successiva comparsa, fra il II e III secolo d.C., delle aree cimiteriali cristiane segna un momento fortemente innovativo nei confronti dei modelli precedenti: la profonda diversità di funzione della scritta commemorativa — contemporaneamente legata a valori di eguaglianza nella morte, a funzioni di sollecitazione per le di Gian Giacomo Fissore preghiere ai defunti, e a un culto dei morti che sposta nell'aldilà la primazia degli obiettivi e delle prospettive della morte fisica e dei suoi rapporti con i vivi — assume i caratteri di una inusitata, emozionante vivacità e di una indisciplinata vitalità del testo scritto, condizionato nelle forme come nella disposizione sia dalle particolari condizioni materiali offerte dalle inumazioni catacombali sia dal legame forte con elementi figurativi simbolici (monogramma costantiniano, croci, le "lettere apocalittiche" alfa e omega, pavoni, colombe, pesci) che arricchiscono e complicano il messaggio scritto nelle epigrafi. La rottura di una tradizione ormai consolidata avviene anche in un'altra direzione, quella della collocazione delle tombe. Dal tardo periodo imperiale si comincia ad elaborare quel fenomeno, da Petrucci definito "ecclesializzazione delle sepolture", destinato a caratterizzare fino al tardo Settecento le abitudini funerarie di larga parte d'Europa: le chiese divengono luogo privilegiato di sepoltura per i grandi personaggi, a cominciare dai vescovi, mentre la crisi dell'alfabetizzazione tocca anche l'ambito funerario, riducendo ad assai pochi i destinatari di monumenti funerari scritti. Le iscrizioni rimangono destinate essenzialmente alle élites religiose e a quelle più alte del potere laico; esse restituiscono al testo la sua centralità, ispirandosi ora all'epigrafia antica ora, e più spesso, ai coevi modelli librari; ma, in consonanza con il fenomeno del "particolarismo grafico" che caratterizza tutta la produzione scrittoria dell'Europa altomedievale, non emerge un modello funerario pre- dominante, bensì una serie di comportamenti assai diversificati tanto dal punto di vista grafico come da quello dell'organizzazione del testo. Nuovo momento di innovazione e di elaborazione di modelli stabili è quello dell'età successiva, il pieno medioevo, dall'XI al XIII secolo. È l'età della civiltà urbana e della rinascita delle arti, è l'età dei comuni e delle università. Nel campo grafico, è il luogo di nascita e sviluppo delle scritture gotiche, connesse nelle loro grandi varietà alle nuove, numerose funzioni che sono attribuite alla scrittura in una società in tumultuoso rinnovamento. Nelle rinnovate forme della comunicazione funeraria del XIII secolo troviamo presenti significativamente, come diretta recezione dal libro manoscritto del tempo, la "nuova" maiuscola gotica, un'impaginazione del testo fitta e senza spazi vuoti, l'assenza di cornici e di decorazioni. Nuovi personaggi e nuovi ceti accedono al diritto di una morte scritta. I laici, con i mercanti in prima fila, i professori universitari, i gruppi familiari, le donne: a segnare non solo un nuovo prestigio, ma anche un allargamento dell'alfabetizzazione e una consuetudine allo scritto che si diffonde ben oltre i tradizionali gruppi intellettuali dell'alto medioevo. Nel Duecento, inoltre, compare in Italia una nuova struttura monumentale destinata a costituire il modello unificante di sepolcro per un lungo arco di secoli, fino al XVIII. È la cosiddetta tomba "a parete", caratterizzata dalla presenza del sarcofago, della immagine scolpita del defunto, in posizione dominante e in forma di ritratto, e da un corredo di elementi simbolici e di ornamentazioni, tra cui compare il testo scritto. Petrucci esplora il mutare, espressivamente significativo, del rapporto fra monumento e scrittura, nel suo spaziare dalla centralità e preminenza del testo scritto nei sepolcri di età umanistica, a collocazioni decentrate e marginalizzate, quali appaiono nei grandi apparati fune-rari dell'Europa barocca: e sempre mette in evidenza lo stretto legame di questi fenomeni con i mutamenti profondi delle varie culture. La successiva dislocazione delle sepolture, fuori delle città e delle chiese, nei cimiteri extraurbani, vere "città dei morti" ormai contrapposte a quelle dei vivi, avvenuta, come è noto, fra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, apre una nuova stagione di recupero del classicismo: le scritture funerarie tornano ad assumere la rilevanza e la centralità di quella prima e più antica codificazione. Ma, nell'espansione cimiterale, si aprono nuovi spazi per la sepoltura, anche scritta, per ceti e persone (bambini, giovinetti, donne) fin allora rimasti estranei a tale privilegio: una democratizzazione della morte scritta che segue, nel continente, un uso già invalso nel corso dei due secoli precedenti in Inghilterra e ancor più nelle colonie nordamericane. Anche nel continente europeo si diffonde ampiamente una epigrafia funebre in volgare. E a ciò corrisponde il moltiplicarsi di modelli grafici, un mescolarsi di stili e alfabeti, in cui "il vecchio ordine epigrafico è infranto": e il suggestivo riferimento proposto dall'autore è alla "e-splosione pubblicitaria, che riempiva le strade delle metropoli europee e nordamericane di manifesti in cui si mescolavano nel più grande disordine grafico i più vari stili di scrittura". I luoghi più significativi per le vicende della scrittura dei morti sono ora, fra Otto e Novecento, i cimiteri delle grandi metropoli europee, ma anche i grandi cimiteri di guerra: di quelle guerre che diedero origine ai più grandi massacri fin allora conosciuti, e che, nella volontà di riconoscere il sacrificio individuale e nell'obbligo patriottico del ricordo dei caduti, promossero una "nuova forma di memoria funeraria scritta di massa": programmata NOVITÀ' \ ore na Jacques Derrida Politiche dell'amicizia Il lavoro più recente di Derrida, dedicato a uno dei grandi temi della filosofia morale W. 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