Idei libri del mese!
GENNAIO 1995 - N. 1, PAG. 39
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meno come città di soli produttori am-
ministrativi. "Sono invece società loca-
li dove la strutturazione secondo classi
di consumo è importante, quale che sia
la base produttiva", e ciò orienta in
modo diverso che non nelle città di
produttori la cultura e l'agire politico
in ambito urbano di tali ceti.
Ricorrendo a un raggio più circo-
scritto di osservazione Negri docu-
menta invece nella seconda parte, in-
troducendo numerosi dati statistici,
come la collocazione in uno spazio de-
finito permetta di innovare, e talvolta
di ribaltare, l'analisi di fenomeni come
la povertà e la salute, la devianza e
l'anomia, i bambini in affidamento e
gli anziani a rischio. Impressionanti so-
no, riguardo ai primi due temi, i dati
attinenti alle 25 circoscrizioni più de-
private e alle 25 meno deprivate di
Londra; scorrendo le quali si può sco-
prire, ad esempio, che il tasso lordo di
mortalità per mille persone tra i 45 e i
64 anni varia dal 18,9 nel quartiere po-
vero di West Wickam North (munici-
palità di Bromley) al 4,7 del quartiere
ricco di St. Marys (municipalità di
Tower Hamlets) il che vuol dire una
probabilità di morire in quella fascia di
età superiore di quattro volte rispetto
al quartiere più benestante.
Ma l'autore mette subito in guardia
dallo stabilire una connessione diretta
tra povertà e tasso di mortalità. Quel
che i dati dicono è soltanto che dove
vive un maggior numero di poveri si
registra un maggior numero di decessi,
ma non permettono "di sostenere che
le persone più deprivate sono le stesse
che si ammalano di più". Chi lo fa cade
nella cosiddetta "fallacia ecologica": le
proprietà di un aggregato non sono di-
rettamente imputabili ai suoi singoli
componenti. Per evitarla occorre pas-
sare all'osservazione degli individui
dentro i gruppi, utilizzando le tecniche
e le cautele dell'analisi sociale localiz-
zata. Un contributo significativo all'au-
spicato reinserimento dello spazio nel
nucleo centrale della teorizzazione so-
ciologica; e anche, sebbene in modo
indiretto, alla teoria dell'attore, il cui
programma metodologico ha alla base
proprio l'invito a osservare diretta-
mente le caratteristiche degli individui,
piuttosto che desumerle da aggregati
statistici.
Lordine
del benessere
di Salvatore Inglese
Vittorio Lanternari, Medicina, ma-
gia, religione, valori, Liguori, Napoli
1994, pp. 314, Lit 35.000.
Il testo di Vittorio Lanternari, frut-
to di una ricerca pluriennale e di una
missione di vita, prende forma a parti-
re dall'identificazione di persistenti
ideologie tradizionali che costituisco-
no la matrice di specifiche prassi so-
ciali. Ogni parola del titolo evoca un
particolare paesaggio antropologico
entro cui potersi addentrare, non sen-
za una mappa di orientamento. Lan-
ternari si pone di fronte alla medicina,
descritta nelle sue molteplici varianti
teorico-empiriche, riguardandola co-
me grande e inesausta questione an-
tropologica. Su tale questione maggio-
re egli riordina un grande numero di
ricerche, realizzate da diverse genera-
zioni di studiosi, finora giacenti come
unità celibi. Lo sviluppo del volume il-
lustra le fasi e le articolazioni dei ritua-
li terapeutici delle medicine tradizio-
nali permettendo di riconoscere la lo-
ro comune logica di base. In esso si ritro-
vano due piccoli "classici" dell'investi-
gazione transculturale che fissano i
punti estremi dell'excursus intrapreso
da Lanternari. Il primo (Frighi, 1987)
descrive il caso esemplare di una sin-
drome psicopatologica da "possessio-
ne" nelle cui modalità espressive si rin-
traccia la sopravvivenza del magico ne-
gli interstizi della società italiana. Il se-
condo (Nicolas, 1970) narra un para-
digmatico culto di possessione, cultu-
ralmente sintonico e ritualmente strut-
turato, praticato in una società tradizio-
nale (il Bori degli Hausa, Niger). Am-
bedue le ricerche riconoscono la diver-
sa valenza significativa che le concezio-
ni tradizionali possiedono nei contesti
in cui sono ancora dominanti e in quel-
li in cui sono delegittimate o subalter-
ne.
Tra le agenzie terapeutiche tradizio-
nali e quelle psichiatriche intercorre
uno strenuo rapporto di forza e un de-
licato gioco di equilibrio. In assenza di
una consapevole mediazione culturale
lenza positiva ad alcuni stati di malat-
tia. In esse la malattia sarebbe l'epife-
nomeno attraverso cui si rende ricono-
scibile il rapporto tra l'uomo e ciò che
lo trascende (divinità, spiriti, geni tute-
lari). Il malato allora non è solo l'in-
quietante espressione di un'anomalia,
ma diventa l'attore di un'intermedia-
zione progressiva tra gli uomini, il
mondo naturale e quello sovrannatura-
le. In tali culture la malattia non è solo
un affare privato, o una sofferenza in-
sensata, ma un interesse collettivo e un
significato generale (morale, religioso,
sociale, culturale). La malattia resta
pur sempre espressione di un disordi-
ne che irrompe nella realtà quotidiana,
ma viene sottomessa alla sovranità del-
la legge del valore culturale. Per Lan-
cretistici, delle personalità carismati-
che. Invita a vigilare sull'inflazione di
tali fenomeni che spesso deragliano
verso destini di dolore, di colpa, di ver-
gogna o di ignominia, a causa del pro-
pagarsi di uno spirito di massa acritico
e astenico che non arretra di fronte
all'irrisolvenza o all'inefficacia di prati-
che magico-rituali decontestualizzate
dalla propria originaria matrice. La
grazia non ricevuta, il male inguaribile,
la colpa inconoscibile, la vergogna in-
confessabile non scalfiscono l'adesione
al culto o al rito. Proprio il fallimento
spesso rilancia la necessità del rito che
rafforza i legami interni alla comunità
in risposta all'invincibilità momenta-
nea del male, che rende infine indiffe-
ribile la pratica del sacrificio, sempre
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primato dell'impegno professionale degli uomini e
la divisione sessuale del lavoro domestico. Le poli-
tiche intervengono infine sul versante delle disu-
guaglianze tra le donne, oltre che tra donne e uo-
mini. Le riforme del diritto civile, con misure qua-
li l'introduzione della parità tra i sessi e la legaliz-
zazione del divorzio, hanno paradossalmente
creato un divario tra chi possiede i mezzi economi-
ci e culturali per garantirsi tali diritti e chi non li
ha. Si è così consolidata una frattura tra le poten-
zialità offerte dal diritto e la sua effettiva rispon-
denza agli interessi femminili. L'uscita dalla di-
pendenza coniugale ha significato per molte donne
l'ingresso nella povertà, piuttosto che l'emancipa-
zione. Rispetto a tali dinamiche lo Stato sociale
rappresenta una forma di compensazione politica
delle disuguaglianze create dal "suo Alter Ego, lo
Stato di diritto", il cui risvolto negativo si esprime
in quello che De Singly chiama il "matrimonio
con il Welfare" delle donne povere, e nelle nuove
forme di dipendenza che esso comporta.
In questo libro si fa riferimento principalmente
alla realtà francese, in cui risultano decisamente
più rilevanti che in Italia tanto le convivenze fuo-
ri del matrimonio, quanto le occupazioni part ri-
me e le politiche di supporto familiare; tuttavia le
riflessioni dell'autore forniscono una chiave inter-
pretativa utile anche in contesti diversi, in cui mu-
tamenti sociali di analoga rilevanza hanno inne-
scato dinamiche similari di svalutazione della don-
na. È soprattutto interessante la proposta di con-
cepire la famiglia come un'articolazione di
identità e di interessi individuali, piuttosto che,
tradizionalmente, come nucleo sociale unitario. In
generale, il quadro chiaroscurale delineato nel li-
bro documenta una parziale sconfitta delle donne,
che si può leggere trasversalmente rispetto alle tra-
sformazioni economiche, culturali e giuridiche, le
quali, secondo De Singly, hanno intaccato solo
marginalmente i meccanismi sociali di rivalutazio-
ne degli interessi familiari. L'asimmetria persiste e
non viene meno neppure quando il sistema fami-
liare si trasforma, per necessità sociali, morti, se-
parazioni forzate o rotture.
A parte alcuni dubbi sui metodi utilizzati da De
Singly per l'analisi "contabile" (il libro abbonda
di riferimenti letterari divertenti e suggestivi, ma
certo non probanti), più di un aspetto problemati-
co accompagna la riflessione dell'autore, ad esem-
pio rispetto al ruolo attribuito al diritto e alle poli-
tiche sociali. Il mutamento giuridico non risulta
sempre un fenomeno di sfondo pienamente visibi-
le. Nel caso dell'analisi del rapporto tra famiglia
matrimoniale e famiglia convivente, il discorso
prescinde ad esempio dalla constatazione del di-
verso status giuridico delle due condizioni e delle
diverse forme di regolazione che vi sono sottese.
Rimane infine controversa l'interpretazione della
discrasia tra diritto formale e diritto sostanziale,
così come la pone De Singly, nei termini della
"compensazione" operata dall'intervento del
Welfare. La riflessione su questo punto ha il meri-
to di rendere esplicito un nodo cruciale dello stu-
dio delle questioni di "genere" nei rapporti tra fa-
miglia, diritto e politiche, i quali non possono es-
sere valutati senza considerare il peso di variabili
strutturali quali la condizione socioeconomica,
l'età o la collocazione geografica. Ci si può però
chiedere se il rapporto familiare possa essere assi-
milato in modo così diretto a quello politico, tanto
da parlare metaforicamente di un "matrimonio
con il Welfare" delle donne povere, e se le conse-
guenze di legami così eterogenei siano ugualmen-
te dirompenti sull'autonomia personale.
In questo senso, il fatto che molte coppie divor-
zino "senza possedere le risorse sociali ed econo-
miche sufficienti per assumerne le conseguenze"
induce a guardare con maggiore preoccupazione
all'assenza di politiche sociali efficaci che garanti-
scano gli individui, come un dignitoso patrocinio
legale per le persone povere e una flessibile politi-
ca degli alimenti, piuttosto che a ipotetiche invo-
luzioni assistenziali. La condizione di chi è legitti-
mo titolare di prestazioni sociali può cioè essere
interpretata come il sintomo di un percorso di in-
debolimento sociale o, all'inverso, come una possi-
bilità di "abilitazione" dell'individuo in quanto
tale. Ciò che De Singly vede sostanzialmente come
un trasferimento di vincoli, può anche essere letto
in termini diversi, cioè, con un'espressione fami-
liare all'autore, come uno spostamento di capitali,
da fare fruttare, dal libretto familiare a quello per-
sonale della parte svantaggiata.
tra questi istituti operativi — spesso
ormai occupanti lo stesso spazio socia-
le — l'individuo in crisi subisce trau-
maticamente le rispettive intenzioni to-
talizzanti. Esiste infatti la questione del
modo con cui culture originate in con-
testi differenti possano costituirsi co-
me risorsa di reciproco potenziamen-
to. Oggi avanza un sommesso dibattu-
to sull'utilizzazione delle terapie tradi-
zionali (guaritori, farmacopea natura-
le, terapeutica religiosa) nelle situazio-
ni in cui la filosofia applicativa della
medicina scientifica si proietta nelle
aree non-occidentali (Piero Coppo
rappresenta forse il più autorevole
propugnatore italiano di tale esigenza).
Lanternari fornisce ulteriori motivi a
questo approccio quando istruisce sul
fatto che al centro di ogni cultura è
sempre collocata una specifica nosolo-
gia, una nosografia e una terapeutica.
Egli inoltre ricorda che le culture
tradizionali assegnano spesso una va-
ternari questo valore corrisponde a
quel "nucleo di idee-forza che funge...
da guida ai comportamenti di una co-
munità e da cui acquisti senso il vivere
insieme". Ripristinare perciò una con-
dizione di benessere significa ricosti-
tuire l'ordine naturale delle cose —
nell'ambito delle gerarchie sociali, del-
le relazioni affettive, dei rapporti con
la natura e con il divino — momenta-
neamente sovvertito dalla trasgressio-
ne delle regole sociali che l'individuo
consuma lungo l'arco delle generazio-
ni.
L'eziologia tradizionale non si esau-
risce nella sola materialità del naturale,
ma rinvia a una visione cosmologica in
grado di distinguere le forme del so-
vrannaturale. Lanternari riconosce che
in Occidente è in atto un diffuso e reat-
tivo rifiuto della medicina "tecnocrati-
ca", dimostrato dalla moltiplicazione
delle medicine alternative, dei movi-
menti settari integralisti, dei culti sin-
più oneroso e sempre meno simbolico.
La selezione culturale dei riti terapeu-
tici cancella dal proprio orizzonte l'in-
sorgenza del nuovo ricacciandolo nel
serbatoio inesauribile del già noto, del
già avvenuto, nell'universo ricorsivo
della tradizione. In questo rapporto
con il nuovo le terapie tradizionali si
differenziano dalla medicina scientifi-
ca che sul disvelamento di anomalie
precedentemente inspiegabili fonda la
propria autorità. Ciò non toglie che la
stftse medicina occidentale sia infiltra-
ta da pregiudizi e superstizioni, ceda al
fascino delle ipotesi aleatorie e all'az-
zardo delle ordalie. I suoi stessi fattori
terapeutici sono spesso imponderabili
e incomprensibili, i suoi effetti di per-
turbazione talvolta predominano su
quelli di riequilibrio o di riparazione,
fino a diventare causa essi stessi di
nuova patologia. Con le sue arditezze
questa medicina lascia materializzare il
proprio sentimento di onnipotenza,
sovverte e minaccia valori fondamenta-
li e ordinatori. Contro di essa si mobi-
litano coscienze, non sempre traspa-
renti, che promuovono campagne sem-
pre più pressanti di controllo etico sul
suo operato.
Il secondo volume di questa ricerca
di Lanternari, peraltro già annunciato,
dovrebbe avvicinarsi di più alla base
antropologica sulla quale riposa la me-
dicina scientifica. Questa non è un si-
stema ideologico autonomo e fisso, ma
una prassi interdipendente dai sistemi
di valore e di sapere che concorrono
alla formazione e al funzionamento
dell'intelletto generale reggente la
struttura di una specifica costellazione
socio-culturale. Il ventaglio delle prati-
che e delle discipline mediche non è
forse completamente riconducibile a
un solo tipo di funzionamento o a una
sola logica. Altrimenti sfuggirebbe l'ar-
ticolazione interna della sua comples-
sità e resterebbero incomprensibili le
infinite contraddizioni che continuano
a emergere dalla sua prassi sociale (Ja-
spers). Per soddisfare una tale esigenza
teorica sarebbe necessario procedere
in direzione di studi microfisici e locali
(ad esempio, nel campo della medicina
di base, della pediatria, delle psicotera-
pie, dell'ingegneria genetica, dell'im-
munologia, delle chirurgie virtuali,
ecc.) in grado di catturare la sua inti-
ma, complessa e controversa natura.
H giaguaro
bianco
di Flavia G. Cuturi
CARLO Severi, La memoria rituale.
Follia e immagine del Bianco in una
tradizione sciamanica amerindiana, La
Nuova Italia, Firenze 1993, pp. 273,
Lit 33.000.
E noto come il processo di conqui-
sta del continente americano, ancora
oggi in atto, abbia suscitato le rappre-
sentazioni che i Bianchi (missionari,
uomini d'armi e d'affari, viaggiatori,
avventurieri) sono andati costruendo
dei nativi: animali selvaggi, feroci can-
nibali, spiriti degenerati, bambini se-
dotti dal diavolo. L'uso politico di tali
immagini ha giustificato eccidi, tortu-
re, schiavitù, riduzione dallo stato no-
made a quello sedentario, opere di
conversione alla fede cattolica o prote-
stante. Non è altrettanto noto, invece,
quali immagini del Bianco le società
amerindiane abbiano elaborato, e co-
me i modi locali di percezione del
mondo abbiano conglobato la dirom-
pente presenza dei Bianchi. Un sinto-
mo di trascuratezza nella ricerca an-
tropologica, che Severi, prendendo le
distanze da Lévi-Strauss, riconduce al
vecchio pregiudizio secondo cui le so-
cietà "senza scrittura" sono prive di
coscienza storica e di memoria, arroc-
cate nella staticità della logica classifi-
catoria dei miti. È lecito pensare che
cinque secoli di drammatici contatti
siano scivolati senza lasciare alcun se-
gno nella memoria degli amerindiani?
La complessa risposta a questo quesi-
to costituisce uno degli assi tematici
attorno al quale Severi sviluppa il suo
studio, iniziato quindici anni fa a par-
tire dalla tradizione sciamanica.
Le importanti riflessioni a cui giun-
ge Severi, studiando la tradizione ora-
le dei Cuna dell'arcipelago di San Blas
(Panama), si inseriscono nell'intreccio
tra i diversi ordini della ricerca e i suoi
presupposti teorici. I primi sono lega-
ti sia all'"unicità" della storia dei Cu-
na, sia alle tradizioni di studi su di es-
si. I presupposti si situano, nell'ambi-
to degli studi sulla tradizione e tra-
smissione della conoscenza, al di là
della contrapposizione tra una pro-
spettiva "macroscopica", che conce-
pisce erroneamente "ciò che una so-
I>