Idei libri del mese aprile 1998 Caro Antonio ti scrivo Otto amici, Tabucchi e un canapè ALESSANDRO FO Claudio Di Scalzo Vecchiano, un paese. Lettere a Antonio Tabucchi prefaz. di Antonio Tabucchi pp. 94, Lit 24.000 Feltrinelli, Milano 1997 neanche il titolo - Vecchiano, un paese-, referenziale sì, ma non certo fatto per richiamare le folle di cu- riosi - va a installarsi nella memo- ria con tanta naturalezza ed effica- cia che se ne diventa sull'istante cittajM^anzi patrioti. Molti gli episg^sSpbriti, le invenzioni di vi- ta - pffiia che letterarie - che In un giorno di mezzo Novecen- to, in un piccolo paese del pisano, Lalo il camionista - che in realtà si chiamava Libertario, nome però inagibile sotto il fascismo - si spo- sò con Nada, la sarta. E fu così che di lì a non molto Vecchiano diven- ne 0 teatro in cui il loro figlioletto Claudio conobbe fantasie infantili e poi mille avventure dell'adole- scenza, lungo la quale, ammantato di "avvenenza comunista", diven- ne un giovane militante di Lotta Continua e adepto delle avanguar- die artistiche (rivissute in un per- sonale "surrealismo domestico"). In quel minuscolo paese della pro- vincia pisana fioriva la poco nota combriccola Otto Club, detta così dal numero dei suoi fondatori e componenti. Era ospitata nella ca- sa, ancora inabitata, del maestro elementare; e così Claudio, mari- nando al piano di sopra le ripeti- zioni di francese, perlustrava il sot- tostante cenacolo di ventenni let- tori di libri del Mulino, appassio- nati di jazz e inclini a organizzare anche qualche festa attorno a un chiassoso canapè. Fra gli Otto c'era Antonio Ta- bucchi, che di quella precedente generazione figura nel De viris il- lustribus di laggiù come capofila. Proprio a Tabucchi la generazio- ne nuova, rappresentata ora da Claudio Di Scalzo, invia con que- sto libro nato nell'amicizia una miniserie di immagini d'epoca congiunte a foto di stati interiori e ricordi, che prendono la forma di un romanzo atonale e quasi steso per passatempo, come con noncu- ranza. Un disincanto che però la- scia trapelare il profondo affetto, la delicatezza di una nostalgia mi- surata, polarizzata sulle cose buf- fe, le ingenuità, le venature mini- me di un ambiente che a priori non può stagliarsi a dimensione di epos - e Di Scalzo ben lo sa - se non per l'autore e per pochi altri suoi cari. Ma il segreto del libro è proprio qui. Tutte le scelte vanno verso il privato: la navigazione at- torno a istantanee (cui questa re- censione è lieta di offrirsi a corni- ce), comprese quelle "che non esi- stono ma che hanno impressiona- to - e per sempre - la mia mente"; la forma confidenziale di un epi- stolario, per di più dimezzato (mancano infatti, eccettuata la prefazione, le lettere di Tabuc- chi) . In ciò Di Scalzo depone pre- liminarmente le armi, rinuncia a ogni pretesa, per attestarsi sulla melodia da camera, intonata come su una chitarra di quelle antiche sezioni, strumento povero, e alter- nativo - e anche intimo. Quanto ne risulta corre così dritto nel centro di quella che Saba avrebbe forse potuto etichettare come "narrativa onesta". E pertan- to quel microcosmo che, di suo, non ha quasi la forza di sostenere ognuno di noi, artista sconosciuto o affermato, è sempre espressione di una piccola località rispetto al tutto, un pianetino destinato, pri- ma o poi, a perdersi nel silenzio". Vecchiano allora, in quanto an- ch'essa "piccola località" può as- surgere a simbolo. Frattanto, come un tessuto che in quasi cinquan- t'anni di militanza si sia ritirato, anche l'autore si è sottratto ai mira- bilia locali e riscrive il suo paese da lontano, forse aspirando a un me- ritato posto, come è avvenuto al suo corrispor^ente, in un De viris illustribus mejjo angusto. Claudio, figlio di Lalo, non abita più qui. Afriche LIDIA DE FEDERICIS da che tutti hanno finito per scri- vere "una sorta di diario". Niente di strano, quindi, nella scelta dell'ottavo: Barbaro ha inco- minciato nel '66 la sua carriera di scrittore con un diario (il diario buttato giù quasi per caso da un tecnico isolato in un cantiere lon- tano, tra le sue macchine e la natu- ra grande tutta intorno) e ha co- struito negli anni uno stile legato proprio alla scrittura diaristica, una scrittura diaristica - però - che non può mai prescindere da un interlocutore, da un altro che ascolta o ascolterà il suo racconto. Barbaro, dunque, "esperto di A metà secolo Claude Lévi-Strauss annunciò la "fine dei viaggi" (in apertura di Tristi tropi- ci, 1955): fine dell'avventura eurocentrica e del viaggio gnoseologico, non essendoci un al- trove da conoscere nel mondo civilizzato. Intanto però Pasolini riprendeva lo schema ottocentesco dell'artista in fuga e invocava l'Africa: "Africa! Unica / mia alternativa..." (in conclusione del Frammento alla morte, 1960). E incominciavano allora a muoversi davvero gli scrittori italiani, in molti e spesso proponendosi ai giornali come corrisponden- ti e reporter d'eccezione. Ha la fisionomia del grande viaggiatore Alberto Arbasino; un cul- to globe trotter, dicono di lui. Viaggiatore esotico è stato Tabucchi, partito dalla natia Pisa per trasformarsi in portoghese o in in- diano. Lungo il Niger viaggia Gianni Celati, che noi, vecchi lettori, siamo abituati a figu- rarci in viaggio si, ma verso la foce del Po, fra le voci e le apparenze della nostrana pianura. L'Africa era rimasta di Moravia, che l'at- traversò quasi ogni anno dopo la prima sco- perta del 1963 (assieme a Dacia Maraini e con l'accompagnamento di Pasolini) e ne trasse tre libri. Il principale è Lettere dal Sahara, raccolta dei reportage scritti per il "Corriere della Sera" dal 1975 al 1981. È un bel libro: per consenso unanime, più caloroso in quanti non amano il Moravia romanziere. E un libro classico, perché appartiene a un al- tro tempo, a un Novecento già datato. Qui possiamo rileggere Moravia già da posteri (come bisognerebbe sempre, per leggerlo con serenità, secondo la Maraini). Racconta il suo amico, Enzo Siciliano, che Moravia "ripeteva spesso: Stendhal viaggiava in Italia come noi possiamo viaggiare in Afri- ca". E Moravia viaggiava forse come Stendhal, attratto da un umano diverso e precivile, e un po' come Lévi-Strauss. Era il tipo europeo, l'in- tellettuale che segue un filo di utopia portando con sé l'illusione antropologica del ritorno a un punto d'inizio, a un paese innocente, di natu- rale e incontaminata innocenza. Diceva, nella Vita registrata da Alain Elkann, che "l'Africa è la cosa più bella che esista al mondo". Perché è "un continente preistorico"; perché il rapporto fra uomo e natura "non è mediato dalla storia". In tale dicotomia fra natura e storia incanalava la disperazione del viaggiatore da vecchio, de- luso dalle due forme (storiche) sia del decrepito Occidente sia di un modo primitivo recitato a uso dei turisti. Nella sua lingua dimostrativa, e con sintassi ordinata, descriveva, per i lettori del "Corriere", lo spazio naturale, aggiungen- dovi didatticamente il commento. Sempre esatto, e consapevole, nel distinguere le cose vi- ste dalle emozioni che esse suscitano quando lo spazio naturale diventa simbolico e metafisico: a causa, spiega, della solita inclinazione "ad at- tribuire un significato a tutto ciò che non ne ha". Il viaggiatore moraviano getta sugli altri, da buon razionalista, uno sguardo esterno. Esterno e giudicante fra due opposte alterità: la deserta natura e i circuiti commerciali dell'in- dustria turistica. Senza mediazioni, appunto. Senza lo spazio sociale, nel quale invece - tutt'una mescolanza e un meticciato - viaggia oggi, continua a viaggiare, Celati. Lettere dal Sahara è uscito da Bompiani nel 1981 e non ha altre edizioni. Per farsene un'idea, può servire Una tribù consumata dai turisti, articolo scartato e ora compreso nel volume postumo dei Viaggi (1994), testi a cura di Siciliano e Tonino Tornitore. l'estroso autore genialoide ha rac- colto nell'album: splendide quelle dei due opposti occhi (a nord e a sud), anzi tre (col soffitto), della sua casa, o la "sparata epistolare" del piccolo pistolero nell'asilo del- le suore. Altrove, un paio di spic- chi monografici dedicati a Lalo e Nada - nella cui cucina, ai tempi del Riflusso, preparando il ragù "incarnavo una specie di crepu- scolarismo rosso". E "scrivere, sal- vare dall'oblio parti della vita dei miei genitori, piccole parti, è un po' come viverle, di nuovo, al loro posto; ma quanta vita degli altri, foss'anche quella di una madre o di un padre si può vivere con la let- teratura?". Non c'è risposta, e il sorrisino sprezzante che Claudio si autosorprende in una foto fra altri pittori locali (ma gli è rimasto in fronte un moscone) vale solo ad ammonirlo che "l'arte è esplosa, è diventato un universo in continua espansione e moltiplicazione e Diario veneziano SARA MARCONI Paolo Barbaro La città ritrovata. Quaderni veneziani pp. 206, fuori commercio Consorzio Venezia Nuova, Venezia 1997 Il Consorzio Venezia Nuova è alla sua ottava strenna natalizia. Prima che ne venisse affidata una a Barbaro ne avevano scritte Brod- skij, Chastel, Sinopoli, Brodkey, Acheng, Riotta e Matvejevic: uni- co comun denominatore il tema, Venezia. Ma tant'è, la brevissima presentazione dell'iniziativa ricor- n. 4, pag. 7 sempre più ricchi e sempre più soli dopo l'esodo della maggior parte delle attività artigianali-industriali da Venezia. Barbaro scopre di do- ver ricominciare a camminare, abi- tudine persa nelle grandi città da cui proviene, e - soprattutto - a guardare: "niente di più bello, e di più faticoso" di Venezia, niente di meno catturabile, imprigionabile in formule precise e funzionali. Venezia è il luogo altro per eccel- lenza, la città-non-città, nuova e vecchia insieme, indefinita nel suo miscuglio sempre divet^Èyì. acque e di pietre, labirinto càStJpscopi- co e "luogo infinito". E ÌBàrbaro - pur sapendo che basta "un mini- mo spostamento di chi guarda" per cambiarla - la rincorre nel suo tentativo senza speranza di "dirla tutta", con la sua prosa cadenzata, scandita da ritmi ternari e binari e da ritorni e richiami, con una lin- gua chiara e semplice ma attentis- sima e precisa, con qualche accen- to veneziano subito giustificato, con calma e passione. Ritornano nomi, personaggi, squarci, addirittura episodi di altri suoi libri; soprattutto ritorna l'at- mosfera che dà a cortili calli slarghi ponti botteghe muri finestre pan- chine odori e colori un aspetto nuovo, molto al di là della cartoli- na cui spesso siamo abituati. Quel- lo di Barbaro è anche un monito: attenzione, Venezia sta male, biso- gna aiutarla a sopravvivere a se stessa e alle nostre iniziative spesso distruttive; Venezia è ancora tutta da scoprire e il rischio è quello di non fare in tempo. diari"; ma anche Barbaro "esperto di Venezia", avendole dedicato tre dei suoi libri di racconti e la mag- gior parte dei suoi articoli, e aven- do deciso una decina di anni fa - dopo aver viaggiato a lungo dietro al suo lavoro di ingegnere civile - di ritornare alla città lagunare che l'aveva adottato bambino. Questo libro - che verrà presto ripubblicato da Marsilio - raccon- ta proprio il ritorno, lo spaesamen- to davanti ai cambiamenti, la me- raviglia per l'unicità della città, le difficoltà e i ritmi diversi da reim- parare. Fin dalle prime pagine emerge la Venezia di Barbaro, fatta di co- lori ("verdelaguna tra spume bian- che, verde-blu-giallo, verde-rosa. Rinforza il tramonto, tutto a stri- sce; arancione, viola") e di contra- sti, sospesa tra muri antichi caden- ti e intrisi d'acqua e nuovi telefoni- ni onnipresenti, tra turisti "Furie di ogni paese" e commercianti NOVITÀ pelagos n. 4 RIVISTA DI LETTERATURA CONTEMPORANEA E CREATIVITÀ diretta da UMBERTO PIERSANTI pp. 174. L 20.000 Umberto Pieraanti La forza della dispersione Fabio Doplicher Muraglie verso Piazza Nazano Sauro Guido (ani - Poesie AchiBe Sctrao - Poesie Fdiciano Pad! - Poesie Bianca Garavefli Il culto di lei Bianca Garavefli Metauro 1995: Un premio per quattro poeti e alcuni inediti Fabio Pusterla - Poesie Arnaldo Edcrle - Poesie Fabrizio Marcucci Pinoli Invito a nozze Manuel Cohen Gianni D'Elia: l'eredità degli anni giovani Sabrina Berti Ode all'amicizia Maria Lenti Sibille spiritate e mute Giovanna De Angelia L'eterno ritorno Luce d'Eremo Riflessione su una lettera mai spedita Plinio Penili lo 'cosmico' e poesia ancestrale Poeti tedeschi d'oggi Un francese a cui dobbiamo molto: Jean-Charles Vegliarne (a cura di Silvia Calizia) Intervista ad Angelo Starnazza Marcello Fedoni La stagioni dell'anima