APRILE 1998 Fedeli al canone con le dovute eccezioni VITTORIO COLETTI Antologia della poesia italiana voi. I: Duecento-Trecento diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola pp. LXXI-1062, Lit 120.000 Einaudi-Gallimard, Torino 1997 Attesa da tempo e da molti, esce finalmente (col primo volume dedi- cato al Due-Trecento) l'antologia della poesia italiana diretta da Cesa- re Segre e Carlo Ossola per Einaudi- Gallimard. Con direttori così auto- revoli (che si sono a loro volta avvalsi dei migliori specialisti dei diversi au- tori antologizzati) e una collana (la "Plèiade") tanto prestigiosa, nes- suno si sarebbe sorpreso né scan- dalizzato di una presa di posizione radicale che selezionasse fortemen- te, tra i testi oggetto d'antologia, quelli davvero canonici o addirittura proponesse un nuovo canone. Diciamolo pure: glielo avremmo consentito. Nel momento in cui una semplificazione (e cioè un'in- terpretazione più restrittiva) del canone scolastico sembra immi- nente, non foss'altro per far posto a nuovi e più recenti componimenti e autori (il famoso problema del Novecento...), chi meglio, per re- stare a questo volume, di Cesare Segre, il maggior conoscitore della nostra letteratura medievale, avrebbe potuto avventurarsi in un'opera di disboscamento e ma- gari di apertura di nuovi sentieri? Da chi avremmo accettato con più riverenza e fiducia una scelta tra i poeti del Due-Trecento che, ponia- mo, avesse dato a Cino da Pistoia, gran mediatore tra lo stilnovo e Pe- trarca e quindi precoce maestro della lingua poetica poi dominante, anche lo spazio che altre ragioni hanno voluto, che so, per Girardo Patecchio o per Bondie Dietaiuti? Invece hanno prevalso, appunto, altre ragioni; e, come si vedrà, non c'è motivo di dolersene troppo, an- che se queste sono meno innovati- ve di quanto a simili maestri avrem- mo volentieri concesso. I curatori hanno infatti deciso di ammettere testi non solo quando importanti per il loro valore intrinseco o per il loro ruolo nel canone della nostra letteratura, ma anche quando esau- riscono (o quasi) il loro significato (odierno) nella testimonianza di un momento, di un movimento, di una forma della poesia. Se posso bisticciare un po' con le parole: hanno scelto ciò che ancora (sempre) conta (ad esempio, in que- sto volume: Petrarca); ciò che conta perché ha contato (mettiamo: i sici- liani) e ciò che non conta ma serve a completare il quadro di un'epoca (diciamo la poesia allegorico-didat- tica del Trecento) o a capire ciò che poi ha contato (qui potrebbe essere il caso della poesia didattica del Duecento). Insomma, i responsabili dell'impresa hanno adottato un punto di vista sostanzialmente "isti- tuzionale", nel senso, per altro, più positivo e pieno di questa parola. Il primo volume offre infatti un panorama della poesia italiana dei due secoli iniziali di eccezionale ampiezza e completezza, senza tra- lasciare qualche novità, come quel- la del "minore" Ser Giacomo da Lèona, neoassunto nel repertorio della lirica medievale, o la grande ospitalità data alla poesia trecente- sca, oltre Petrarca; in particolare, il Boccaccio lirico, i testi della "poe- sia per musica", poeti come Nic- colò de' Rossi o Antonio da Ferra- ra o Cino Rinuccini, raggruppati in una vasta sezione. Ma i vantaggi di una ricognizione completa, spinta quindi persino in territori di per sé non strettamente canonici, già si intravedono anche per i volumi in preparazione grazie a quello che lascia intendere Carlo Ossola, per- correndo nella sua suggestiva in- troduzione itinerari extrapetrar- cheschi e annunciando testi e linee di poesia scientifica, politica, reli- giosa, filosofica, ecc. Ossola si spinge, con la sua pre- fazione, fino al terreno minato del Novecento, in cui pare di capire che l'antologia riproporrà la pro- pria vocazione istituzionale esclu- dendo i poeti nati dopo il 1930. Ma la lettura che Ossola propone del Novecento poetico dimostra fin da ora che i rischi di questo limite cro- nologico saranno molto ridotti, perché la grande svolta verso una "terza tradizione" novecentesca vi sarà, si intuisce, ampiamente (e ba- stantemente) documentata dal Lu- zi degli anni ottanta-novanta, dal grandissimo Caproni dei "libretti" o dall'ultimo, eccezionale Giudici; pazienza, dunque, se non ci saran- no autori come Cesare Viviani o Eugenio De Signoribus. Ma, sul Novecento, ci dovremo tornare alla pubblicazione del volu- me ad esso dedicato. Qui invece re- sta da dire qualcosa sui commenti ai testi. Preceduti da precise note in- troduttive e corredati da schede metriche e storiche, i componimen- ti antologizzati sono sottoposti a un fittissimo commento che dà ampio rilievo, tra l'altro, all'inter- e all'in- tratestualità, cioè ai rapporti del te- sto esaminato con quelli di altri au- tori o con altri dell'autore stesso. Sarebbe interessante domandarci quanto questa prospettiva sia tribu- taria di una tradizione critica nove- centesca (semiologica più che al- tro), che tende a esaltare l'autorefe- renzialità della letteratura, la circo- larità dell'universo poetico, in cui il recupero e il riuso di forme e motivi già sperimentati contano non meno dell'originalità dei singoli autori. Personalmente, ho qualche riserva sull'applicazione troppo meccanica di questa chiave a testi contempora- nei, in cui la continuità si manifesta a livelli spesso esclusivamente lin- guistici (in questo senso Mengaldo ha usato il termine "tradizione" per il nostro secolo). Ma è certo che questa angolatura esegetica è la mi- gliore per testi di un'epoca come il medioevo, in cui l'individualità dell'autore era un tratto assai meno rilevante della sua adesione ad au- torità antiche o coeve, in cui i poeti corrispondevano in versi e per le ri- me (opportunamente la scuola sici- liana e lo stilnovo sono rappresenta- ti nell'antologia di Segre e Ossola anche dalle "tenzoni", dai sonetti di corrispondenza, segno di una circo- lazione della poesia e di un riciclag- gio dei suoi temi e dei suoi materiali oggi impensabile). Nella sua prefazione, poi, Ossola ha provveduto a mostrare come questa tendenza a tornare sui suoi prodotti, a citarsi e riutilizzare schede e schegge, suggestioni e in- tuizioni di predecessori e contem- poranei resti a lungo, e in qualche modo fino al Novecento, una carat- teristica della poesia, arte nutrita di altra arte come nessun'altra. Del resto, su questa inclinazione, per così dire innata, della poesia alla tradizione, va a innestarsi la parti- colare fisionomia della vicenda lin- guistica e letteraria italiana, distesa su tempi lunghi e scandita da visto- se costanti, per cui la ricerca delle "fonti" di un testo, dei ritorni, dei riflessi di altri testi in esso è un'op- zione critica di fatto obbligata. Ut^C'ìsO-C-C N. 4, PAG. 11 Scrittura e preghiera EDOARDO ESPOSITO Mario Luzi La porta del cielo. Conversazioni sul cristianesimo a cura di Stefano Verdino pp. 168, Lit 30.000 Piemme, Casale Monf.to (Al) 1997 Ciò che mi appare più intenso e autentico del cristianesimo di Ma- rio Luzi, così come ce lo trasmetto- no queste pagine di riflessione, e che mi sembra importante mettere anzitutto in luce, è la "naturalità" di un'esperienza; che è, certo, espe- rienza di fede e scelta "ideologica" di campo, ma che nasce e si sostan- zia nella quotidianità del vissuto e dei rapporti umani, e che prima e al di là di ogni razionale convinzione e del dogma pone il problema dell'amore: "Il cristianesimo è stato prima di tutto un'ammirazione e una imitazione di mia madre. Io so- no entrato per quella porta, che era una porta naturale, ma anche già se- lettiva"; selettiva perché ella non era "una attivista della fede, ma ave- va un senso pieno della carità, che entrava nella sua prassi cristiana in modi continui quanto discreti". E l'amore, la carità, si fanno cardine, pietra angolare di tutto l'edificio. Per Luzi, che il diavolo e l'inferno esistano o che in senso letterale deb- ba essere intesa la resurrezione dei corpi non sembra avere importanza determinante, né come decisiva si pone per lui la questione del pecca- to originale. E gli autori prediletti sono Agostino e Pascal e Mauriac, "nella linea dell'agostinianesimo francese, abbastanza contrapposto al cattolicesimo italiano, che, esclu- so il Manzoni, è più pasquale, meno problematico e meno interiore". Ne deriva l'immagine di un interrogarsi non appagato di soluzioni ormai de- finite, ma che trova la propria defi- nizione giorno per giorno appunto nella pratica della carità, nella con- divisione del dolore, nella convin- zione di un divino che parla "dalle cose più inaspettate e tra parentesi". Che tutto ciò ben si concili con una prassi poetica che si è fatta, so- prattutto col tempo, di partecipe e solidale attenzione alla vita di spe- ranza e di sofferenza dell'uomo, e volta anch'essa a cogliere "dalle co- se più inaspettate" la vibrazione ri- velatrice della loro e della nostra anima, si può giustamente dire. Ma importante è anche notare come questa riflessione si collochi in alcu- ni momenti accanto alla poesia di Luzi come suo vero e proprio com- mento, e aiuti a meglio intenderne passi e intenzioni; del resto, dice Luzi, "poesia e preghiera sono for- me parallele", ricerca prima del sen- so vero della parola, e poi invoca- zione "quando la parola non serve più e occorre un linguaggio altro". Stefano Verdino ha curato queste pagine stimolando e provocando l'autore, suggerendo nessi e glos- sando il discorso con una presenza qua e là eccessiva, ma intelligente; e ha aggiunto tre recenti scritti di Lu- zi (su Giobbe, sul Vangelo, su San Paolo) che utilmente completano questo ritratto interiore. Il CD ROM dell'Indice si aggiorna e vi dà appuntamento al prossimo Gennaio 1999 v P La nuova edizione (versione per Windows) conterrà tutte le recensioni, le schede, gli interventi pubblicati sull'Indice dal primo numero dell'ottobre 1984 al dicembre 1998