Idei libri del mese E APRILE 1998 - c^jih'tsCr ct&L n. 4, pag. 18 Una straniata adolescenza spagnola Selleno recupera un romanzo del '59 di una scrittrice straordinaria VITTORIA MARTINETTO Ana Maria Matute Prima memoria ed. orig. 1959 trad. dallo spagnolo di Maria Nicola pp. 165, Lit 25.000 Sellerio, Palermo 1997 tordicenne Maria, della perdita dell'innocenza infantile e della transizione all'età adulta vissuta come un'irreversibile iniziazione al male. Orfana di madre e abbando- nata dal padre esiliatosi per ragioni politiche, la protagonista rimane sotto la tutela della nonna esigente e dispotica ed è costretta a compie- stribuzione degli spazi: in alto sor- ge la casa di dona Pràxedes, la nonna, onniveggente - scruta l'iso- la con un binocolo da teatro - e on- nipotente come un Caudillo. Sotto questa si estende il pendio abitato dagli uomini-sudditi, da lei con- trollati come marionette, disturba- to dall'unica "macchia" di un ap- coazione a ripetere per cui anche diventare donna - ne è esempio la languida e inetta zia Emilia, madre di Borja - significa la necessaria ac- cettazione di una vita di sottomis- sione alla quale la nonna Pràxedes vorrebbe educarla. Un'immanca- bile vena di pessimismo permea la voce narrante nel ricordare come 1a letteratura spagnola è fra quelle di cui, in Italia, si pub- blicano recenti autori di grido - penso ad esempio all'inte- resse per Manuel Vàzquez Mon- talbàn - e rimangono negletti alcu- ni classici contemporanei di grande importanza. È il caso di Ana Maria Matute, autrice di una trentina di opere narrative, di cui la casa editri- ce Sellerio ha saggiamente avviato il recupero, iniziando con uno dei ro- manzi più belli: Prima memoria, uscito in Spagna nel 1959 e già una volta in Italia nel 1972 presso la ca- sa editrice Sei (un'altra opera della Matute pubblicata in Italia risale al 1961, Pesta al Nordovest, pubblica- to da Einaudi). Ana Maria Matute (nata nel 1926) appartiene a quella genera- zione di scrittori - fra cui Juan Goytisolo, Luis Martin Santos e Rafael Sànchez Ferlosio, anch'essi quasi sconosciuti in Italia - che si manifesta dagli anni cinquanta in poi, una volta cessato l'isolamento imposto dalla guerra civile e dalla seconda guerra mondiale. Si tratta di narratori che hanno vissuto gli anni della loro infanzia e adole- scenza in pieno conflitto o durante l'atroce dopoguerra. In modo spesso traslato, a causa della cen- sura franchista, questi autori, seb- bene molto diversi fra loro, hanno rappresentato tale vissuto e messo in discussione i valori instaurati dal nuovo assetto politico del pae- se. Quanto ad Ana Maria Matute, il tema della guerra civile compare in quasi tutte le sue opere, sebbene trasfigurato allegoricamente o co- me telone di fondo delle vicende narrate. E così, a parte il caso di un testo del '55 - En està tierra - mal- trattato a tal punto dalla censura che l'autrice preferì ritirarlo, il lu- stro dato al paese dalla sua produ- zione letteraria le ha permesso di continuare a lavorare indisturbata durante tutto il regime. Fin dai precoci inizi Ana Maria Matute ha goduto di enorme successo rice- vendo tutti i più prestigiosi premi letterari di Spagna, la massima onorificenza costituita dall'ingres- so alla Real Academia Espanda, nonché tre candidature al premio Nobel. Curiosamente, proprio a partire dalla metà degli anni set- tanta - momento della fine del franchismo -, la scrittrice sembra entrare in un periodo di afasia, che è durato vent'anni fino alla clamo- rosa uscita, l'anno scorso, di un lungo romanzo storico dal titolo Olvidado rey Gudù. Oltre alla guerra, ma con la guerra variamente intrecciato, un tema costante della narrativa di Ana Maria Matute è quello dell'in- fanzia come paradiso perduto. Pri- ma memoria è infatti la storia, nar- rata in prima persona dalla quat- Succulenti aforismi Héctor Abad Faciolince, Trattato di culi- naria per donne tristi, Sellerio, Palermo 1997, ed. orig. 1996, trad. dallo spagnolo di Eleonora Mogavero, pp. 154, Lit 15.000. Un titolo accattivante caratterizza questo arguto breviario rivolto esplicitamente a de- stinatari di sesso femminile, ma che potreb- be suggerire interessanti spunti di riflessio- ne anche a un pubblico maschile. Del resto è uomo l'autore, un giovane scrittore co- lombiano di buone speranze, con un roman- zo e un libro di racconti al suo attivo, non ancora pubblicati in Italia. Questo tratta- tello utilizza il veicolo della ricetta (qualcu- na anche succulenta e realizzabile) come metafora dal sapore antico per disquisire in modo disinvolto e giocoso di piccoli e gran- di assilli della sfera emotiva quotidiana ed esistenziale, come pare d'uso nel mondo narrativo ispanico da qualche anno a questa parte, se si pensa alla Esquivel, a Mon- talbàn e, recentissimamente, alla Allende (vedi pagina a fianco). Così come un ricettario contiene istruzio- ni per piatti dolci e salati, minestre e pasta- sciutte, carni e pesci, salse, sughi e bevande, anche qui, in ordine volutamente caotico, si alternano riflessioni, consigli, suggerimen- ti e consolazioni per un campionario piutto- sto variegato di eventi e di situazioni tra i quali ci si può muovere spilluzzicando: in- vecchiamento, nervosismo, insonnia, vedo- vanza, verginità, nubilato, seduzione, tra- dimento, godimento, gravidanza, maschi- lismo, mestruazioni, solo per citarne una manciata... Héctor Abad, in tono divertito e poetico, viene incontro alle sue lettrici con la benevo- lenza rara, e perciò consolatoria, di uomo emancipato e solidale con l'universo degli af- fanni femminili, cui una famiglia di sole don- ne - "Alle mie cinque sorelle, anzi, alle mie sei madri", recita la dedica - deve averlo abituato. Il Trattato di culinaria per donne tristi è formalmente strutturato sul modello della raccolta di massime, ma fluidificate e svi- luppate in riflessioni (il che teoricamente invalida la classica "economia metrica del pensiero" che disciplina lo schema della massima secondo quanto segnalato da Bar- thes), anche se è quasi sempre possibile ri- durre ogni paragrafo alla sua ossatura afori- stica. E se alcune sentenze possono a prima vista apparire scontate, alla fine di ogni "ri- cetta" si trova sempre qualche ingrediente desueto o stuzzicante a stravolgerne com- pletamente il sapore, o anche solo a lasciarci un retrogusto impensato. Come dire, un co- fanetto pieno di sorprese, di minime verità o curiosità da centellinare. Un sapiente di- vertissement. Un libro da regalare all'ami- ca. O all'amico. (V.M.) fC re l'apprendistato alla vita in soli- tudine. Di temperamento sensibile e sognatore, Mafia deve celare la sua tenerezza e il bisogno di affetto e protezione dietro la maschera dell'autosufficienza per sfuggire allo sguardo e al disprezzo del cu- gino Borja, essere arrogante e ma- levolo, e tuttavia suo inseparabile compagno di giochi. La vicenda è ambientata in un'isola, probabil- mente Maiorca, durante la guerra, dove dei combattimenti giunge soltanto un'eco, quasi onirica, at- traverso i giornali, ma in qualche modo, come un campione sotto vetro, vi si riproduce la stessa op- posizione di forze nelle bande ne- miche di ragazzini e comunque, simbolicamente, nella topografia piramidale che evoca quella di un regime totalitario. Come aveva sottolineato Cesare Acutis nell'introduzione all'edizio- ne del '72, è impossibile non legge- re una valenza allegorica nella di- pezzamento di terreno che non le appartiene. Qui si trova la casa de- gli emarginati dell'isola: José Ta- ronjì, Malene e il loro figlio Ma- nuel, che hanno fama di "rossi" e la cui ribellione passiva verrà stroncata alla fine del romanzo. Jo- sé Taronjf assassinato, la moglie ra- pata dalle donne del villaggio e Manuel accusato ingiustamente di furto - per un inganno tramato da Borja, ma indirettamente assecon- dato da Matta - e rinchiuso in un riformatorio. A provocare la gelo- sia, ma anche l'invidia, del cugino, era stato il rapporto idilliaco di amicizia venutosi a creare fra Maria e Manuel il quale, sedicenne già provato dalla vita grama, è av- volto da un'aura di maturità rassi- curante, ben diversa da quella tor- bida e inquietante di un mondo adulto che Matta rifiuta. Manuel rappresenta la possibilità offerta a Maria di negarsi a un'esistenza ipo- crita e borghese, spezzando una l'entusiasmo della ribellione ado- lescenziale sia destinato al naufra- gio. In esplicito parallelismo con l'esito della guerra, Matta non riu- scirà a cambiare strada evitando un destino che per un attimo aveva creduto di poter evadere. Il neces- sario scioglimento sarà rappresen- tato dall'amara consolazione della consapevolezza e dall'evocazione dei paradisi perduti. Come sempre, la vicenda in se stessa potrebbe non costituire un'attrazione se non fosse per la qualità della scrittura, e l'ottima traduzione di Maria Nicola - che ha reso giustizia al romanzo, men- tre quella precedente lasciava mol- to a desiderare - ce ne restituisce appieno il sapore. La prosa di Ana Maria Matute, immaginifica e sug- gestiva, eppure limpida ed essen- ziale, tesa sul filo di frasi brevi, è giocata sui tentennamenti di uno straniamento in procinto di cor- rompersi che si attaglia alla tor- mentata e contraddittoria menta- lità adolescenziale rivisitata dalla voce narrante. E bene sottolineare che tutta la narrativa di Ana Maria Matute e Prima memoria in parti- colare, malgrado la frettolosa clas- sificazione compiuta da qualche manuale, non è realista: i tratti del reale sono qui deformati dalla len- te del punto di vista per il quale perfino gli oggetti inanimati acqui- stano vita diventando di volta in volta minacciosi o consolatori. Ba- sti pensare al trattamento ultrae- spressivo dato agli elementi natu- rali - il sole, gli insetti, il mare -, agli oggetti - i brillanti sporchi che ballano al dito della nonna, il pu- pazzo Gorogó, l'atlante -, al piaz- zale dove, anni addietro, si brucia- vano vivi gli ebrei, e infine al giar- dino che circonda la misteriosa ca- sa sulla scogliera di Son Major, lontano parente della nonna e av- venturiero "in pensione", che nel- l'immaginario degli adolescenti dell'isola è una figura anarchica e favolosa finché, con il venir meno dei sogni e di uno sguardo inno- cente, si rivela in tutta la sua im- perfetta complessità umana. Ineccepibile la maestria con cui Ana Maria Matute ritrae con po- che incisive pennellate i protagoni- sti del romanzo dotandoli di valen- ze allegoriche così emblematiche da permetterne svariate letture. Alla nonna, anche definita dai ni- poti "la bestia", sono spesso asso- ciate connotazioni animali: i suoi occhi sono "pesci tentacolari" che non guardano, ma "perlustrano" e "sferzano", o sono "due formiche che percorrono le iridi" di Maria torturandole, e le sue mani sono "artigli voraci" quando fanno cre- pitare i bollettini che recano noti- zie della guerra. La zia Emilia, con le sue "larghe mascelle di velluto bianco" e il suo "gran ventre mol- le", ci viene di continuo ritratta co- me una creatura vagamente oscena "in triste colloquio con il bicchiere color rubino" nell'abulica attesa del marito impegnato sul fronte franchista. Del "feroce zio Alva- ro", con "la faccia affilata come un coltello e la bocca torta da una ci- catrice", nel romanzo compaiono solo gli oggetti virili e aggressivi sparsi per casa e un palese riflesso nel figlio: "Il profilo di Borja, sotti- le come il filo di una daga. Borja sollevava il labbro superiore in un modo particolare, e i lunghi canini aguzzi, come bianchissimi pinoli sbucciati, gli davano un'aria fero- ce". Poi ci sono i fratelli Taronjì, sorta di giustizieri locali, "con i lo- ro stivali alti, le giubbe mezze sbot- tonate, biondi e pallidi, con i loro rotondi occhi azzurri, da bebé mo- struosi, e i grandi nasi ebraici"; c'è Lauro il Cinese, ex seminarista precettore di Borja e Maria, "senza età, sprofondato com'era in se stesso, quasi a divorarsi"; c'è Sana- mo, l'anziano esotico servitore di Son Major; Sa Malene, la madre di Manuel, dai capelli rossi così fiam- meggianti da bruciare gli sguardi degli uomini; l'elegantissimo e pre- stante Don Mayol, parroco del paese, alleato della nonna, e molte altre figure, talvolta solo sfiorate, accennate, ma immediatamente palpabili nella lettura.