APRILE 1998 - o^^vc cte^L prveàe La voce aristocratica di un antico esordiente Versi ardui, fra reperti linguistici, commedia sconcia e delicatezze amorose CARLO CARENA N. 4, PAG. 12 Sandro Sinigaglia Poesie a cura di Paola Italia introd. di Silvia Longhi pp. XLVII1-440, Lit 49.000 Garzanti, Milano 1997 fezione impossibile agli occhi di chi ogni giorno si poneva davanti, lapis in mano, Proust e il Baldus (impor- tante il suo apporto come redattore all'edizione ricciardiana), Rabelais e Ponge, e aveva un mentore della sta- tura e natura di Gianfranco Contini. Questo del rapporto di Sinigaglia con Contini è un capitolo fonda- edizione nella maggior col- lana poetica di Garzanti delle Poesie di Sandro Sini- gaglia ha messo finalmente a disposizione per la lettura e per le indagini su ogni fronte della critica una delle opere contemporanee più interessanti, di uno scrittore, per merito della sua signorilità, della sua discrezione e del suo scettici- smo, fra i meno conosciuti, meno abbordati e in verità meno abbor- dabili. Occorre certamente pazien- za, una forte sollecitudine letteraria e il possesso di una robusta stru- mentazione per affrontare anche il più piccolo testo di questo poeta acquattato fra le Alpi ossolane, le amate rive del lago Verbano e le ca- se editrici milanesi, ma esperto dell'antico latino e romanzo, ingor- do delle novità francesi, tutto sensi e vibrazioni sulle superfici e sulle profondità della vita, pronto e lento a trasferire e trasfigurare queste con quei mezzi in versi tanto più intensi quanto più scarsi. Il linguista vi troverà i reperti del Du Cange, del Tommaseo, del Che- rubini, del Littré; il metrico la can- zonetta e l'epillio; il letterato am- micchi al Tre e al Cinquecento. E il lettore? garbo, astuzia, arguzia, il dramma della guerra partigiana, la commedia sconcia e delicata dell'amore, le iniziazioni dell'alba della vita e le malinconie del suo tra- monto. Nessun'ora, nessun giorno sfugge alla presa tattile, visiva e fin olfattiva di Sinigaglia; che nella sua assoluta eleganza, nella sua conce- zione evidentemente elitaria della poesia, è pur poeta delle creature più umili, dei luoghi più bassi, dei momenti più comuni, qual era uo- mo di raffinate esperienze e di elette frequentazioni come di ricordi ope- rai e di godimenti bucolici. Naturalmente la critica ha detto soprattutto dell'istituto formale del- la sua poesia, indubbio punto di ori- ginalità e di forza, tale ne è la con- centrazione, la sfida occultistica, la necessità addirittura iniziatica. Quanti frequentarono e lessero Si- nigaglia fino a ora furono degli happy few. La sintesi, l'analisi com- plessiva e dettagliata che ne fa Silvia Longhi in apertura del volume gar- zantiano è perfetta: "Leggere Sini- gaglia è un'avventura. Quarant'anni di lavoro solitario, isolato in un di- stacco insieme aristocratico e di- screto, hanno prodotto (...) versi già definiti difficili, talora di ardua com- prensione, elaborati con straordina- ria sottigliezza, e con gusto accanito dell'innovazione e dello scarto dalla norma". La relativa esiguità della sua produzione e ancora più delle pubblicazioni (in un quarantennio!) derivava dall'estetica stessa del poe- ta, necessariamente infinita poiché le varianti, le incrostazioni, gli ag- glomerati, le superfetazioni erano praticamente interminabili, la per- Questo rapporto fondamentale iniziò molto umanamente, durante e subito dopo l'insurrezione osso- lana dell'autunno '44, che vide Gianfranco Contini accorso da Fri- burgo a prendere il suo posto nel governo repubblicano e Sandro Si- nigaglia nelle file partigiane. Iniziò allora anche un epistolario che, in La vita tore del Flauto-, né mancheranno ri- prese, anche se piuttosto ironiche, nella Camena. La camena gurgandina, fine degli anni settanta, è decisamente la più densa delle raccolte sinigagliane. Lì, secondo il riconoscimento di Maria Corti nell'introduzione, "il proces- so di arricchimento in direzione La formazione di Sandro Sinigaglia a due culture, piemontese e lombarda, italiana e francese, fu promossa dalla sua nascita e dal- la sua vita in un paese a cavallo delle due re- gioni e ai limiti della Francia e della Svizzera italofrancese (poetò anche in francese). Vi si aggiunse la formazione scolastica con una laurea in lettere. Nato a Oleggio Castello presso Arona nel 1921, dopo la partecipazione alla Resistenza e la laurea in estetica presso l'Università di Mi- lano nel '47, sposato, Sandro Sinigaglia entra nell'industria di famiglia e ne dirige uno sta- bilimento a Premosello, quasi un esule in pa- tria. La sua vocazione culturale e la curiosità per il mondo lo rendono irrequieto e sconten- to. Insegna per qualche anno lettere in un li- ceo, poi all'inizio degli anni settanta passa a Milano presso la casa editrice De Agostini, quindi e definitivamente presso la Ricciardi come redattore della collana dei "Classici ita- liani". Che lascia nel '79 per tornare a vivere ad Arona. Non ha molti amici stretti, ha mol- ti autori cari, ma anch'essi reconditi, conti- nuo cimento dell'intelligenza e del gusto, questa grande qualità di Sinigaglia. Usuo stu- dio è ingombro di dizionari e di edizioni criti- che; legge e sperimenta molto, pubblica poco; s'accanisce come un filologo ma ha pure mol- ta fantasia; gode il piacere della tavola non meno di quello della musica; brilla per la sua conversazione e per la sua educazione. Crede in ben poche cose. La letteratura difficile lo assorbe sempre più, assieme alla filosofia con- temporanea. Allenta i suoi viaggi solitari ol- tralpe o nei centri d'arte. Chiude i suoi giorni ad Arona il 12 settembre 1990. (C.C.) mentale nella sua produzione, oltre- ché una grossa fetta della sua vita. Basti confrontare la prima raccolta di 11 flauto e la bricolla, pur uscita su segnalazione di Contini stesso nel 1954 presso Sansoni nella "Bibliote- ca di Paragone" sorvegliata da Ro- berto Longhi: confrontarla già con la successiva, La camena gurgandina nella "Collezione di poesia" Einau- di (1979), sì di venticinque anni più tarda ma di sostanziale diversità, proseguita e se possibile accentuata nella terza e ultima in vita, quella dei Versi dispersi e nugaci (Scheiwiller, 1990). Sinigaglia fu, se così si può dire e ripetere, il braccio poetico di Contini. Al contatto intenso, talora quotidiano, col maestro toscano e ossolano, il poeta ne subì il fascino, vi trovò consonanze alle proprie idee e aspirazioni poetiche; a sua volta il critico trovò nel poeta dispo- sizioni che gli permettevano un col- loquio sintonico, condiscendenza e attitudine a farne tesoro. gran parte conservato, contiene pezzi eccezionalmente intensi e straordinariamente aperti di quel grande epistolografo che fu il corri- spondente di Gadda e di Montale, e documenta dall'altro lato una de- vota e intelligente percezione. Vi è uno scambio di notizie e di confi- denze, ma anche si assiste a un rim- pallo stilistico e lessicale, progressi- vamente sempre più zelante, sino al calco, da parte del più giovane poe- ta. Il quale fin dal '46 sottopone al giudizio dell'amico i suoi parti poe- tici e ne ha fin da allora (marzo del '47) la definizione di "solo surreali- sta d'Italia". Questa intersecazione evidentemente incoraggiava una collocazione eccentrica e avventu- rosa nel panorama letterario italia- no, tanto più in anni impegnati, realistici e discorsivi: anche se è ra- ro trovare, pure in quegli anni, un impegno morale e civile, ma auto- nomo e severo, quale quello di que- sto ex combattente antifascista au- plurilinguistica ed espressionistica si è molto accentuato", tanto da pre- sentare una poesia asintonica rispet- to a quella dell'esordio, d'"altra tempra e altro stile", come risulta dalla bellissima analisi della Longhi. Ma se "La camena è un libro complesso, a più strati" (Longhi), coinvolto in un "furore linguistico e retorico" (Corti), i successivi Versi dispersi e nugaci pur nella lo- ro esilità e varietà e pur proseguen- do per molti aspetti nella direzione tracciata, mostrano una varia arti- colazione e nuove sperimentazio- ni, metriche ad esempio. Si prenda la prima poesia di Trittico, per molti aspetti anche tipica dell'ispi- razione di Sinigaglia: "Sottilina e di sgherle slanciatissime / mam- mellette gentili tonde meline / del- le tende latine agli occhi miei più belle / solo un'egretta non recavi in capo / ed un feltrino alla mano un guinzale". Potremmo rilevare il "guinzale" cavato dal Pulci (Lu- ca!) e da D'Annunzio prosatore; all'altro estremo il prestito dialet- tale (veneto) "sgherle", ma sono opposizioni e scarti consueti; qui tuttavia questi ultimi, sempre es- senziali e voluti, presenti in misura singolare nell'intensità dei diminu- tivi o dei superlativi. Si rilevi piut- tosto la sapiente scansione degli endecasillabi espliciti o occultati e annacquati, quasi necessariamente addotti dalla miscela esplosiva del verso 6.104.2 della Gerusalemme liberata-, programmati dal primo verso, sfiorati nel secondo che tutti sono tentati di leggere senza la i di "gentili": il verso 1 (e 2, e 3 senza "più belle") endecasillabo di sesta, il verso 4 di quarta e ottava, il verso 5 di quarta e settima; ma come un endecasillabo prolungato all'infi- nito può essere letto, con interru- zione e strascico di grandi ondate, anche poi il sesto verso "Vane so- vrabbondanze al mio compiuto giuro" mentre i due seguenti "Io non ti tocco nò / sacro esemplare" formano assieme un altro endeca- sillabo, come con un endecasillabo la poesia si suggella: "Iulca [latini- smo] la rosa [metafora] làncina [latinissimo] anche il santo". Il volume delle Poesie pubblica inoltre un nucleo di sedici componi- menti "extravagand", sparsi lungo tutto l'arco poetico dal Flauto ai Versi dispersi ma non entrati nelle raccolte edite; altri sei componi- menti usciti postumi qua e là, e tren- tadue invece già accorpari dal poeta stesso sotto il titolo di II Regesto del- la Rosa e altre vanterie ma rimasti inediti per la sua morte. Su queste ultime soprattutto, pur trovate in uno stato di avanzata o addirittura definitiva elaborazione, ha dovuto esercitare la sua tecnica Paola Italia, predisponendole definitivamente e costituendo un apparato in fondo al volume. All'Italia si deve anche un glossario, arduo e paziente lavoro, che molto soccorre per non abban- donare il lettore a se stesso nei labi- rinti linguistici di queste poesie, nei loro cunicoli e grotte, tra i ruderi di linguaggi perduti e avvolti in fitte boscaglie, tra gli arcaismi o i moder- nismi di quasi tutte le lingue euro- pee e nella vitalità dei gerghi e dei vernacoli. Non muta in questo spasimo estremo la materia poetica, come si può immaginare dal titolo stes- so della raccolta, anzi vi è subli- mata, araldizzata, tanto che fra mezzo ci s'imbatte in una lirica di tre strofette che inconsapevol- mente, sul filo ultimo, riassume le ambizioni e condensa la carriera del cantore. Altre confessioni si trovano nell'unico brano di prosa, Breve anamnesi, testo di una le- zione tenuta da Sinigaglia nel 1980 alla Facoltà di lettere dell'Università di Ginevra duran- te un ciclo d'incontri con poeti italiani organizzato da Guglielmo Gorni, studioso anch'egli fra i più attenti e convinti della sua poesia. L'autobiografia offre notizie inte- ressanti sulla sua formazione, sui suoi gusti e i suoi autori, completa e sigilla il molto che si è già appre- so nei versi di un poeta davvero li- rico, perché parla soltanto di sé o filtra inesorabilmente in sé ogni cosa al suo di fuori.