|dei libri del mese | GENNAIO 1999 «w'e-j^et'^^cc-ve - ^L^it?- cte-L N. 1, PAG. 9 A casa Hardenberg, paradossali prospettive sull'oltre Un suggestivo e affollatissimo romanzo su Novalis, in cinquantacinque rapidi schizzi LUCIANO ZAGARI Penelope Fitzgerald Il fiore azzurro ed. orig. 1995 trad. dall'inglese di Masolino d'Amico pp. 242, Lit 15.000 Sellerio, Palermo 1998 intellettuale. Si diceva di Fritz: ma nello sfondo compaiono anche al- tri personaggi già allora famosi per le loro geniali doti intellettuali e ar- tistiche: Goethe, Schiller, Friedri- ch Schlegel. Certo essi fanno capo- lino nell'affollatissima azione del romanzo illuminati soprattutto in quegli aspetti che con la misura ri- Ancora più incisivo risulta il modo in cui in famiglia Fritz radicalizza la comune predilezione per un in- stabile equilibrio fra rigetto e ade- sione. Nella conversazione più fa- miliare Fritz dissemina, come se colloquiasse con se stesso, fulmi- nee riflessioni paradossali, apergus di mondi nuovi cui si sta appena storico consente alla narratrice di comunicare en passant al lettore quel tanto che le serve della sostan- za auratica di quello che sarebbe diventato - almeno lungo tutto il primo secolo della ricezione - l'emblema di Novalis e di un'intera generazione romantica. L'azione del romanzo si esauri- 11 fascino sottilmente ambiva- lente di questo esile romanzo scaturisce dalla felice levità con cui fin dalle prime pagine il lettore viene introdotto nel pieno di un mondo narrativo ricco di suggestioni anche perturbanti, sempre però risolte nel fluire ac- cattivante e sapido dell'azione. Tratti discreti, ma che subito in- cidono una situazione, un ambien- te, la mossa di un personaggio: e già il lettore si trova a volare oltre. Nella successione di cinquantacin- que rapidi schizzi disegnati con il gusto del risvolto bizzarro della quotidianità, il lettore viene coin- volto nell'inconcludente affaccen- darsi di un'angusta cerchia della piccola aristocrazia provinciale della Sassonia di fine Settecento. Il mondo della famiglia von Harden- berg ci si presenta a distanza zero nella sua arretrata staticità, anima- ta però in superficie dal gran da fa- re che si danno i tanti membri della famiglia e del clan, soprattutto i giovani. Il lettore è portato a porsi qual- che domanda: tanta disordinata e insieme impacciata agitazione è so- lo il frutto del macchinoso funzio- namento di un'invecchiata struttu- ra familiare e sociale, capace al più di sopravvivere ma certo non di porre rimedio allo squilibrio fra condizioni quasi misere e colloca- zione sociale ancora di un certo prestigio? O forse tutti quei giova- ni cercano sì, divincolandosi, di ri- tagliarsi un minimo di spazio auto- nomo ma tutto vogliono meno che abbandonare quella culla delle lo- ro leggere nevrosi che avvertono essere allo stesso tempo ambiente ideale per coltivarle senza troppi rischi? Alternando primi piani e "tota- li", il quadro si arricchisce dei ri- tratti in movimento di questi gio- vani disadattati, patologizzati nella scrittura con cordialità e leggerez- za: qualcuno appare più frustrato e represso, qualcuno quasi isterico, qualcuno sta forse per trasformarsi da pianeta che ruota ai margini di quel piccolo sistema solare in me- teora o'magari in fulgida stella co- meta (ma forse persino Fritz - leg- gi Novalis -, il più singolare fra quei ragazzi, dotato come ci appa- re non solo di arditi umori metafo- rici e combinatori, ma anche di so- lide conoscenze scientifiche e tec- niche, avrebbe giudicato troppo azzardata una così disinvolta varia- zione metaforica sull'ordine co- smico). A tratti sembra di avere a che fa- re con una variante tedesca inven- tata da Penelope Fitzgerald sulla scia dei grandi romanzi d'ambien- te del primo Ottocento inglese. Un tratto comunque molto tedesco è il ruolo riconosciuto alla dimensione dotta di quel mondo sono compa- tibili. Eppure è anche a questo sfondo di grandi figure e movi- menti intellettuali che si deve il sorgere nel lettore dell'impressio- ne che tanta bizzarra quotidianità si iscriva in una costellazione di implicazioni più ampie, più impe- gnative, a volte enigmatiche. E in genere in questa chiave che va letto anche il crescere della figu- ra di Fritz, che è forse eccessivo chiamare protagonista del roman- zo ma che certo finisce col costi- tuirne il centro di cristallizzazione. Fritz e quel suo amore, insieme evanescente e perentorio, per Sophie, una bambina dodicenne che morrà di tisi appena raggiunti i quindici anni. Fritz sfiora continuamente il punto di fuga dal sistema familiare e non solo per i suoi soggiorni nei centri (per altro non troppo disco- sti da casa) di una vita culturale pullulante di fermenti innovatori. aprendo, poco curandosi se gli ascoltatori riescano a seguirlo dav- vero. Anzi, non sembra turbarlo nemmeno la riluttanza anche di quella bambinetta scialba e tutto sommato poco sensibile che senza troppa grazia si lascia amare, addi- rittura idolatrare ("romantizzare", avrebbero detto un paio d'anni dopo Fritz e l'altro Friedrich, lo Schlegel) da un innamorato in- sistente e sfuggente, di cui lei non aveva mai imparato a pronun- ciare correttamente neanche il co- gnome. Un felice intervento autoriale sulla cronologia crea lo spazio nar- rativo perché Fritz possa comuni- care a metà romanzo alla fidanzati- na e a due amiche, più perplesse che affascinate, quella storia del fiore azzurro che Friedrich von Flardenberg detto Novalis avreb- be in realtà composto solo un paio d'anni dopo la morte di Sophie. Ma intanto questo felice arbitrio sce con la morte di quella povera adolescente incolore e con la sua incipiente divinizzazione da parte di Fritz. Il lettore fa ancora a tem- po a vedere come il giovane si rein- serisce ben presto nel ritmo della vita quotidiana, ma il romanzo si conclude prima che la farfalla sia del tutto uscita dalla crisalide per trasformare Fritz nel più grande poeta lirico e in uno dei più scon- certanti pensatori del romantici- smo europeo. Scelta sapientissima, che dimo- stra con quanta raffinatezza le pa- gine leggere di Penelope Fitzge- rald siano tagliate secondo un'otti- ca narrativa perfettamente calcola- ta. Il secco, spesso umoristico idillismo descrittivo dell'azione trova così la sua sponda là dove ap- pena si comincia a intravedere un mondo diverso, dominato da tutt'un'altra logica, quella dell'"ol- tre". Questa logica, che poi è la ve- ra novità del Novalis ultimo, non forza le coordinate del romanzo perché vi compare soltanto come riflesso balenante e sparente nella realtà minimalistica dell'oggi. Nessun riduzionismo demistifi- catorio, dunque, ma anche nes- sun'enfasi cultuale, piuttosto un dosaggio molto inglese, che forse non sarebbe dispiaciuto neanche a colui che teorizzava sì la romantiz- zazione del quotidiano, ma anche l'incarnazione dell'ignoto nell'o- perosità comune della vita di tutti i giorni. Così, senza forse neanche voler- lo, il romanzo sfugge a quel dilem- ma un po' professorale che ancora qualche generazione fa aduggiava gli studi su Novalis. Chi fra i due, ci si chiedeva, è quello veramente vero, il poeta del fiore azzurro o il solerte impiegato delle saline, il mistico che fa della morta Sophie la regina degli Inni alla Notte o il giovane che trova ben presto un'al- tra fidanzata, salvo a morire già nel 1801, anche lui di tisi, come Sophie, come due altri ragazzi Hardenberg? Per fortuna il lettore di Penelope Fitzgerald può invece meglio apprezzare il fuggevole de- linearsi di paradossali prospettive su quell'"oltre" proprio perché es- se gli si offrono alla lettura come variante estrema, enigmatica ma in fondo attendibile, di quel rappor- to di rifiuto e di adesione alla vita che caratterizza nel romanzo l'in- tero clan degli Hardenberg. A chi scrive è capitato di parteci- pare un anno fa a un convegno de- dicato alla presenza di Novalis nell'immaginario di poeti, musici- sti e scrittori di tutto l'Occidente. Il convegno si è tenuto nel castello degli Hardenberg a Oberwieder- stedt (e non "Oberwiederstadt", come si legge nella traduzione di Masolino d'Amico, per altro vera- mente accattivante). L'atmosfera aveva un che della quotidianità un po' bizzarra così felicemente evo- cata da Fitzgerald. Il castello, in quei giorni di settembre già avvol- to in precoci brume autunnali, non è poi nient'altro che un palazzotto del tardo Seicento, ancora dieci anni fa così malridotto da indurre le autorità della Repubblica demo- cratica tedesca a progettarne la de- molizione, chissà se anche per scarsa simpatia ideologica per No- valis. La caduta del muro di Berli- no ha impedito la caduta delle mu- ra del palazzotto Hardenberg che ora, rimesso a nuovo, svolge con modernizzato decoro la funzione di centro culturale ed è sede dell'Associazione internazionale di studi su Novalis. Fra i tanti nomi illustri e meno il- lustri che verranno evocati negli eruditissimi atti di prossima pub- blicazione, un posto un po' appar- tato, ma non troppo, spetterà a pieno titolo anche al romanzo di Penelope Fitzgerald.