GENNAIO 1999 N. 1, PAG. 10 Tra reale e fittizio Acrobazie Avant Pop ANDREA BAJANi David Foster Wallace La ragazza con i capelli strani ed. orig. 1989 trad. dall'inglese di Francesco Piccolo pp. 202, Lit 15.000 Einaudi, Torino 1998 David Foster Wallace Una cosa divertente che non farò mai più ed. orig. 1997 trad. dall'inglese di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo pp. 143, Lit 20.000 minimunfax, Roma 1998 Schegge d'America. Nuove avanguardie letterarie a cura di Larry McCaffery ed. orig. 1998 pp. 463, Lit 14.000 Fanucci, Roma 1998 Negli Stati Uniti David Foster Wallace è già acclamato come il ca- so letterario dell'ultima generazio- ne di narratori, lo scrittore destina- to a lasciare il segno sugli anni no- vanta con il suo monumentale iper-romanzo ("post-postmoder- no") Infinite Jest. Finalmente arriva in Italia La ra- gazza con i capelli strani, silloge di racconti che Einaudi propone nel- la brillante traduzione di France- sco Piccolo, seconda prova dello scrittore dopo l'esordio nel 1986 con The Broom of the System. In realtà di lui si era già sentito parla- re. Nel 1993, nel numero della rivi- sta "Panta" dedicato ai nuovi scrit- tori americani, Jay Mclnerney pre- sentava Mark Leyner e lo stesso Wallace (di cui compariva un deli- cato racconto vagamente onirico dal titolo Ber sempre lassù) come le due autentiche promesse della nar- rativa nordamericana. Per Theoria usciva poi nel 1995, con il titolo Nuovi narratori americani. Raccon- ti della Post-generation, la tradu- zione di un'antologia (curata da Michael Wexler e John Fluirne nel 1994) c-he includeva quel La ragaz- za con i capelli strani (lì tradotto da Cristiana Mennella La ragazzina dai capelli curiosi) che dà il titolo alla raccolta pubblicata da Wallace nel 1989. Ora Wallace fa il suo ingresso in libreria con tre libri che escono a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro. Oltre a questo eccezio- nale La ragazza con i capelli strani pubblicato nella collana "Stile li- bero" di Einaudi, esce, dalle edi- zioni minimum fax, Una cosa di- vertente che non farò mai più, iro- nica e gustosa cronaca di una cro- ciera extralusso ai Caraibi; contemporaneamente Fanucci inaugura la nuova collana "Avant Pop" con l'antologia Schegge d'America (con traduzioni di Vit- torio Curtoni, Piergiorgio Nicolaz- zini, Maria Cristina Pietri, Rolda- no Romanelli e Fabio Zucchella), che ospita un racconto di Wallace intitolato Tri-stan. Il corposo volume curato da McCaffery e tempestivamente tra- dotto in Italia ha il grande pregio di offrire uno strumento più che efficace, un atlante dettagliato del- la scrittura statunitense d'oggi. Ma ancora più preziose sono le oltre settanta pagine che McCaffery ac- coda all'antologia, organizzate in forma di manifesto del fenomeno Avant Pop (espressione che l'auto- re riprende dal titolo di un album del compositore e trombettista jazz Lester Bowie). McCaffery vede nella forte sensi- bilità alla cultura di massa - con l'universo della televisione netta- mente in primo piano, affiancato dalle "strutture improwisative (...) del jazz e dei cartoni animati" e dalla fascinazione per la musica rap e per l'ipertestualità - l'elemento che uni- sce, sotto la bandiera dell'Avant Pop, autori altrimenti diversissimi. Ecco che allora nell'antologia trova- no contemporaneamente posto i pa- drini del Cyberpunk (William Gib- son e Bruce Sterling), scrittori visio- nari (William T. Vollmann e Robert Coover), maestri riconosciuti (Paul Auster e Don DeLillo), narratori in- teressati agli Ufo (Stephen Wrigth, Ronald Sukenick e Lance Olsen), oltre ad autori dell'ultima genera- zione, quelli "mai vissuti al di fuori della cultura del telecomando". Tra questi, naturalmente, c'è David Foster Wallace, presente nell'antologia con Tri-stan, rac- conto vertiginosamente sperimen- tale, che coniuga postmoderna- mente mito e contemporaneità, dèi-demiurghi e microscopi elet- tronici. Il tutto mixato (in una tra- ma che si perde travolta dalle stu- pefacenti acrobazie linguistiche del testo) e avvolto in un velo sur- reale che ricorda gli esperimenti di Coover. E una fusione irriconosci- bile di mitologia, favola e realtà, una favola stravolta e trasportata nell'era della televisione, dove Eu- ridice e le strategie di mercato con- vivono perfettamente amalgamate, con un procedimento che richiama il Barthelme di Biancaneve e II pa- dre morto (Einaudi, 1979). Non poteva esserci racconto più appro- priato di Tri-stan per chiudere la sezione antologica di Schegge d'America e precedere il manifesto Avant Pop del curatore. Insieme a Mark Leyner, Wallace è infatti lo scrittore che meglio si adatta alla definizione dell'Avant Pop proposta da McCaffery, e i testi di La ragazza con i capelli strani, gio- cati tra show televisivi e concerti di Keith Jarret, ne sono la conferma. Protagonista di due dei sette racconti, la televisione è causa dell'inevitabile frantumarsi della realtà, dell'irrimediabile confusio- ne tra autentico e fittizio. E quanto avviene all'Edilyn di La mia appari- zione in TV, quarantenne attrice di successo invitata a parlare di sé di fronte alle telecamere del popolare "David Letterman Show": in dub- bio se "recitare" o comportarsi con naturalezza, Edilyn sceglie, per istinto, un'"autenticità" che le consente di neutralizzare l'inva- denza del presentatore. Eppure per il marito, che l'ha seguita in ap- prensione sugli schermi, la donna ha recitato. Con un epifanico "mi sono mostrata come sono" affidato a Edilyn, Wallace porta verso la conclusione un racconto che gra- dualmente e con ironia svela un'agghiacciante frantumazione dell'identità: "ho chiesto a mio marito chi pensava che fossimo al- lora realmente, io e lui. Domanda che non avrei mai dovuto fare". Il mescolamento di realtà e fin- zione è più vivo che mai in Lyndon, il racconto (uno dei migliori della raccolta) che apre La ragazza con i capelli strani e che ha come prota- gonista Lyndon Baines Johnson, il vice e poi successore di Kennedy al- la Casa Bianca. Lì tutto è credibile perché reale, ma nello stesso tempo suona perfettamente fittizio, inven- tato. La maestria di Wallace sta proprio nel suo muoversi con disin- voltura tra realtà, macerie di realtà, e finzioni/nel lasciare volutamente nell'ambiguità il lettore; perché di- stinguere non ha importanza, tutto è reale e fittizio al tempo stesso. Da questo stimolante senso della con- fusione e del mescolamento ha ori- gine la scrittura multiforme di Wal- lace, che si esibisce in una prosa sin- tatticamente acrobatica (è 0 caso degli interminabili periodi di E me- no male che il Responsabile delle Vendite sapeva fare il massaggio car- diaco) con la stessa stupefacente na- turalezza e precisione con cui gioca con il gergo giovanile del racconto che dà il titolo al volume. Ma Wallace è soprattutto uno scrittore intelligentemente ironico (di un umorismo che ricorda il DeLillo di Rumore bianco, ma an- che l'Elkin di II condominio), e il reportage narrato in Una cosa di- vertente che non farò mai più ne è la prova: lì Wallace smaschera sottil- mente l'atteggiamento cinico e conformista del turista americano - "Guardare (...) i vostri connazio- nali che ondeggiano nei loro sanda- li costosi in porti devastati dalla mi- seria non è uno dei momenti più di- vertenti di una crociera extralus- so". Ma lo fa dall'interno, con divertente autoironia - "Non pos- so sfuggire alla mia sostanziale e sgradevole americanità" -, trasfor- mando così la crociera nel pretesto per una satira spassosa. E questa vena ironica la sua cifra più autentica; lo fa erede del post- moderno americano ma già oltre, critico sottile della società ma dall'interno, lontano dalla dispera- zione di alcune memorabili pagine di Pynchon. Non resta ora che aspettare con interesse la prossima, già annun- ciata, traduzione del lunghissimo Infinite Jest. I James Me Bride Il colore dell'acqua ed. orig. 1996 trad. dall'inglese di Roberta Zuppet pp. 245, Lit 28.000 Rizzoli, Milano 1998 Da poco in libreria, Il colore dell'ac- qua è la prima prova narrativa di Ja- mes Me Bride, sassofonista e compo- sitore nero statunitense. Si tratta di un romanzo esplicitamente autobiografi- co: è la storia di Rachel Shilsky, madre ebrea (bianca) dello scrittore, che ri- percorre, raccontandolo al figlio, il proprio passato, dall'abbandono dell'Europa nella prima infanzia, alla difficile adolescenza in Virginia, fino al matrimonio osteggiato con il nero Dennis Me Bride, poi padre di James. In un analogo clima di tensioni razziali si sviluppa, alternata a quella di Ra- chel, la narrazione dello stesso Me Bride, combattuto tra l'amore viscera- le per la madre e un sentimento di ti- moroso disagio che gli deriva dagli sguardi minacciosi cui è inevitabil- mente soggetta Rachel nel quartiere nero in cui vivono a New York. Le due narrazioni, la cui alternanza risulta alla lunga piuttosto meccanica, danno vi- ta a un intrecciarsi di storie che hanno come filo conduttore il motivo della di- versità, vero tema portante di un ro- manzo di piacevole lettura. Scritto senza grandi pretese, Il colore dell'ac- qua è anche la cronaca, a tratti simpa- tica e commovente, di un periodo del- la storia degli Stati Uniti (tra i primi anni venti e i nostri giorni) filtrato attraverso gli occhi di un'immigrata ebrea e di un ragazzo di colore, la cui esperienza ri- chiama a tratti quella del protagonista del bellissimo Storia di mio figlio (Fel- trinelli, 1991) di Nadine Gordimer. Il tutto, nel romanzo di Me Bride, lonta- no dal sofferto impegno della scrittura della Gordimer, è pervaso da una passionale religiosità che mitiga i! de- stino doloroso che sembra opprimere i personaggi, e che fa di questo II co- lore dell'acqua un incondizionato e in- genuo inno all'amore. (A.B.) "E meno male che..." DAVID FOSTER WALLACE Il Vice Presidente dell'Ufficio Esteri, gorgogliando, tenendosi la rientranza del petto, cad- de con delicata lentezza sul pavimento ingrigito dai gas di scarico del Garage dei Dirigenti, dove prese a contorcersi. E meno male che il Responsabile delle Vendite sapeva fare il massaggio cardiaco. Tempestivo, rapido, agile, informa, indipendente, ormai un lupo solitario - benché efficiente - nella grigiafo- resta della vita, non tanto freddo quanto efficace, attraversò, in uno slancio samaritano, l'interval- lo di pietra che separava la sua esile valigetta e lo scooter senza casco dal Vice Presidente dell'Uffi- cio Esteri, per mettersi a gambe divaricate sull'enorme informe anziano che si contorceva e che, a quella insolita ravvicinata distanza di emergenza, scoprì il Responsabile delle Vendite, aveva gros- si pori sulla faccia, occhi di una mitezza inespressiva, una sottile ragnatela di capillari a colorirgli le guance, la bocca aperta come un pesce, fronte bianco rospo aggrottata dal dolore, mento perso nel- la pozza di carne del suo stesso collo, mani che battevano un tempo senza ritmo sul petto dei vesti- ti, deboli gorgoglìi miagolati persi negli echi triplicati delle subitanee e ripetute richieste di aiuto ' J - "----- — ------~ L / wv ' W//I-V V WVI^ t* i- Llj pensò il Responsabile delle Vendite, incallito lanciatore di pietre a pelo di stagno - espandersi co- me l'acqua si ritrae in cerchi da quanto ne ha disturbato il centro. Il Rappresentante delle Vendite, in tutto questo arco di tempo, da quando pilastro e segnale era- no stati strusciati e urtati, aveva urlato aiuto nel vuoto Garage dei Dirigenti. Le sue urla, i gorgo- glìi del Vice Presidente dell'Ufficio Esteri supino, e relativi echi, stavano producendo un rumore complessivo le cui proporzioni, che sembravano limitate al chiuso del Garage dei Dirigenti, erano tali che il Responsabile delle Vendite sarebbe rimasto perplesso e sorpreso al punto da negarlo de- cisamente - mentre piegava all'indietro il testone scabro dai grossi pori sul fulcro di un palmo e usava un sottile dito pulito per sgombrare la martoriata gola rosa uterino da lingua e materiale estraneo-per quanto poco del suono cacofonico e apparentemente totale delle sue richieste di aiu- to stesse risalendo la curva della minuscola Rampa di Uscita e filtrando attraverso i rari interstizi nel soffitto da bunker del Garage dei Dirigenti per risuonare al piano deserto degli Impiegati, sen- za parlare del fatto di dover superare la spirale ora rovesciata della Rampa o di dover evadere dalle spessissime mura di cemento del Garage del Personale per arrivare nella silenziosa ma ben illumi- nata strada della zona commerciale disopra, percorsa da due innamorati che incedevano maesto- si, pallidi come bambole, braccia intrecciate, silenziosi, l'orecchio teso senza mai però udire una vera differenza nel costante, distante sibilo e sospiro del traffico cittadino notturno. Nel frattempo, sotto il Garage del Personale sotto la strada, nello smisuratamente riecheg- giante e desolato Garage dei Dirigenti, il Rappresentante delle Vendite aveva squarciato i ve- stiti che si espandevano dalla bizzarra rientranza e si stava adoperando con tutte le forze sul cuore difettoso del Vice Presidente dell'Ufficio Esteri. da La ragazza con i capelli strani, pp. 59-61