GENNAIO 1999 L'INDICE Eaì DEI UBRI DEL MESE ■Ép I 1 itorialb N. 1, PAG. 2 Questioni di gusto Negli anni cinquanta Franco Antonicelli collaborava con la Rai, tenendo garbate conversazioni radiofoniche e curando ru- briche come "Piccolo mondo antico", de- dicata a letterati del primo Novecento, "Toccata e fuga" o "Biglietti da visita". Di- citore raffinato, sapeva fare di questi spazi l'occasione per incontri culturalmente av- vincenti. Riascoltati oggi, hanno inevitabil- mente il sapore della nostalgia, per quando la comunicazione, non soltanto radiofoni- ca, era più curata, più elegante, meno chiassosa e più allusiva. Ma suonano anche fuori del tempo e possono dare il senso del- la distanza fra l'oggi e l'ieri con una straor- dinaria immediatezza; si percepisce imme- diatamente che è la voce del passato. Sono i vapori d'una cultura morta. Tuttavia siamo in molti che potremmo riascoltare con pia- cere, e qualche emozione, questi ed altri frammenti del passato, perché appartengo- no alla nostra educazione e al nostro gusto, rimodellando un modo di comunicare, an- zi diremmo di porgere, tanto più affasci- nante quanto più inattuale, nell'epoca che macina il trash e il pulp. In uno dei suoi ultimi numeri, "La Crusca per voi", foglio della celebre accademia de- dicato agli amatori della lingua, dà conto di un caso significativo di gusto nostalgico: un'insegnante d'italiano impone ai suoi stu- denti nello scritto e nel parlato l'uso di "egli", "ella", "esso", come forme di sogget- to, vietando come errore "lui", "lei", "loro". Francesco Sabatini risponde per l'accademia che a sbagliare è la professoressa, non soltan- to perché l'uso in funzione di soggetto di "lui", "lei", "loro" è attestato fin dal Trecen- to, ma soprattutto perché non bisogna fer- marsi ai paradigmi grammaticali bensì consi- derare i meccanismi della comunicazione e in particolare il rapporto tra tema e rema. Ma l'insegnante in questione ne faceva sicura- mente una questione di gusto: "egli", "lei" o "loro" suonando più eleganti al suo orecchio. Questi episodi ci sono venuti in mente di fronte alle lettere di protesta per la soppres- sione della rubrica "Terza pagina" (un caso a cui dedichiamo ampio spazio in questo numero); anche le due lettere, pubblicate qui sotto, contro la recensione (in novem- bre) del romanzo Tramonto rosso sangue di Marina Ripa di Meana ci pare vadano nella stessa direzione. Dietro l'affezione per i va- lori della cultura, ciò che preme non saran- no piuttosto questioni di gusto? Non che queste siano da sottovalutare, però sono un'altra cosa. Se per cultura intendiamo la comprensione dei linguaggi delle varie epoche, compresa la nostra, si potrebbe persino convenire che la rubrica "Giornali in classe" è significativa quanto "Terza pa- gina", anche se meno gratificante per una certa élite di ascoltatori. Allo stesso modo, perché non dovremmo occuparci della si- gnora Ripa di Meana, come autrice in cui si specchiano, ci piaccia o meno, aspetti si- gnificativi non soltanto dell'industria cul- turale ma soprattutto di un'immagine del mondo che ha una dimensione di massa? Naturalmente, è difficile, nel sistema della comunicazione oggi diffuso, distin- guere tra la descrizione di un fenomeno culturale e la sua proposta come modello. "Giornali in classe" è probabilmente un documento reale dei limiti delle culture giovanili dei nostri giorni, ma nel momen- to in cui ce le consegna in forma acritica ri- schia di farne un prototipo da imitare. Questo è l'inghippo, e di conseguenza si può sostenere che la rubrica dovrebbe es- sere organizzata in forme meno corrive con gli aspetti effimeri della comunicazio- ne radiofonica (a una battaglia contro l'ef- fimero ci invitava d'altronde Franco Rosi- ti, nell'editoriale su "Terza pagina" dell'Indice di novembre). Alberto Papuzzi Lettere Allibiti. Leggo la recensione a Tramonto rosso sangue di Marina Ripa di Meana, firmata da Angelo Morino ("L'indice", novembre '98, p. 18). E un lungo articolo a tutta pagina, denso di riferimenti alla trama e rado di osservazioni stilistiche. E mi chiedo: è stato scritto con il proposito di storna- re i lettori dall'acquisto del libro, accontendandoli preventivamen- te, fornendo loro gli ingredienti fondamentali della vicenda (se di vicenda si può parlare per un cen- tone di cronache giornalistiche) e sorvolando sugli altri elementi in- dispensabili a un serio esercizio critico? Ma rispondo a me stesso: il recensore (e con lui la redazio- ne) può aver considerato il ro- manzo un fatto di costume inte- ressante e perciò segnalabile, an- che se di scarso valore letterario. Ribatto: non bastava, per una se- gnalazione di questo genere, un trafiletto, un pezzo meno vistoso, soprattutto se si considera che la piena pagina viene di solito riser- vata a testi importanti (l'opera in versi di Caproni, per esempio, o, proprio in questo stesso numero, a pagina 19, la carrellata delle nuove edizioni leopardiane); so- prattutto, aggiungo, se si con- fronta la pagina di Angelo Mori- no con il quarto di pagina dedica- to, sempre in questo numero (p. 10), da Vittoria Martinetto a Tutti i nomi di José Saramago, uno splendido libro di uno splendido scrittore? (... e sorvoliamo sulla pigrizia della Martinetto che se la cava con un semplice accenno a "valenze paradigmatiche, alla cui interpretazione il lettore potrà li- beramente applicarsi"). Quale dovrà essere, dunque, il rapporto tra una seria professio- ne critica, esercitata con fatica intellettuale e onestà espressiva, come spesso si riscontra nella vostra rivista, e l'ineludibile im- patto con l'industria editoriale? Questo è, a parer mio, il tema fondamentale che "L'Indice" dovrebbe affrontare. E roba da far tremare le vene e i polsi, per- ché si rischia di scomparire: d'accordo, ma l'argomento, pur con tutte le cautele, va affronta- to seriamente. "Martin Eden" è uno scherzuccio, ammettiamo- lo. "Mente locale" non è in gra- do di affrontarlo, è innegabile. Ma se "L'Indice" è, come credo che sia, un organismo culturale valido e coraggioso (e appunto per il suo coraggio vive da quat- tordici anni suonati), se può vantare, e può farlo, numerosi interventi positivi e fecondi, de- ve abbandonare i compromessi, le auree vie di mezzo che posso- no rivelarsi invece di un metallo ossidabile, e avviare un'azione moralizzatrice sull'ambiente let- terario nostrano. Il quale ne ha bisogno, sembra quasi invocar- la. E la rivista ha tutte le possibi- lità di svolgerla. Giuliano Sozi, Spello (Pg) L'"Indice" pubblica ogni nu- mero quattro o cinque recensio- ni a libri di narrativa italiana, non di più; e forse è giusto così. Mi ha destato perciò somma me- raviglia trovare nel numero di novembre una lunghissima re- censione (ho contato le righe, 210) al romanzo di Marina Ripa di Meana, Tramonto rosso san- gue..Ne sono allibito e indigna- to. È mai possibile che una rivi- sta come la vostra senta il biso- gno di commentare con tanto impegno gli scritti di questa in- vadente signora, autrice tra l'al- tro di un film (ahimé per noi) pagato col danaro pubblico, ma (buon per noi) mai visto da nes- suno? Possibile che l'ottimo An- gelo Morino arrivi a definirla "fustigatrice di costumi" e a dir- ci, senza ombra di sfottò, che il libro propone interrogativi su- premi del tipo "Ma sarà proprio così la vita del ricchi"? Con i saluti più cordiali. Leandro Piantini, Firenze Watt è vivo. Leggo sul nume- ro di dicembre dell'"Indice" la recensione che Giuseppe Serto- li ha voluto dedicare al volume di Jan Watt, Miti dell'individua- lismo moderno, da poco tradot- to e pubblicato in italiano dalla nostra casa editrice. Non è co- stume nostro entrare nel merito delle recensioni ai nostri libri. Registriamo con grande atten- zione i giudizi dei critici, specie quando vengano dispensati con tanto distillata acribia. Ma mi corre, in questo caso, l'obbligo di una precisazione. Il sottotito- lo dell'articolo recita: "L'ultima, superflua, opera di un grande". Che sia un'opera "superflua" è un giudizio ai cui porta la re- sponsabilità il critico che così la definisce (contestando implici- tamente la nostra decisione di tradurla, e ancor più quella del- la Cambridge University Press di pubblicarla nel 1996 e di ri- stamparla nel 1997 nella serie "Canto", che raccoglie addirit- tura i "classici" di quella presti- giosa casa editrice). Che sia "l'ultima opera" di Watt è vero, nel senso che dopo di quella non ne sono state pubblicate al- tre. Meno vero, però, è che Jan Watt "morì nel 1994, come si legge al quinto rigo della sud- detta recensione. E vero che Watt è da tempo malato, e- che per questi motivi la pubblica- zione è stata messa a punto per le stampe da altri. Ma non è ve- ro che si tratti di un'opera po- stuma. Mi dispiace deludere il nostro critico: la decisione di pubblicare il libro l'ha presa proprio l'autore, e non qualche sprovveduto erede, o qualche solerte redattore. Il che nulla cambia, ovviamente, circa il giudizio che Sertoli riserva al li- bro. Cambia forse qualcosa cir- ca il giudizio che è da riservare al documentatissimo nostro cri- tico. Cordiali saluti. Carmine Donzelli Mi fa piacere apprendere che lan Watt è ancora vivo. Evidente- mente, le "più precise informa- zioni" che dichiaravo mancarmi non riguardavano solo lo stato del manoscritto ma anche quello del suo autore. Mi ha tratto in in- ganno la Nota editoriale, che tra- scrivo: "Myths of Modem indivi- dualista" (...) non era ancora con- cluso quando le condizioni di sa- lute di lan Watt peggiorarono, nel 1994, dopo una serie di opera- zioni. Quando venne ricoverato in ospedale stava lavorando alle ultime revisioni alla luce delle letture attente del manoscritto fatte da M.H. Black e altri. Ruth Watt e l'editore sono profonda- mente grati a Linda Bree per il fa- ticoso e costruttivo lavoro edito- riale delle fasi finali di lavorazio- ne. Il dottor [sic] Bree ha reso possibile la pubblicazione di que- sto libro nella sua forma odier- na". Sarei lieto di sapere che, so- gnando la morte di Watt, gli ho allungato la vita. Per il resto, pur- troppo, il giudizio non cambia. Giuseppe Sertoli Errata corrige: nella rubrica "Mente Locale" del mese di no- vembre, dedicata a Perugia, è sta- to erratamente riportato l'indi- rizzo del Centro studi e docu- mentazione dello spettacolo - T.S.U.; questi i dati corretti: piaz- za Morlacchi 19, tel.075-575421. e-mail: lindice@tin.it